di Fabrizio Casari

Agosto 1995. Nel pieno della guerra nella ex-Jugoslavia, mentre il cosiddetto mondo libero che quella guerra civile aveva voluto, finanziato e sostenuto, lanciava grida furenti contro la Serbia, certamente colpevole dell’odiosa pulizia etnica, i croati si occupavano di fare altrettanto senza troppo clamore. Il Presidente croato Tudjman, fascista fino al midollo, diede incarico al Generale Ante Gotovina (che si avvalse della speciale collaborazione del Generale Mladen Marcak, a capo di un reparto speciale di polizia) di fare terra bruciata della enclave serba in Croazia.

A Zagabria non c’erano dubbi di sorta: per un massacro su base etnica il generale Gotovina era l’uomo giusto al posto giusto. Fedelissimo di Tudjman, si era fatto le ossa nella Legione Straniera, che sui massacri in Africa ha costruito la sua infame leggenda. I serbi di Krajna erano stati la difesa morale e materiale dall’esercito Ottomano e dalla penetrazione islamica ma, certo, appartenevano in primo luogo alla Chiesa ortodossa e, soprattutto, all’etnia serba. Un tumore da rimuovere, secondo Tudjman.

Fu così che nella Krajna, dove circa trecentomila  serbi vivevano, si scatenò l’Operazione Tempesta. Centotrentottomilacinquecento soldati e poliziotti croati, coadiuvati da legionari della Bosnia-Herzegovina di nazionalità croata, si lanciarono all’assalto. I novelli Ustascia poterono agire con il consenso esplicito degli Stati Uniti e sotto la copertura della Nato, che prima di dare inizio all’operazione si occupò di bombardare segretamente i ripetitori di Knin.

L’Operazione Tempesta raggiunse il risultato che si prefiggeva: vennero uccise sommariamente circa duemila persone (quasi tutte anziane e donne che non vollero abbandonare le proprie case) e ogni essere umano di etnia serba fu costretto ad abbandonare la Krajna. Fu la più grande deportazione di massa del conflitto nella ex-Jugoslavia; un orrendo crimine di guerra perpetrato nel silenzio dei media internazionali, impegnati come in ogni conflitto a definire i “buoni” e i “cattivi” a seconda degli interessi economici e politici dell’Occidente.

Gotovina e Markac furono i capi indiscussi delle operazioni. Perseguiti dal procuratore Carla Del Ponte, i due vennero catturati solo perché condizione indispensabile per l’ingresso di Zagabria in Europa. Ma sette mesi dopo la loro condanna nel primo processo, che gli comminò rispettivamente 24 e 18 anni di carcere, il Tribunale penale Internazionale per i crimini di guerra nella ex-Jugoslavia, ha deciso qualche giorno fa di ribaltare il verdetto.

I cinque giudici che hanno composto la Corte, hanno infatti ritenuto di dover assolvere i due carnefici, il cui rientro a Zagabria è stato festeggiato con cortei di giubilo e fuochi d’artificio. Una sentenza tutta politica che nega la storia e priva di giustizia le vittime della Krajina, ma che accontenta Zagabria.

A poco è servito, pare, il tentativo del governo di centrosinistra di invitare a rileggere la storia dell’ultranazionalismo croato, visto che i sondaggi affermano che otto croati su dieci ritengono i due eroi e non carnefici. La destra nazionalista, che giudica “santa” una guerra che costò decine di migliaia di vittime e l’ingresso inglorioso del paese nel novero degli stati etnici, definisce Gotovina appunto un “eroe” e non fa velo a tanto ardore il fatto che dall’incriminazione alla cattura “l’eroe” abbia passato poco eroicamente quattro anni in un albergo delle Canarie da latitante extralusso.

La chiesa croata ha robustamente contribuito all’operazione di trasformazione dei criminali in “eroi” e a seguito dell’assoluzione dei due boia, dalla cattedrale di Zagabria il Cardinale Bosanic si è scatenato in una omelia che si è rivelata un entusiastico richiamo al patriottismo croato, confermando il ruolo di guida del nazionalismo estremista già diffusamente dimostrato negli ultimi venti anni. La differenza tra eroi e criminali, a Zagabria, evidentemente è labile. In chiesa, addirittura, inesistente.

Mandare liberi i responsabili di un genocidio etnico, solo perché croati e quindi schierati internazionalmente con l’Occidente, spiega bene l’ipocrisia delle istituzioni come il TPI e propone una ennesima lettura truccata del conflitto che dal 1991 in poi coinvolse Slovenia, Bosnia, Croazia, Serbia, Macedonia e Albania, ma che assegna solo a Belgrado e ai serbi di Bosnia il carico degli orrori.

Nel tourbillon immondo della guerra etnica, purtroppo, la propaganda occidentale ha travasato una lettura falsa sia delle ragioni del conflitto, sia del ruolo di tutti i protagonisti, indicando nei soli serbi gli autori delle nefandezze peggiori. I serbi condussero la guerra come criminali, certo, ma i croati non furono da meno e i bosniaci anche. La differenza è che i serbi vengono condannati e gli altri criminali assolti, negando quindi le responsabilità comuni nel genocidio e rinfocolando così nazionalismi e giustificazionismi storici utili solo a perpetrare crimini futuri. Soprattutto quando, come a Zagabria, le vittime diventano feccia e i criminali eroi.

 

 

 

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