di Michele Paris

Nel ballottaggio della prima elezione diretta per la presidenza della Repubblica Ceca, il candidato di centro-sinistra, l’ex premier Miloš Zeman, ha staccato di quasi dieci punti percentuali l’attuale ministro degli Esteri, Karel Schwarzenberg, correttamente identificato dagli elettori con le politiche impopolari messe in atto dal governo di Praga. Il risultato del voto nel secondo turno di venerdì e sabato ha così evidenziato una chiara opposizione nel paese mitteleuropeo per le misure di austerity che una serie di deboli governi di centro-destra ha messo in atto per contrastare la crisi economica.

A dare un’idea del sentimento popolare nei confronti dell’esecutivo era stato, già nel primo turno dell’11 e 12 gennaio scorso, vinto di misura da Zeman, anche il risultato disastroso del candidato alla presidenza per il partito del premier Petr Ne?as (Partito Democratico Civico, ODS). In quella tornata elettorale, l’ex presidente del Senato, P?emsyl Sobotka, si era infatti piazzato ottavo su nove candidati, raccogliendo poco meno del 2,5% dei consensi.

La sfida tra i due candidati che hanno conquistato l’accesso al secondo turno - Zeman e Schwarzenberg - si è dunque risolta in una sorta di referendum per le politiche del governo, sonoramente bocciate dall’elettorato malgrado la chiara preferenza della maggior parte dei media locali e degli ambienti di potere internazionali per il ministro degli Esteri in carica. I dati definitivi hanno assegnato a Miloš Zeman il 54,8% dei voti contro il 45,2% del rivale conservatore.

A pesare sulla sorte di Schwarzenberg in tempi di crisi e di assalti alle condizioni di vita delle classi più disagiate, è stata forse anche la sua appartenenza ad una famiglia multi-miliardaria dell’aristocrazia boema, tornata in Cecoslovacchia solo nel 1989 dopo l’auto-esilio in Germania e in Austria seguito all’instaurazione del regime stalinista a Praga nel 1948. Quest’ultimo periodo della vita di Schwarzenberg è stato anche utilizzato in campagna elettorale per suscitare sentimenti nazionalisti, sia da Zeman che dal presidente uscente, Václav Klaus, schieratosi apertamente con il vincitore nonostante le presunte differenze ideologiche.

Proprio la fine dell’era del discusso Klaus dopo un decennio alla presidenza, secondo i media internazionali, dovrebbe segnare ora una distensione nei rapporti della Repubblica Ceca con le istituzioni europee. Klaus, infatti, è sempre stato un fiero oppositore dell’integrazione europea ed ha inoltre un rapporto estremamente burrascoso con il primo ministro Necas, anche se il partito di quest’ultimo è stato fondato proprio dall’attuale presidente.

Le relazioni tra la più alta carica dello stato e l’esecutivo non promettono comunque nulla di buono dopo la conquista della presidenza da parte di Zeman, il quale poche ore dopo l’annuncio dei risultati definitivi ha infatti immediatamente invocato elezioni anticipate. Il governo di minoranza di Necas è d’altra parte in crisi da tempo, essendo costretto a fare affidamento sul sostegno di alcuni deputati indipendenti dopo aver perso la propria maggioranza in parlamento lo scorso anno in seguito ad una serie di scontri tra i partiti che lo appoggiavano.

Le politiche di austerity messe in atto dietro indicazione degli ambienti finanziari internazionali hanno poi prodotto un crollo di consensi nel paese per il governo, come avevano confermato le elezioni per il rinnovo del Senato dello scorso novembre. A questa tornata elettorale aveva partecipato solo il 36% degli aventi diritto e i partiti della coalizione di governo erano stati severamente puniti. L’ODS di Necas, ad esempio, aveva fatto segnare il peggiore risultato della sua storia, mentre il partito TOP 09 di Schwarzenberg aveva ottenuto appena tre senatori su 81.

Il colpo di grazia alla popolarità del governo e alle chance di installare un proprio uomo alla presidenza, infine, è giunto probabilmente poche settimane fa, quando in accordo con il presidente Klaus è stata decisa un’amnistia per oltre sei mila detenuti con pene inferiori ai dieci anni, tra i quali molti condannati per corruzione e frode finanziaria.

Dal canto suo, alla luce del primo voto popolare per il capo dello stato, Zeman potrà contare su un mandato presidenziale più solido rispetto ai suoi predecessori e per questo ha promesso in campagna elettorale di adoperarsi per un improbabile allentamento delle misure di rigore e per un altrettanto inverosimile aumento della spesa pubblica. La sua opposizione alle misure di austerity è stata d’altra parte la carta vincente in una sfida che ha avuto al centro del dibattito proprio il deficit dello stato e i metodi per affrontarlo.

Fino al 2008, il presidente ceco era sempre stato eletto dal parlamento, finché una modifica costituzionale approvata lo scorso anno ha introdotto l’elezione diretta. I poteri del presidente della repubblica non sono comunque soltanto cerimoniali, dal momento che questa carica ha la facoltà, tra l’altro, di nominare il capo del governo, il governatore e i membri del direttivo della Banca Centrale, i giudici della Corte Suprema e Costituzionale, ma anche di porre il veto alle leggi promulgate dal parlamento.

68 anni compiuti lo scorso settembre, Miloš Zeman fu membro del Partito Comunista Cecoslovacco per un breve periodo, prima di esserne espulso nel 1970 per avere criticato l’invasione sovietica del suo paese. Impegnato in prima persona nella cosiddetta “Rivoluzione di Velluto” del 1989, Zeman ha occupato la carica di primo ministro per il Partito Social Democratico (?SSD) in un governo di minoranza tra il 1998 e il 2002, conducendo le trattative per il futuro ingresso della Repubblica Ceca nell’Unione Europea, avvenuto nel 2004.

Nel 2003, Zeman sarebbe stato poi sconfitto nella corsa alla nomination del suo partito per la presidenza, quando il parlamento optò per Klaus, e nel 2007 lasciò il Partito Social Democratico in polemica con la nuova leadership, per formare due anni dopo il Partito dei Diritti Civili (SPO). Politico populista e senza peli sulla lingua, Zeman è anche famoso per imbarazzanti uscite pubbliche anti-islamiche e caratterizzate da un certo scetticismo verso le teorie universalmente accettate del riscaldamento globale.

Nonostante le promesse di invertire la rotta rispetto all’austerity promossa in questi anni dal governo in carica, non è chiaro come l’annunciato perseguimento di politiche espansive e progressiste possa conciliarsi con la volontà di Zeman di integrare maggiormente il suo paese nell’Unione Europea e di adottare la moneta unica nel prossimo futuro.

Eventuali elezioni anticipate, in ogni caso, potrebbero portare alla formazione di un governo maggiormente in sintonia con il presidente eletto. I più recenti sondaggi indicano infatti la possibilità di conquistare una comoda maggioranza in parlamento per l’alleanza di centro-sinistra ora all’opposizione e formata dal Partito Social Democratico, dal Partito Comunista (KS?M) e, appunto, dal Partito dei Diritti Civili di Miloš Zeman.

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