di Michele Paris

Le settimane seguite alle convention dei due principali partiti americani hanno fatto registrare un certo consolidamento del margine di vantaggio nei sondaggi di Barack Obama e una parallela flessione del candidato repubblicano alla Casa Bianca. Nonostante il livello di gradimento tutt’altro che esaltante per il presidente democratico, Mitt Romney continua a pagare la profonda impopolarità delle politiche che minaccia di implementare in caso di vittoria a novembre e, allo stesso tempo, si ritrova a dover fare i conti con le conseguenze di una serie di gaffe estremamente rivelatrici della sua totale estraneità ai problemi della maggior parte della popolazione statunitense.

Il tradizionale effetto benefico generato dall’evento mediatico che assegna ufficialmente la nomination ai candidati alla presidenza sembra dunque avere favorito piuttosto nettamente Obama, mentre il suo rivale non è finora riuscito a spostare il dibattito politico sui temi economici e sui fallimenti dell’amministrazione democratica durante il primo mandato alla guida del paese.

A tenere banco sono state così le polemiche che hanno coinvolto lo stesso Romney, così come le discussioni sulle divisioni all’interno del suo team e, più in generale, di un partito che appare ben poco unito attorno alla scelta di un candidato che continua a sollevare parecchie perplessità a meno di sette settimane dal voto.

I più recenti sondaggi hanno invariabilmente registrato il vantaggio di Obama a livello nazionale, con margini attestati tra un minimo di un punto percentuale (49% a 48%), come nel rilevamento della settimana scorsa di Washington Post e ABC News tra i probabili votanti, e gli otto punti (51% a 43%) misurati da New York Times e CBS News tra gli elettori registrati.

Tra le ultime indagini, inoltre, spiccano quelle pubblicate martedì da Wall Street Journal/NBC news e dalla CNN. La prima indica Obama al 50% e Romney al 45% tra i probabili votanti, dopo che la situazione a metà agosto vedeva il presidente al 48% e il candidato repubblicano al 44%. Più equilibrata è invece la situazione secondo lo studio della CNN, con Obama che mantiene un margine di tre punti percentuali (49% a 46%).

Alla luce del sistema elettorale degli Stati Uniti, secondo il quale un candidato alla presidenza per vincere deve conquistare almeno 270 “voti elettorali” sui 538 assegnati complessivamente dai 50 stati americani, decisamente più importanti appaiono però gli equilibri tra gli stati considerati in bilico. Con alcune differenze a seconda delle analisi dei vari media, gli stati dove l’esito risulta incerto sono al momento nove - Colorado, Iowa, Nevada, New Hampshire, North Carolina, Wisconsin e, soprattutto, Florida, Ohio e Virginia - per un totale di 110 voti elettorali. Tutti questi stati nel 2008 sono stati vinti da Obama, il quale mantiene anche quest’anno un margine di vantaggio nella maggior parte di essi.

L’affanno di Mitt Romney a questo punto della competizione appare il sintomo di come lavoratori e classe media, nonostante lo sconforto nei confronti di Obama, ritengano ancora più pericoloso un ritorno alle ricette ultra-liberiste repubblicane in un periodo di persistente crisi economica e con una disoccupazione a livelli allarmanti.

La già difficile rimonta del miliardario mormone è stata ulteriormente complicata questa settimana dalla diffusione di un video sul sito web del magazine liberal Mother Jones nel quale il candidato repubblicano mostra tutto il suo disprezzo per le classi più deboli e la visione distorta che l’aristocrazia finanziaria americana ha della realtà economica e sociale contemporanea.

Come ampiamente riportato dai media, il filmato ritrae Romney nel corso di un evento per la raccolta fondi tenuto lo scorso mese di maggio presso la lussuosa dimora dello speculatore miliardario Marc Leder a Boca Raton, in Florida. Durante il raduno, per partecipare al quale era richiesta la cifra di 50 mila dollari a testa, Romney ha affermato che la sua campagna elettorale non intende cercare il voto di quel 47% della popolazione americana che “dipende dal governo, si sente una vittima, crede che il governo abbia la responsabilità di prendersi cura dei suoi problemi e di avere diritto all’assistenza sanitaria, al cibo e ad una casa”. Per Romney, cercare di convincere costoro a prendere in mano le sorti della propria vita sarebbe tempo sprecato, poiché, qualunque cosa si dica loro, finirebbero comunque per votare Obama.

Nell’ottica di Romney, dunque, sono gli americani più poveri a beneficiare illegittimamente della generosità del governo e non l’aristocrazia parassitaria di cui egli stesso fa parte e che gode di un sistema legale che sottrae risorse alle fasce più disagiate della popolazione per arricchire il vertice della piramide sociale tramite sussidi e tagli alle tasse, per non parlare dell’asservimento dell’intera classe politica, di fatto a libro paga dei poteri forti d’oltreoceano.

Romney descrive sostanzialmente come parassita quasi la metà degli americani, i quali a suo dire non pagherebbero alcuna tassa, quando la sua stessa fortuna, stimata in almeno 250 milioni di dollari, è stata accumulata nel settore del “private equity”, acquisendo aziende in difficoltà per poi spogliarle dei propri beni, licenziare senza scrupoli i dipendenti in esubero e rivenderle realizzando profitti stellari. La sua dichiarazione dei redditi relativa al 2011, inoltre, indica entrate per 20,9 milioni di dollari, sui quali ha pagato l’aliquota irrisoria del 14%, ben inferiore cioè a quella che grava su decine di milioni di lavoratori americani.

L’atteggiamento di Romney verso coloro che dipenderebbero dalla spesa pubblica per vivere rivela anche il desiderio tutt’altro che celato dei repubblicani di smantellare i rimanenti programmi pubblici di assistenza, desiderio peraltro ampiamente condiviso anche dai democratici, sia pure nascosto da una retorica più sfumata.

Tra le altre gaffe che continuano a tenere vivo il dibattito sull’adeguatezza del candidato Romney c’è anche quella commessa questa settimana, quando ha affermato che i palestinesi non sono interessati ad un accordo di pace con Israele e perciò la creazione di due stati per risolvere l’annosa crisi mediorientale è impraticabile. La settimana scorsa, infine, il candidato repubblicano aveva attirato su di sé le critiche dei suoi stessi compagni di partito per aver attaccato il presidente Obama nel pieno di una crisi internazionale in seguito all’assassinio dell’ambasciatore USA in Libia.

Di fronte ad uno scenario simile, sui giornali americani si stanno moltiplicando gli appelli dei sostenitori repubblicani per una revisione della strategia all’interno del team di Romney. A complicare le cose sono state però anche le rivelazioni di tensioni e rivalità crescenti tra i consiglieri storici dell’ex governatore e quelli reclutati più recentemente.

Nel partito, intanto, sembrano aumentare i timori non solo per una sconfitta annunciata nella corsa alla Casa Bianca, ma anche per i possibili effetti negativi che un candidato screditato e con poche prospettive di successo potrebbe avere sull’esito delle sfide per il Congresso e per le altre cariche locali. Per questo motivo, sono stati in molti tra i candidati repubblicani a prendere le distanze dalle dichiarazioni di Romney degli ultimi giorni.

La condotta di quest’ultimo nella campagna elettorale in corso, così, sembra avere spinto alcune sezioni delle élite economiche e finanziarie americane a puntare su Obama, sicure che il presidente democratico continuerà a difendere i loro interessi anche in un secondo mandato. Questa tendenza è stata in qualche modo confermata dall’aumento delle donazioni elargite negli ultimi tempi dai finanziatori più facoltosi all’organizzazione del presidente, il quale nel mese di agosto ha raccolto fondi in quantità superiore rispetto a Mitt Romney, invertendo per la prima volta gli equilibri che avevano caratterizzato i mesi precedenti.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy