di Fabrizio Casari

Mancano pochi giorni alla cerimonia d'insediamento del neo eletto Presidente della Bolivia Evo Morales e l'attesa dell'evento scatena entusiasmi da un lato e preoccupazioni dall'altro. La vittoria dell'ex leader dei cocaleros boliviani, artefice della loro organizzazione sindacale e politica, uomo simbolo per le rivendicazioni dei diseredati del paese andino, uno dei più poveri del continente con Haiti e Nicaragua, è arrivata con un risultato straordinario: quasi il 55% dei voti al primo turno e nonostante si sia impedito di votare ad un milione di contadini, cancellati con trucchi e raggiri dalle liste elettorali. Mai nella storia della Bolivia una elezione aveva avuto un esito numericamente simile. L'entusiasmo di coloro che non hanno nulla è alle stelle. Le preoccupazioni sono quelle dell'oligarchia boliviana, detentrice di ricchezze e favori, sostenuta dagli Stati Uniti nei confronti dei quali ha elargito risorse del apese ed obbedienza, mentre il gusto del comando se l'era riservato per l'interno del paese. Una classe dedita all'accumulo di tutto: ricchezza, status symbol ed insofferenza per gli indigeni, titolari unici dell'accumulo di repressione e disperazione sociale.

La vittoria di Evo Morales è l'arrivo di un cammino lungo, che ha acquistato forza in anni e anni di lotte. In particolare dalla fine degli anni '90 in poi, quando i coltivatori di coca riescono ad impedire lo sradicamento delle coltivazioni voluto dagli Stati Uniti ed appoggiato dal presidente Hugo Banzer, prima dittatore golpista, poi eletto. La mobilitazione vittoriosa fu solo l'inizio di un cammino che nell'aprile del 2000 vide battersi i contadini della regione di Cochabamba contro la legge di privatizzazione dell'acqua a vantaggio di una multinazionale francese. La vittoria popolare diede vita, come nelle migliori tradizioni, ad una nuova forma di rappresentanza politico-sociale chiamata "Coordinamento per l'acqua e per la vita". Dopo tante sconfitte - l'ultima quella dei minatori nella metà degli anni '80 - le organizzazioni popolari uscivano dalla fase difensiva per passare a quella offensiva.

Nel settembre dello stesso anno le lotte sociali si radicalizzarono e si ampliarono: occupazione di interi territori attraverso blocchi stradali e città circondate dai contadini. Dal 2001 il Coordinamento per l'acqua e per la vita, insieme alle organizzazioni contadine e sindacali del Chaparè - la tradizionale zona dei cocaleros - bloccano la zona occidentale del paese, da La Paz a Cochabamba. Sono lotte che reagiscono ad una situazione sociale drammatica, prodotto di ricette economiche neoliberiste che in dieci anni fanno perdere 9000 posti di lavoro nei campi, mentre si decuplicano le famiglie che sono impiegate in economie di sussistenza. Nelle città, il tasso di disoccupazione aumenta del 10 per cento. Il 20 per cento della popolazione più ricca ha un reddito trenta volte più alto del 20 più povero. La condizione di estrema povertà riguarda il 60 per cento assoluto della Bolivia, ma se si analizza il dato nelle zone rurali, dove due milioni e mezzo di contadini lavorano con l'aratro, allora la povertà estrema passa dal 60 al 90% della popolazione.

Estrazione del petrolio, del gas, sistema di telecomunicazioni e banche, alcuni settori industriali: questi sono gli unici settori dove la tecnologia appare a togliere il paese dal medioevo.
Come in tutte le ricette liberiste applicate in America Latina, al fianco di malattie endemiche e tassi di sottosviluppo, appaiono i cyber caffè, le macchine di lusso, i vestiti firmati e le feste sfarzose.
Ne usufruiscono i più ricchi tra i ricchi, li pagano i più poveri tra i poveri.
Per ridurre la distanza, le organizzazioni sociali e sindacali pagano il prezzo di 53 morti negli scontri del 2003, quando lavoratori, minatori e contadini stringono d'assedio il Parlamento ed impongono la fuga di Sanchez De Losada, detto "el gringo" per via del suo accento statunitense, che ben si adatta al suo pensiero, statunitense anch'esso.

La vittoria delle organizzazioni sociali, riunite nel MAS (Movimento Al Socialismo), è l'inizio di una nuova era per il Paese Andino. Il riscatto e la possibilità di governarsi degli indigeni, che rappresentano il 70% della popolazione, verrà scritto in Costituzione, con l'apertura di una Assemblea Nazionale Costituente che darà dignità legislativa e politica ad una nazione multiculturale e multietnica. Cinquecentotredici anni dopo la colonizzazione, la Bolivia riprende il suo cammino.
I boliviani non saranno più stranieri in patria.

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