di Michele Paris

I rapporti tutt’altro che amichevoli tra Barack Obama e il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, sono stati messi in luce ancora una volta nei giorni scorsi dalle rivelazioni riportate da un commentatore americano molto vicino alla Casa Bianca. Il presidente democratico avrebbe cioè manifestato ad alcuni suoi collaboratori tutti i timori per un governo, come quello di Tel Aviv, che insiste a tenere una linea di condotta contraria agli interessi americani e di Israele stesso.

Le parole di Obama sono state pubblicate in un commento di Jeffrey Goldberg - da alcuni definito il più influente giornalista in America sulle questioni relative a Israele - pubblicate nella mattinata di martedì dal sito web di Bloomberg News. L’editorialista della rivista The Atlantic ha raccontato di una circostanza avvenuta alla Casa Bianca poco dopo il voto dello scorso novembre all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha riconosciuto la Palestina come stato osservatore non-membro, e la ritorsione del governo Netanyahu, messa in atto con il via libera alla costruzione di circa tre mila nuove unità abitative illegali in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

In riferimento a quest’ultima decisione, Obama avrebbe confidato alle persone presenti di non essere affatto sorpreso dal comportamento di Netanyahu, poiché le sue politiche auto-lesioniste sarebbero ormai una consuetudine.

Inoltre, ha affermato Goldberg, nelle settimane successive al voto ONU, il presidente americano avrebbe più volte detto che il governo di “Israele non sa ciò è che nel proprio interesse” e che, “dopo ogni annuncio di un nuovo insediamento, Netanyahu spinge sempre più il proprio paese verso un quasi totale isolamento”. Per Obama, poi, “se Israele, un piccolo stato situato in una regione inospitale, dovesse diventare una sorta di paria, alienandosi anche gli Stati Uniti, il suo ultimo e fedele alleato, non potrebbe sopravvivere. Mentre l’Iran rappresenta una minaccia immediata alla sopravvivenza di Israele, il comportamento del suo governo è invece una minaccia a lungo termine”.

Secondo Goldberg, Obama avrebbe anche usato toni insolitamente duri nei confronti di Netanyahu, definendolo un “codardo” dal punto di vista politico, poiché non avrebbe la volontà di rischiare di suscitare le ire della “lobby degli insediamenti” e scendere a compromessi per far ripartire un processo di pace sempre più ingolfato con i leader palestinesi. Singolarmente, questa stessa definizione di Netanyahu potrebbe essere applicata al comportamento proprio dello stesso Obama nei confronti di Israele, caratterizzato da un rifiuto ad esercitare qualsiasi pressione in maniera ufficiale su Tel Aviv per evitare gli attacchi delle potenti lobby sioniste negli Stati Uniti.

L’articolo di Jeffrey Goldberg, la cui autenticità è ovviamente impossibile da verificare, ha tutto l’aspetto di una finta rivelazione relativa ad una conversazione riservata, pubblicata con il consenso del presidente Obama per trasmettere un messaggio al capo del governo di Israele alla vigilia delle elezioni parlamentari.

A condividere questa tesi è sostanzialmente anche il quotidiano israeliano Haaretz, il quale martedì ha scritto che l’articolo del giornalista americano su Bloomberg News sarebbe il risultato di “un briefing tra i principali consiglieri della Casa Bianca”. Tanto più che Goldberg, ricorda il commento di Haaretz, in svariate occasioni negli ultimi quattro anni ha fatto da tramite per i messaggi pubblici indirizzati dalla Casa Bianca al primo ministro israeliano, sia riguardo la questione palestinese che quella del nucleare iraniano.

In questa occasione, l’articolo di Goldberg dovrebbe servire a convincere Netanyahu a fare qualche concessione in vista di una possibile riapertura dei negoziati di pace con l’Autorità Palestinese e possibilmente ad ammorbidire la sua posizioni in merito al nucleare iraniano. La condotta israeliana continua infatti ad avere ripercussioni negative sulla posizione degli Stati Uniti in Medio Oriente e Washington non intende danneggiare i rapporti con paesi considerati fondamentali per la difesa dei propri interessi nella regione, come Egitto e Turchia, i quali con Israele hanno avuto più di uno scontro nel recente passato proprio attorno alla irrisolta questione palestinese.

Per rafforzare il messaggio, Goldberg ha delineato anche ipotetici provvedimenti di fronte al persistere della linea dura da parte del governo Netanyahu. In particolare, l’amministrazione Obama potrebbe modificare la propria politica di difesa incondizionata di Israele nei consessi internazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite. Come ammette lo stesso Goldberg, simili conseguenze sono però alquanto improbabili, dal momento che, al di là dell’antipatia personale tra Obama e Netanyahu e delle preoccupazioni per gli interessi americani in Medio Oriente, Washington continuerà a schierarsi a fianco del proprio alleato.

Secondo gli osservatori più ottimisti, tuttavia, qualche timida pressione su Tel Aviv potrebbe giungere durante il secondo mandato di un presidente Obama svincolato da preoccupazioni elettorali, come dimostrerebbero le recenti nomine al Dipartimento di Stato e al Pentagono di John Kerry e Chuck Hagel, due politici mostratisi talvolta in passato relativamente critici di Israele.

Il messaggio di Obama inviato tramite il pezzo di Goldberg, prevedibilmente, non è stato accolto con particolare favore da un Netanyahu in piena campagna elettorale. Nel corso di una visita al confine con la striscia di Gaza nella giornata di martedì, il premier, accompagnato dal suo ministro della Difesa, Ehud Barak, ha risposto fermamente al presidente americano, affermando che “soltanto i cittadini israeliani possono decidere chi rappresenti al meglio i loro interessi vitali”.

Netanyahu, inoltre, ha ostentato la resistenza del suo governo negli ultimi quattro anni a “pressioni enormi” in merito all’Iran, al ritorno ai confini precedenti il 1967 e agli insediamenti a Gerusalemme Est, come se fosse un merito avere minacciato lo scoppio di una guerra illegale contro la Repubblica Islamica o continuare a perseguire una politica di espansione delle colonie universalmente condannata e considerata in violazione del diritto internazionale. In un’elezione alle porte segnata dall’ulteriore spostamento a destra del baricentro politico israeliano, d’altra parte, Netanyahu non può per il momento permettersi nessun segno di debolezza o concessioni, nemmeno verso gli Stati Uniti.

Al di là degli obiettivi strategici totalmente condivisi tra USA e Israele, la freddezza che caratterizza i rapporti tra Obama e Netanyahu è in ogni caso reale e, in una certa misura, potrebbe contribuire a modellare quanto meno le sfumature delle politiche decise a Washington e a Tel Aviv. Se effettivamente pronunciate, le dure parole di Obama riportate da Jeffrey Goldberg questa settimana sarebbero così solo l’ultimo dei numerosi episodi che testimoniano l’insofferenza reciproca tra i due leader.

Solo per citare due dei momenti di imbarazzo che hanno trovato ampia eco sulla stampa internazionale, vanno ricordati il rifiuto da parte di Obama di incontrare Netanyahu nel settembre dello scorso anno a margine dell’annuale convocazione dell’Assemblea Generale dell’ONU e il celebre fuori onda del novembre 2011.

In quest’ultima occasione, durante una pausa del G20 in corso a Cannes, l’allora presidente francese Sarkozy, credendo che i microfoni fossero spenti, confidò a Obama di non potere più sopportare Netanyahu, definendolo senza mezzi termini un “bugiardo”. Il presidente americano, allora, non perse tempo a mostrare la propria solidarietà al collega, aggiungendo: “Tu non ne puoi più di lui, ma sono io a doverci trattare tutti i giorni!”.

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