di Michele Paris

L’assassinio avvenuto mercoledì scorso di un leader dell’opposizione secolare in Tunisia ha fatto precipitare nel caos un paese che continua ad essere attraversato da profonde tensioni sociali a oltre due anni dalla deposizione del presidente e autocrate Zine el-Abidine Ben Ali. Nonostante la pretesa, propagandata da media e governi occidentali, di una transizione relativamente pacifica e indolore, additata come modello per gli altri paesi sconvolti dalla Primavera Araba, il nuovo regime non ha infatti risolto nessuna delle contraddizioni che avevano fatto esplodere le proteste tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, lasciando intatto un sistema economico e sociale che non ha nulla da offrire alla vasta maggioranza della popolazione tunisina.

Come è ormai noto, il 47enne Chokri Belaid è stato ucciso nella mattinata di mercoledì mentre stava salendo in auto fuori dalla propria abitazione in un elegante quartiere di Tunisi. Secondo il ministro dell’Interno, dei testimoni avrebbero visto due uomini armati sparare quattro colpi contro il politico tunisino prima di fuggire.

Nonostante il modesto risultato del suo partito dei Patrioti Democratici nelle elezioni seguite alla rivoluzione, Belaid era emerso come uno dei più attivi leader dell’opposizione e da tempo stava cercando di creare un blocco unitario delle forze di centro-sinistra da opporre al governo guidato dal partito islamista moderato Ennahda. Nei giorni precedenti il suo assassinio, Belaid aveva intensificato le critiche nei confronti dell’esecutivo, accusandolo in particolare di non avere fatto abbastanza per contenere l’influenza nel paese degli integralisti islamici salafiti.

Quello che è stato definito come il primo assassinio politico dalla caduta di Ben Ali ha fatto dunque esplodere nuovamente le proteste contro il governo in tutto il paese, con violenti scontri tra polizia e manifestanti registrati in particolare mercoledì di fronte alle sedi del Ministero dell’Interno tunisino e di Ennahda, soprattutto dopo che i familiari di Belaid avevano espressamente accusato il partito al potere per la sua morte.

Le ripercussioni politiche dell’omicidio e delle proteste di piazza si sono fatte subito sentire, così che il primo ministro islamista, Hamad Jebali, ha annunciato nella tarda serata di mercoledì le dimissioni del suo governo. Al posto di quest’ultimo, Jebali ha invocato la formazione di un esecutivo “tecnico” che dovrebbe ricevere il sostegno di tutte le forze politiche tunisine e rimanere in carica fino alle prossime elezioni, da tenersi il più presto possibile.

L’iniziativa di Jebali, secondo quanto riportato giovedì dalla Reuters, è stata però respinta dal vice-presidente di Ennahda, Abdelhamid Jelassi, poiché il premier non si sarebbe consultato con i vertici del suo partito prima di annunciare la propria volontà di formare un governo di unità nazionale.

Per Jelassi, il paese continua ad avere bisogno di un governo politico, possibilmente sostenuto da una coalizione più ampia di quella attuale. I principali partiti dell’opposizione, in ogni caso, hanno per ora negato di essere interessati ad appoggiare un governo tecnico ma non hanno escluso la possibilità di entrare a far parte di un nuovo gabinetto politico.

I membri del governo e i leader islamisti stanno inoltre lanciando una serie di appelli alla calma, dal momento che la nuova classe dirigente tunisina è ben consapevole della profonda inquietudine che attraversa da tempo il paese. Per questo, il premier e i suoi più stretti collaboratori hanno cercato di placare la rabbia della popolazione facendo riferimento alla rivoluzione e all’unità nazionale. Lo stesso Jebali ha così affermato che il vero obiettivo dell’assassinio di Belaid “è la rivoluzione tunisina nel suo insieme”, mentre il ministro dell’Interno, Ali al-Areed, ha definito la morte del leader dell’opposizione “un attacco contro tutti i tunisini”.

Il panico diffusosi rapidamente tra gli esponenti del governo e di Ennahda dimostra a sufficienza come la loro rappresentazione della Tunisia “rivoluzionaria” odierna sia distante anni luce dalle aspirazioni della gran parte della popolazione. Nonostante la retorica, l’appello del capo del governo e dei vertici del partito islamista per la difesa della rivoluzione, infatti, è volto in realtà alla salvaguardia di un sistema che ha lasciato intatti i rapporti di classe precedenti alla cacciata di Ben Ali, installando semplicemente una nuova classe dirigente borghese ben decisa ad inserire stabilmente il paese nord-africano nei circuiti del capitale internazionale.

In un momento di estrema tensione, dunque, l’invito fatto alle forze dell’opposizione a serrare i ranghi e sostenere un nuovo governo serve precisamente a placare i malumori diffusi nel paese ed evitare che la situazione sfugga di mano alle élite politiche tunisine. Nuovi disordini potrebbero però riesplodere già nella giornata di venerdì, quando, in concomitanza con i funerali di Belaid, i più importanti sindacati tunisini hanno indetto uno sciopero generale.

Gli stessi partiti di opposizione intendono comunque sfruttare le proteste popolari solo per fare pressioni sul governo ed entrare eventualmente in un nuovo esecutivo. Le dichiarazioni di vari leader dell’opposizione secolare in questi giorni riflettono precisamente questa posizione. Maya Jribi del Partito Repubblicano, ad esempio, ha affermato che “ora sono necessarie consultazioni con tutte le forze politiche”, mentre l’ex primo ministro, Beji Caid Essebsi, da parte sua ha chiesto le dimissioni di tutto il governo, incluso il primo ministro.

Per l’opposizione, insomma, la crisi innescata dall’assassinio di Chokri Belaid serve solo per i propri calcoli politici, dal momento che i suoi leader, come quelli del governo islamista, temono fortemente l’esplosione di una nuova rivolta nel paese.

La continua implementazione di politiche neo-liberiste da parte del governo di Ennahda, d’altra parte, ha causato negli ultimi mesi un aumento vertiginoso di scioperi e proteste in tutta la Tunisia. Queste manifestazioni sono state spesso affrontate duramente sia dalle forze di sicurezza che da organizzazioni legate agli islamisti al potere, alimentando ancora di più il risentimento popolare nei confronti di un governo incapace di far fronte a disoccupazione e povertà diffusa.

Sui principali media internazionali, tuttavia, la crisi in cui sembra essere nuovamente precipitata la Tunisia è stata collegata pressoché esclusivamente alla crescente influenza nel paese dei gruppi islamisti radicali salafiti, tra le cui fila secondo alcuni andrebbero cercati gli autori dell’assassinio di Belaid. Secondo questa interpretazione, infatti, sarebbero i salafiti i responsabili principali degli ostacoli che sta incontrando un processo di transizione altrimenti fondato su solide basi democratiche.

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