di Michele Paris

Il 19 dicembre prossimo, gli elettori della Corea del Sud si recheranno alle urne per scegliere il nuovo presidente in un clima di crescenti tensioni in Asia nord-orientale. L’appuntamento sarà animato principalmente dalla sfida tra la favorita, la leader del partito conservatore Saenuri (“Nuova Frontiera”), Park Geun-hye, e il numero uno del Partito Democratico Unito (DUP) di centro-sinistra, Moon Jae-in, le cui quotazioni sono state rilanciate dal recente ritiro di un popolare candidato indipendente.

L’imprenditore informatico milionario ed ex insegnante Ahn Cheol-soo aveva infatti annunciato la propria rinuncia alla corsa alla presidenza lo scorso 23 novembre dopo settimane di discussioni per giungere ad una possibile fusione della sua campagna elettorale con quella del candidato del DUP. Alla fine, il 50enne Ahn ha dato il proprio appoggio tutt’altro che appassionato a Moon, sottolineando lunedì nel corso di un raduno con i propri sostenitori a Seoul che, in ogni caso, il voto “andrà contro le aspirazioni popolari per un nuovo tipo di politica” e criticando entrambi i candidati per una campagna all’insegna degli insulti e degli attacchi personali.

La sua ascesa politica è stata resa possibile d’altra parte dalla capacità di capitalizzare la profonda ostilità diffusa tra la popolazione sudcoreana nei confronti di tutto l’establishment politico, correttamente ritenuto responsabile della corruzione in aumento, del ristagno economico e soprattutto delle crescenti disuguaglianze sociali nel paese. Come il candidato progressista Moon, anche Ahn si era presentato inoltre agli elettori come un acceso critico dei cosiddetti “chaebol”, i giganteschi conglomerati dell’industria che dominano l’economia della Corea del Sud.

Con l’uscita di scena di Ahn, così, la competizione per la presidenza è diventata improvvisamente incerta. Park Geun-hye, figlia 60enne dell’ex dittatore sudcoreano Park Chung-hee, rimane comunque in vantaggio anche se il rivale sembra essersi notevolmente avvicinato grazie al probabile sostegno di quanti intendevano votare per Ahn. Secondo un recente sondaggio di Gallup Corea, alla vigilia del primo dei tre dibattiti televisivi, andato in onda martedì, Park avrebbe un margine di circa due punti percentuali su Moon, mentre un’altra rilevazione dell’istituto Realmeter le assegna un vantaggio di poco inferiore al 5%.

Nonostante le conseguenze delle politiche liberiste implementate in questi cinque anni dall’amministrazione dell’attuale presidente - l’ex CEO del colosso delle costruzioni Hyundai Engineering and Construction, Lee Myung-bak - il Partito Saenuri aveva ottenuto una netta vittoria nelle elezioni parlamentari dello scorso mese di aprile, infliggendo una pesante sconfitta al Partito Democratico Unito.

Questo risultato e le difficoltà mostrate dai sondaggi per il candidato del DUP indicano quindi il persistente discredito di un partito che, con i presidenti Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun, ha governato per dieci anni tra il 1998 e il 2008, durante i quali sono state ugualmente adottate misure di liberalizzazione dell’economia e sostanzialmente smantellati i diritti dei lavoratori.

Queste politiche sono state messe in atto in risposta alla crisi economica asiatica del 1997-98 e, tra l’altro, hanno trasformato la Corea del Sud in uno dei paesi avanzati con il maggior numero di lavoratori assunti con contratti temporanei. La retorica del DUP, che si presenta con un programma volto a spezzare il monopolio dei grandi interessi del paese e a rafforzare lo stato sociale sudcoreano, non sembra perciò convincere troppo la maggioranza degli elettori, ben consapevoli che il partito di Moon Jae-in rappresenta in realtà soprattutto la piccola e media borghesia del paese penalizzata dalla concentrazione del potere economico nelle mani dei “chaebol”.

Il disprezzo ampiamente diffuso verso questi ultimi è stato cavalcato anche dalla conservatrice Park, nonostante il suo partito sia tradizionalmente il punto di riferimento dei giganti dell’economia sudcoreana. Per dare un’impressione di cambiamento e di rottura con il passato, il più importante partito sudcoreano di centro-destra lo scorso febbraio ha anche portato a termine un’operazione puramente cosmetica, cambiando il proprio nome da Grande Partito Nazionale a Partito Saenuri.

Park Geun-hye, inoltre, sta cercando in tutti i modi di prendere le distanze dai vertici del suo partito e dal presidente Lee, sposando anche svariate proposte elettorali avanzate dal suo rivale, in particolare riguardo la riduzione dei privilegi di cui gode la classe politica della Corea del Sud e la promozione di una maggiore trasparenza dei partiti.

In merito ai rapporti con la Corea del Nord, invece, Moon Jae-in e il suo partito si caratterizzano per un atteggiamento più conciliante e per la ricerca di un dialogo incondizionato, sull’esempio dei defunti presidenti Roh e Kim, il quale nel 2000 fu protagonista di una storica visita a Pyongyang, dove fu accolto da Kim Jong-il.

Moon auspica dunque un allentamento delle tensioni nella penisola coreana, mettendo fine alla linea dura perseguita da Lee Myung-bak in questi anni, così come propone un riassetto delle relazioni diplomatiche di Seoul, puntando ad un certo avvicinamento alla Cina, il principale partner commerciale della Corea del Sud, senza compromettere il rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, tradizionalmente il principale alleato del paese.

Il presidente conservatore Lee, nel corso del suo mandato, è stato invece un fedele sostenitore della svolta asiatica dell’amministrazione Obama in funzione anti-cinese, anche se ha sollevato qualche malumore a Washington per avere fatto naufragare il progetto per una più stretta partnership - diplomatica e militare - con il Giappone, alimentando piuttosto il sentimento nazionalista e anti-nipponico per sfruttare a fini domestici la storica rivalità con un paese che ha occupato in maniera brutale la penisola di Corea per oltre tre decenni nella prima metà del secolo scorso.

Un fattore importante nelle presidenziali del 19 dicembre sarà come al solito proprio la Corea del Nord, con la quale le tensioni sono nuovamente aumentate in questi giorni in seguito alla decisione del regime stalinista del giovane leader Kim Jong-un di programmare il lancio di un missile a lungo raggio. Secondo Pyongyang il lancio servirebbe per mandare in orbita un satellite nordcoreano, mentre per Seoul e Washington sarebbe al contrario un’esercitazione per testare un missile balistico proibito.

Se il messaggio proveniente dalla Corea del Nord appare ben coordinato con il voto nel vicino meridionale, il lancio confermato tra pochi giorni, nonostante gli inviti a fermare le operazioni giunti anche da Russia e Cina, annuncia un possibile ulteriore deterioramento dei rapporti con Pyongyang e consente al partito di governo a Seoul di innalzare i toni nazionalistici, sfruttando la nuova crisi a tutto favore della propria candidata alla guida del paese.

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