di Carlo Benedetti

MOSCA. Centocinquanta milioni di abitanti, un territorio di 17 milioni di chilometri quadrati dalle coste del mar Glaciale Artico alle steppe dell'Asia centrale. Tutto sotto il controllo di una nuova nomenklatura che vede in testa cinquanta nomi eccellenti. Personaggi che fanno parte, per lo più, dell'entourage presidenziale. Sono l'avanguardia di una nuova classe post-sovietica. Coinvolti nelle operazioni finanziarie più sfacciate. Legati agli ambienti economici degli Usa e di Israele, alle grandi banche internazionali, alle holding del petrolio e del gas. Sfuggono tutti a qualsiasi catalogazione sociale. Ora i loro nomi sono di pubblico dominio e i russi, che si accingono ad affrontare le elezioni regionali e presidenziali (nel 2008), cominciano a seguire con sempre maggiore interesse quanto scrive in merito quella stampa che conserva ancora una certa libertà nei confronti dei diktat del Cremlino. Irrompono nella scena del paese scenari degni di storie gialle. Viene fuori, a poco a poco, un ritratto impressionante su quanto avvenuto dal 1991 ad oggi. E cioè dal momento del crollo dell'Urss sino a questa situazione politica ed economica che vede la Russia nuotare ancora in un mare di difficoltà: una società civile che non decolla, una sfiducia totale nelle istituzioni, un vuoto di idee e di speranze. E di conseguenza un vertice padronale che si è abituato al comando di stampo sovietico: senza controlli da parte della base e senza una "società" capace di farsi sentire. I nomi di questi nuovi padroni-oligarchi li sfodera un quotidiano coraggioso come "Nezavisimaja gazeta" che presenta anche i loro volti. In evidenza ci sono i primi cinque della lista: tutti bene in posa con foto segnaletiche, sguardo penetrante, contenti e ben messi. Sicuri, soprattutto, perchè i loro conti in banca sono custoditi nelle finanziarie dell'occidente. E protetti "politicamente" e "giuridicamente" dalle mura del Cremlino, una fortezza che ormai ricorda sempre più Fort Knox, quella base americana del Kentucky, nei pressi di Louisville, nella quale è custodita la riserva aurea degli Usa.

E veniamo ai Paperoni. In testa c'è Aleksej Miller - classe 1962 - re del gas. Astuto ed intraprendente. Carrierista di prim'ordine. Guida una holding - la Gazprom - che non ha pari nella Terra. Il salto nei grandi affari l'ha fatto dopo essere stato ministro dell'Energia. Quando ha avuto sotto mano i principali bacini carboniferi degli Urali, della regione di Mosca, del Kuzbass, della Jacuzia, dello Enisej, dell'isola di Sachalin e della Kamcatka. Ha controllato l'industria del petrolio: le principali zone di produzione tra il Volga e gli Urali meridionali, nella zona della Peciora e nella Siberia occidentale. Ha gestito i giacimenti di gas naturale diffusi su tutto il territorio e collegati con gasdotti alle aree industriali del paese, oltre che alla rete europea. In pratica Miller ha diretto il mondo produttivo dell'intera Russia: una rete globale di imprese, affari e progetti.

Segue nella lista Anatolij Cubajs (1955) - che dapprima ha costruito la sua fortuna grazie alla stretta amicizia con la famiglia di Eltsin, poi grazie alla politica economica relativa ad una generale "privatizzazione" della società uscita dall'Urss: terre, banche, edifici, strutture, aziende, miniere, società editoriali ... Cubajs, il rosso come lo chiamano in Russia, (ma è solo per il colore dei suoi capelli...) è stato appunto il regista della restaurazione del capitalismo russo e del liberismo più sfrenato. Per la maggior parte dei russi è il responsabile dell'impoverimento di vasti strati popolari con la sua politica di "azionariato popolare" (1992) che è servita solo a far lievitare i prezzi e ad arricchire un ristrettissimo gruppo di "nuovi russi". Per lui le stanze del Cremlino sono sempre aperte e i nuovi bojari lo temono.

C'è poi Roman Abramovic (1966), un volto sorridente da eterno bambino. Ma in realtà un duro. E' stato artigliere nell'esercito e, una volta abbandonata la divisa, ha frequentato un istituto specializzato nel petrolio e nel gas. Qui ha conosciuto alcuni personaggi i quali, col passare dagli anni, sono divenuti i manager dell'industria petrolifera. Giocatore d'azzardo carico di odio contro la società. Pronto ai compromessi, ma sempre sulla base dei dollari, Abramovic ha superato i suoi maestri. Grazie agli agganci politici ha conquistato pacchetti azionari di tutto rispetto, sino a giungere al controllo di interi settori produttivi. Poi si è voluto rivolgere alla politica scendendo in campo in una delle regioni più dimenticate della Russia: la Ciukotka. Qui, a colpi di dollari elargiti in fase preelettorale, è divenuto Governatore dell'intera zona: un'area di 737,7 mila chilometri quadrati con 127.000 abitanti. Temperature invernali che vanno dai 38 ai 55 sotto zero. In compenso giacimenti di carbone, oro, stagno, tungsteno. Tutto sotto il suo controllo. Ma è chiaro che segue la Ciukotka solo da lontano utilizzandola per i suoi fini.

Il quarto posto nella lista dei padroni spetta poi a Vagit Alekperov (1950), il boss della compagnia petrolifera Lukojl. Si è conquistato il titolo di "Zar del petrolio" dopo aver navigato nelle più grandi compagnie minerarie della Siberia. Appoggiato dal Cremlino di Eltsin ha poi trovato in Putin una nuova e forte sponsorizzazione. Ed ora è l'uomo che vende l'oro nero determinando i movimenti delle maggiori borse del mondo. Infine, in questo quintetto di testa, c'è Sergej Pugacev (1963), l'uomo delle banche: dirigente della potente finanziaria Mezprombank. E' riuscito a dare alla sua carriera - che si è dipanata in un mondo di operazioni economiche spesso al limite della legalità - una veste di rispettabilità pubblicando opere dedicate al sistema bancario e alle transazioni. Ora i grandi complessi finanziari non si muovono senza il suo consenso.

Seguono, nel ritratto di famiglia del capitalismo selvaggio che domina la Russia, altri 45 nomi come indica la stampa di Mosca. Vediamone alcuni da vicino. C'è Semen Vajnstok ( 1947) che è alla testa del trust Transneft e che naviga - anche lui - nel mare di petrolio della Russia. Poi c'è Michail Fridman (1964) che dal mondo dei computer è entrato prepotentemente in quello delle banche, arrivando a fondare l' Alfa group che controlla una rete parallela di organizzazioni finanziarie. Alla testa dei trust Basovoj element e Russkij aluminium c'è Oleg Deripaska (1968), che è considerato lo zar delle produzioni minerarie degli Urali, del Kuznetsk e della Siberia centrale. Dirige con le sue holding le produzioni di uranio, manganese, cromo, alluminio, nichel, zinco, rame, piombo... Collegato al Cremlino, ma anche ad un partito che si colloca nell'area degli oppositori scontenti, come "Jabloko" di Javlinskij.

Altra figura di rilievo in qusto olimpo dei padroni è Petr Aven (1955), un astuto carrierista che ha trovato sempre gli appoggi giusti nel mondo della politica e nei corridoi del Cremlino. Entrato in contatto con l'oligarca Beresovskij ha spiccato il volo verso l'alta finanza sino alla direzione dell' Alfa bank. Anche German Chant (1961) fa parte dei Paperoni della Russia. Ha cominciato la scalata nel momento in cui Eltsin favoriva lo sviluppo di quelle cosiddette cooperative che sarebbero divenute la base del nuovo capitalismo russo. Passo passo Chant ha seguito gli sviluppi del vertice politico andando ad occupare posti di rilievo nelle maggiori holding.

E infine, in questo elenco sommario, spiccano i nomi di Vladimir Evtusenkov (1948) e di Elena Baturina (1963). Il primo è l'uomo di una piovra economica e commerciale che si chiama Sistema. Si tratta di un complesso di aziende e di finanziarie con interessi che vanno oltre i confini della Russia. Appoggiato da ambienti della diplomazia e al sindaco di Mosca, Evtusenkov è riuscito a stabilire contatti con il mondo occidentale e, di conseguenza, affari e transazioni. Infine ecco la regina del business: Elena Baturina (1963), che è alla testa della struttiura economica e commerciale della Inteko. Si trova in compagnia delle più ricche del mondo e secondo l'autorevole rivista economica americana Finans vale "più di un miliardo di dollari". E un'altra rivista - Forbes - la colloca al 35mo posto tra i "cento Paperoni" della Russia quando ha aggiunto ai suoi mestieri quello - lucrosissimo - di palazzinara in una Mosca che è in tumultuoso boom edilizio e dove suo marito, Jurij Luskov, è sindaco. Attiva, quindi, nel settore immobiliare (nella capitale gli appartamenti di standard europeo costano spesso e volentieri più di cinquemila dollari al metro quadro), ha interessi anche nella grande distribuzione e nei servizi finanziari. Il mondo degli affari russi riserva poi altre "sorprese", con nomi eccellenti che escono anche dalle cosche mafiose che pullulano nell'immenso territorio el Paese. Si profila sempre più una nuova dimensione politico-sociale che ha già effetti rilevanti sulle relazioni internazionali.

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