di Fabrizio Casari

E’ tutt’altro che semplice da risolvere il dilemma del futuro di Edward Snowden, l’ex informatico della NSA che dal 23 giugno scorso si trova in un terminal dell’aeroporto di Mosca. Apparentemente libero è in realtà intrappolato. Una condizione insolita, dal momento che gli è stato annullato il passaporto statunitense e che dunque, formalmente, per uscire da Mosca dovrà disporre di un salvacondotto diplomatico di un paese sovrano.

E qui cominciano i problemi, visto che i paesi ai quali l’ex informatico della NSA si è rivolto sono ben 27, ma solo tre - Venezuela, Nicaragua e Bolivia - hanno finora dato una disponibilità di massima alla concessione di asilo politico. Si potrebbe pensare che la disponibilità offerta dai tre paesi latinoamericani sia più che sufficiente per permettere a Snowden di lasciare Mosca, ma a ben vedere non è proprio così.

La pirateria aerea scatenata da Francia, Spagna, Italia e Austria la scorsa settimana, quando ritenendo che Snowden ne fosse ospite è stato negato il diritto di sorvolo all’aereo presidenziale della Repubblica boliviana con a bordo il suo presidente, Evo Morales, oltre a rappresentare una gravissima violazione delle Convenzioni e delle prassi internazionali e a ricordare il livello di vassallaggio dei paesi europei nei confronti degli Stati Uniti, è servita a ricordare come Washington non abbia nessuna intenzione di permettere all’ex analista della NSA di rifugiarsi in un altro paese. Il fatto che Obama avesse precedentemente dichiarato che non avrebbe fatto alzare in volo i caccia USA per bloccare Snowden è solo un artificio verbale; quali che saranno i modi, cercherà di bloccarlo con tutti i mezzi e grazie all’aiuto di tutti i suoi amici.

In un certo senso, l’ignobile azione europea ha evidenziato come la CIA e i suoi alleati europei non riescano a penetrare a fondo nella rete di protezione che i russi hanno steso intorno a Snowden, ma non si può escludere, in via ipotetica, che l’azione sia stata una mossa tattica. Che fossero certi della presenza a bordo dell’aereo presidenziale boliviano o no, l’occasione è stata sfruttata per indirizzare un messaggio chiaro a russi, cinesi e latinoamericani: gli USA non hanno intenzione di mollare Snowden e sono pronti anche ad azioni eclatanti per mettergli le mani addosso. E che le proteste - peraltro flebili - degli europei per essersi trovati a dover leggere sui giornali di tutto il mondo quello che già sapevano, cioè di essere spiati e controllati dagli USA, non mettono in discussione l’obbedienza dell’Europa verso gli Stati Uniti.

Dunque, nelle operazioni si sorveglianza, monitoraggio ed eventuale intervento per sequestrare Snowden, Washington, Bruxelles e i suoi altri alleati agiranno di concerto. Certo, il trattamento riservato alla Bolivia difficilmente potrebbe essere tollerato da Mosca o Pechino, ma qualunque altro paese latinoamericano, per forza politica e militare oggettiva, potrebbe incorrere nella stessa sorte. E anche una eventuale reazione politico-diplomatica dell’America Latina nel suo complesso, per quanto possa preoccupare la casa Bianca, troverà comunque i paesi satelliti di Wahington (Messico, Colombia, Cile) pronti a rompere l’unità continentale nella reazione contro l’arroganza imperiale.

La palla ora è nel campo russo e la soluzione non è affatto semplice. Intanto perché la rotta naturale di un volo che da Mosca volesse raggiungere il Centro e Sud America vede il sorvolo dell’Italia, successivamente dell’Oceano e prima o poi entra nello spazio aereo statunitense. A meno di non voler passare dal Nord Africa per raggiungere l’Oceano e recarsi verso il Sudamerica (operazione difficile e volo non privo d’incognite simili a quello che sorvolerebbe l’Europa) Mosca dovrebbe assumersi la responsabilità di una crisi politico-diplomatica con Washington. Cosa tutto sommato difficile da credere, anche perché il Cremlino ha avuto già da Snowden tutte le informazioni che gli interessavano.

Discorso simile vale per la Cina, che non solo ha beffato gli USA con una notevole operazione d’intelligence facendo arrivare clandestinamente Snowden a Hong-Kong e ha ottenuto le informazioni che voleva, ma che si è anche aggiudicata un successo politico e mediatico facendo uscire le rivelazioni dell’ex informatico della NSA proprio mente si aprivano i colloqui tra Cina e Usa con questi ultimi che accusavano i cinesi di cyber spionaggio!

E’ ovvio che al momento i dirigenti cinesi si ritengano più che soddisfatti: hanno ottenuto un successo d’intelligence, politico e diplomatico e con le ombre suscitate sui colloqui tra Bruxelles e Washington relativi ai negoziati sul Trattato di libero scambio hanno alzato l’asticella di un possibile accordo tra Europa e USA, traendone così un indiretto vantaggio commerciale. Non sembra quindi ipotizzabile un ulteriore intervento che al momento potrebbe solo danneggiarli.

Senza quindi la partecipazione di Mosca o Pechino nell’operazione, Daniel Ortega, Nicolas Maduro ed Evo Morales non dispongono di grandi margini di manovra per concretizzare la loro disponibilità alla concessione dell’asilo politico. Lo dimostra il caso di Julian Assange, che resta sì ospite dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, ma che non riesce ad uscirne per recarsi a Quito. A Ortega, Maduro e Morales non manca certo il coraggio politico e altrettanto definito risulta il comune senso della solidarietà, al pari dell'avversione per l'arroganza statunitense. Ma la volontà politica e il senso di giustizia potrebbero non bastare.

Il Presidente boliviano, che pure come reazione all’affronto subito nei cieli europei non ha scartato la possibilità di chiudere l’ambasciata statunitense a La Paz, sa che gli stati Uniti sono comunque il terzo partner commerciale delle esportazioni boliviane (1760 milioni di dollari nel 2012). E lo stesso Venezuela, impegnato in una delicata riapertura di dialogo con gli Stati Uniti, ha nel mercato statunitense il suo primo partner commerciale, al quale vende 900.000 barili di petrolio al giorno.

Idem dicasi per Ortega, che ha reso nota la lettera con la quale Snowden chiede asilo e che si è detto pronto ad accoglierlo "con molto piacere", ma che pure sa di avere negli Stati Uniti il suo primo partner commerciale (29% delle sue esportazioni) e riceve da essi ulteriori 25 milioni di dollari annui in prestiti e donazioni cui è difficilissimo rinunciare. Non a caso il Presidente del Nicaragua ha precisato che l’asilo sarà possibile “se si verranno a creare le condizioni”, intendendo con ciò che la disponibilità del Nicaragua è legata ad un accordo internazionale che veda comunque gli Stati Uniti disponibili, pur se non certo contenti.

Snowden quindi, potrà lasciare l’aeroporto di Mosca solo sulla base di un accordo politico con Washington oppure con una azione d’intelligence gestita da Mosca, che però scaricherebbe volentieri in America Latina l’ormai scomodissimo ospite. Ma sarebbe ingeneroso chiedere a dei piccoli paesi di assumere su di essi uno scontro virulento con il gigante mondiale in nome del rispetto dei principi del Diritto Internazionale quando i più potenti se ne lavano le mani.

D’altra parte, un’operazione ad alto rischio come questa, di solito prima la si fa, poi, eventualmente e se serve, la si annuncia, non il contrario.

Al momento, quindi, per Snoweden a Mosca sembra ripetersi il destino di Assange a Londra. Un meccanismo forse inevitabile per chi, pur meritorio dell’ammirazione di tutti, di fronte alla “ragion di stato”, da risorsa per alcuni è diventato ormai un problema per quasi tutti.



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