di Michele Paris

A 33 anni di distanza dall’assassinio del dittatore Park Chung-hee, gli elettori della Corea del Sud hanno consegnato mercoledì la presidenza alla figlia di quest’ultimo, la 60enne deputata Park Geun-hye. La leader del partito conservatore Saenuri al potere ha sconfitto di misura lo sfidante, l’ex attivista per i diritti umani, Moon Jae-in, assicurando per la prima volta in assoluto ad una donna la più importante carica politica del paese asiatico.

Park Geun-hye, come avevano sostanzialmente mostrato i primissimi exit poll, ha raccolto il 51,6% dei voti espressi, contro il 48% del candidato del Partito Democratico Unito (DUP) di centro-sinistra. L’affluenza è stata del 75,8%, vale a dire quasi 13 punti percentuali in più rispetto alle presidenziali del 2007. La neo-presidentessa della Corea del Sud ha anche ottenuto oltre quattro milioni di voti in più del suo collega di partito, il presidente uscente Lee Myung-bak, quando fu eletto cinque anni fa senza riuscire a sfondare la soglia del 50%.

Questi numeri, assieme alla sconfitta già incassata lo scorso aprile nelle elezioni per il rinnovo del parlamento, riassumo il totale fallimento del tentativo del DUP di presentarsi come alternativa di governo ad un partito conservatore le cui politiche ultra-liberiste di questi anni hanno incontrato forti resistenze tra la popolazione sudcoreana e che a febbraio aveva addirittura cambiato il proprio nome (da Grande Partito Nazionale) per dare una qualche impressione di cambiamento e tamponare il crollo di consensi tra gli elettori.

La corsa alla presidenza di Moon, inoltre, avrebbe dovuto trarre più di un beneficio dal ritiro alla vigilia del voto di due candidati che minacciavano di dividere il voto della sinistra. Nelle scorse settimane a farsi da parte era stato l’imprenditore informatico trasformato in uomo politico, Ahn Cheol-soo, mentre qualche giorno fa aveva lasciato anche la candidata filo-nordcoreana del Partito Progressista Unito (UPP), Lee Jung-hee.

Anche con il campo completamente libero a sinistra, invece, Moon non è stato in grado di attrarre il voto dei giovani e di quanti si oppongono al Partito Saenuri, pagando l’ostilità persistente verso il suo partito, principalmente a causa delle politiche di liberalizzazione dell’economia messe in atto dai governi dei presidenti Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun tra la fine degli anni Novanta e il 2008.

Park Geun-hye ha potuto così capitalizzare il suo appello rivolto soprattutto agli elettori più anziani grazie alla sostanziale riabilitazione della figura del padre, i cui 18 anni alla guida del paese tra gli anni Sessanta e Settanta sono stati presentati come il momento cruciale del miracolo economico della Corea del Sud, nonostante la durissima repressione del dissenso interno.

Uno dei temi più dibattuti della campagna elettorale è stata la necessità di regolamentare i cosiddetti “chaebol”, i giganteschi conglomerati dell’industria come Samsung o Hyundai che dominano l’economia del paese. L’avversione diffusa tra la popolazione nei confronti di questi ultimi aveva spinto la stessa Park Geun-hye a promettere iniziative per contenerne lo strapotere. È estremamente probabile, tuttavia, che in questo senso non ci saranno cambiamenti nel prossimo futuro. A gettare le basi del dominio dei chaebol era stato infatti proprio il padre della presidentessa eletta, il cui partito rimane tuttora il punto di riferimento di questi colossi.

Le reazioni dei rappresentanti della grande industria indigena, una volta diffusi i risultati del voto, sono state perciò all’insegna dell’entusiasmo. La Federazione delle Industrie Coreane, inoltre, nel suo messaggio ufficiale di congratulazioni a Park ha chiarito immediatamente quale sarà la linea del nuovo governo, affermando che il presidente dovrà “intraprendere politiche economiche per aiutare gli investimenti e la creazione di posti di lavoro, in modo che le nostre aziende possano concentrarsi sulla ripresa dell’economia”.

In altre parole, le grandi aziende chiedono di avere mano libera per aumentare i loro profitti e di comprimere ulteriormente i diritti e le retribuzioni dei lavoratori, come aveva preannunciato qualche settimana fa il vice-presidente della stessa associazione di categoria, avvertendo i cittadini sudcoreani di prepararsi “a stringere la cinghia”.

Le decisioni che si prospettano per il prossimo governo di Seoul fanno quindi prevedere un’intensificazione dello scontro sociale, dal momento che le misure sollecitate dai vertici dei chaebol andranno ad innestarsi su un quadro complessivo in rapido deterioramento. La crescita economica del paese è infatti in netto rallentamento, con molte grandi aziende che hanno già annunciato pesanti tagli di posti di lavoro, mentre le disuguaglianze sociali e di reddito sono tra le più marcate tra i paesi avanzati.

Sul fronte della politica estera, Park Geun-hye continuerà invece a garantire il rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, come è tradizione del suo partito, anche se, in Corea del Sud come in altri paesi asiatici, gli interessi delle élite economiche sono sempre più orientati verso la Cina, che di Seoul è già il primo partner commerciale.

Allo stesso modo, mentre Moon Jae-in e il DUP proponevano una politica di distensione nei confronti della Corea del Nord, sulla linea della cosiddetta “Sunshine Policy” dei due presidenti democratici nel decennio scorso, l’atteggiamento di Park Geun-hye non dovrebbe scostarsi di molto dalla linea dura del presidente uscente Lee Myung-bak che in questi cinque anni, assieme alla presenza sempre più aggressiva degli Stati Uniti nel continente asiatico, ha contribuito ad aggravare le tensioni nella penisola.

Durante la campagna elettorale, la neo-presidentessa ha in realtà criticato la posizione inflessibile di Lee Myung-bak verso Pyongyang, affermando anche di essere disposta ad incontrare il giovane leader nordcoreano, Kim Jong-un. Queste aperture, sostiene Park Geun-hye, sono però vincolate all’abbandono da parte della Corea del Nord del proprio programma nucleare, un’eventualità che il regime stalinista ha più volte escluso, così che qualsiasi prospettiva di dialogo nei prossimi anni appare poco più di un miraggio.

Assieme al recentissimo trionfo elettorale di Shinzo Abe e del suo Partito Liberal Democratico in Giappone, la conferma del Partito Saenuri alla guida della Corea del Sud farà dunque in modo che i due principali alleati di Washington in Asia nord-orientale continueranno a perseguire un’agenda all’insegna del nazionalismo, con il rischio di aggravare ulteriormente conflitti che, in questa regione, negli ultimi anni hanno già superato più volte il livello di guardia.

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