di Michele Paris

Il primo dei tre dibattiti presidenziali negli Stati Uniti è andato in scena nella notte italiana di mercoledì a Denver, nel Colorado, con i due sfidanti per la Casa Bianca che, come previsto, hanno accuratamente evitato di discutere sia dei reali problemi del paese, a cominciare da povertà e disoccupazione, sia delle devastanti conseguenze che avranno le politiche proposte da entrambi su decine di milioni di americani.

In 90 minuti di faccia a faccia in diretta TV moderato dall’anchorman della PBS Jim Lehrer, a cui hanno assistito 60 milioni di spettatori, il presidente Barack Obama e il suo sfidante repubblicano Mitt Romney hanno in sostanza manifestato ancora una volta tutta la loro fiducia nel sistema della libera impresa per risolvere i problemi economici attuali e tornare a generare benessere per la classe media in affanno.

Questa identità di vedute dei due contendenti, così come dei rispettivi partiti, è tuttavia occultata dai media ufficiali che, subito dopo il dibattito, hanno continuato a propagandare la favola di un’elezione che rappresenterebbe una sorta di scontro epocale tra due ideologie opposte: l’una - quella democratica - caratterizzata dalla visione che il governo deve giocare un ruolo fondamentale nel promuovere la crescita economica e l’altra - quella repubblicana - che sostiene che il ruolo del governo debba essere ridotto al minimo, consentendo al business di svolgere la propria funzione praticamente senza alcun vincolo o controllo.

Il New York Times, addirittura, in uno dei numerosi pezzi dedicati tra mercoledì e giovedì all’evento di Denver, ha scritto che “il dibattito ha evidenziato una divisione sulla politica interna mai vista dai tempi della sfida tra il presidente Ronald Reagan e Walter Mondale del 1984”. Al contrario, a ben vedere, l’elezione di quest’anno appare piuttosto come il culmine di tre decenni segnati dal progressivo appiattimento delle politiche dei due partiti americani su posizioni totalmente pro-business. Il presunto scontro ideologico tra Obama e Romney, perciò, non riflette altro che i differenti interessi all’interno delle varie sezioni dell’élite economica e finanziaria d’oltreoceano. 

Secondo quasi tutte le analisi del dopo-dibattito, Obama avrebbe insolitamente evitato di attaccare Romney sulle questioni finora più discusse in campagna elettorale, quelle legate cioè al suo ruolo nel private equity, al rifiuto di rendere pubblica la maggior parte delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni e alla creazione di svariati conti bancari off-shore per abbattere il suo carico fiscale.

Soprattutto, in un’ora e mezza il presidente democratico non ha mai accennato al commento che il suo rivale aveva fatto durante una raccolta fondi a maggio, sostenendo che la sua campagna elettorale non intende cercare il voto di quel 47% della popolazione americana che “dipende dal governo, si sente una vittima, crede che il governo abbia la responsabilità di prendersi cura dei suoi problemi e di avere diritto all’assistenza sanitaria, al cibo e ad una casa”, dal momento che costoro intendono comunque votare per Obama.

L’atteggiamento del presidente è apparso a molti sostenitori ancora più sconcertante alla luce del fatto che le parole di Romney sono state usate in innumerevoli messaggi elettorali prodotti in queste settimane dal team democratico. La ragione di questa reticenza può forse essere ricercata nel desiderio dell’inquilino della Casa Bianca, e dei grandi interessi a cui fa riferimento, di limitare toni populisti che rischierebbero di alimentare ulteriormente lo scontro sociale nel paese in una situazione di pesante disagio per decine di milioni di americani, in particolare dopo che l’ultimo mese ha visto esplodere le tensioni nei massicci scioperi di Chicago e Detroit, due città amministrate proprio dai democratici.

Più in generale, Obama è apparso indubbiamente passivo e poco combattivo, permettendo a Romney di andare all’attacco e di dare forse alla sua campagna in difficoltà la scossa necessaria per riaprire la corsa alla Casa Bianca pochi giorni dopo l’apertura dei seggi negli stati che prevedono il voto anticipato e per posta.

Anche grazie alla tattica prudente di Obama, dunque, Romney ha potuto con un certo successo mettere al centro del dibattito il bilancio tutt’altro che esaltante del primo mandato del presidente democratico invece delle sue lacune come candidato. Romney, d’altra parte, giungeva a Denver in una situazione quasi disperata, essendo staccato in praticamente tutti i sondaggi nazionali e in quelli ben più importanti relativi alla manciata di stati in bilico che decideranno l’esito del voto di novembre.

Mitt Romney, inoltre, come quasi sempre accade nelle fasi finali di una campagna elettorale per la Casa Bianca, è tornato a sfoderare i toni moderati e centristi che hanno caratterizzato gran parte della sua precedente carriera politica, così da provare a convincere i pochi elettori indipendenti ancora indecisi. Il miliardario mormone ha elogiato la legge sanitaria che aveva implementato quando era governatore del Massachusetts, nonostante essa sia considerata fonte di ispirazione per l’odiata riforma di Obama del 2010, e ha ricordato allo stesso tempo lo spirito bipartisan che aveva contraddistinto gli anni alla guida dello stato del New England.

Nel corso della serata non sono mancate anche le imprecisioni e le consuete accuse reciproche basate su affermazioni palesemente false. Se Obama ha citato in maniera inesatta il piano di riduzione della spesa pubblica di Romney, quest’ultimo ha a sua volta criticato il presidente per avere presieduto al raddoppio del deficit federale durante il suo mandato, quando invece è leggermente calato, e per avere creato un sistema di assistenza sanitaria fondato sul settore pubblico, quando al contrario la riforma è incentrata in gran parte sulle assicurazioni private.

Un raro momento di verità si è registrato durante un intervento di Romney, nel quale ha ammesso che ad avere migliorato la loro condizione economica anche in questo momento di crisi sono stati solo i redditi più elevati. Trovando l’approvazione del rivale democratico, Romney ha poi aggiunto che questa ristretta cerchia di privilegiati continuerà a passarsela ottimamente nel prossimo futuro indipendentemente da chi vincerà le elezioni.

Secondo gli standard della politica mainstream americana, in ogni caso, sarebbe stato Romney ad aggiudicarsi nettamente il primo round dei dibattiti presidenziali, anche perché, come ha fatto notare giovedì l’editorialista del Washington Post, Dana Milbank, il candidato repubblicano aveva alimentato delle aspettative molto basse alla vigilia del confronto.

Per quello che possano valere in previsione dell’election day, anche gli “instant poll” di molti media statunitensi hanno confermato questa impressione. Ad esempio, secondo la rilevazione della CNN, il 67% degli spettatori del dibattito ha assegnato la “vittoria” a Romney, contro il 25% che ha preferito Obama. Per la CBS e Google, invece, Romney ha avuto il favore rispettivamente del 46% e del 48% degli intervistati, contro il 22% e il 25% del presidente.

Il percorso verso il 6 novembre proseguirà ora con un dibattito in programma giovedì prossimo in Kentucky tra i candidati alla vice-presidenza, Joe Biden e Paul Ryan, mentre Obama e Romney torneranno a fronteggiarsi il 16 ottobre a New York e il 22 a Boca Raton, in Florida.

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