di Carlo Benedetti

MOSCA. La Russia - nonostante le aperture all'occidente e, in particolare, all'Europa - rilancia il panslavismo. Lo fa in maniera ufficiale riferendosi alla situazione del Kosovo. E precisamente a quanto sta avvenendo tra Belgrado, Tirana e Pristina. Tutto questo mentre i serbi, dalla capitale jugoslava, fanno sapere di essere disposti a concedere al territorio del Kosovo una larga autonomia, pur restando fermi i confini del paese e, quindi, l'integrità nazionale della Serbia stessa. Mosca va ancora più avanti. Perché un suo autorevole ministro - Sergej Shojgu, che si occupa delle "situazioni d'emergenza" - afferma (ovviamente a nome del Cremlino) che il futuro status del Kosovo non dovrà essere imposto e il processo negoziale non dovrà essere limitato nel tempo. Il riferimento diretto è alle posizioni scaturite dal recente vertice (svoltosi a Vienna con la mediazione dell'Onu) tra il premier serbo Kostunica e gli esponenti del Kosovo, la provincia ribelle a maggioranza albanese trasformata di fatto in protettorato internazionale dopo la guerra sferrata dalla Nato nel 1999. Secondo Mosca il Kosovo deve restare parte integrante della Serbia. In tal senso la Russia torna a parlare di panslavismo e di solidarietà con il mondo slavo ricolleganosi anche a quanto affermato nei giorni scorsi dal Metropolita del Montenegro Amfilohiy. Il quale, in visita negli Usa, ha tentato di sensibilizzare l'opinione pubblica americana sulla tragedia della comunità serba dei cristiani di fede ortodossa. Lo ha fatto - notano le fonti ufficiali della Russia - perché l' Occidente continua ad ignorare la regolare distruzione in Kosovo dei beni culturali religiosi serbi. Ma non c'è solo questo. Il fatto è che nel Kosovo di oggi la maggioranza dei poliziotti appartiene alla comunità albanese. E le cariche dirigenti sono ricoperte da persone legate all'ex Uck, l'organizzazione terroristica che si è resa colpevole di crimini contro la comunità serba locale. Di questo - denuncia Mosca - l'Occidente non parla. Insiste solo nel sostenere che "bisogna costruire una nazione kosovara in salsa europea". Ma il pericolo reale - precisano quei politologi russi sensibili alle teorie del panslavismo - consiste nel fatto che oggi l'eventuale creazione artificiale di uno spazio geopolitico comune tra serbi-ortodossi e kosovari-musulmani metterebbe a rischio l'intera regione balcanica. Proprio per il fatto che l'Albania punta alla destabilizzazione totale dell'area serba. E come conseguenza ci sarebbe il rischio di un nuovo estremismo in chiave anti-Belgrado.

Mosca teme, quindi, che la questione dell'autonomia generale del Kosovo possa portare a far scatenare, di nuovo, gli albanesi. Tra l'altro è ancora vivo il ricordo di quei giorni quando nel Kosovo venne incendiata una chiesa ortodossa. E non è un caso se proprio ora Mosca vuole ricordare le parole di Vuk Draskovic ex ministro serbo-montenegrino: "La Serbia è stata bombardata per fermare la catastrofe umanitaria in Kosovo e la pulizia etnica degli albanesi, e non per costituire sul territorio di uno Stato un nuovo Stato. Per ora, i politici albanesi non riconoscono fatti ed insegnamenti di un passato troppo doloroso. La rivincita della rivincita, la vendetta della vendetta, dalla sconfitta alla vittoria e dalla vittoria alla sconfitta". Come dire che togliere il Kosovo alla Serbia, significa togliere l'anima ai serbi. Sarà, questo, puro e semplice panslavismo. Ma per Mosca è realpolitik.

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