di Michele Paris

La cancelliera Angela Merkel ha iniziato giovedì una visita di due giorni in Cina, dove, a conferma dei rapporti economici sempre più intensi con Pechino, è giunta assieme a una nutritissima delegazione politica e di uomini d’affari tedeschi. Di fronte ad un’area euro tuttora in grave affanno, le opportunità commerciali in Oriente sembrano giocare infatti un ruolo ormai fondamentale per la Germania e le proprie aziende, influendo in maniera significativa anche sulle scelte di politica estera del governo di Berlino.

Quella in corso è la seconda visita del 2012 in Cina per la Merkel e addirittura la sesta da quando ha assunto la guida del proprio paese. Nella due giorni cinese, il capo del governo tedesco incontrerà le massime autorità del regime di Pechino, inclusi il presidente, Hu Jintao, il premier, Wen Jiabao, e il suo vice, nonché prossimo successore, Li Keqiang. Proprio il primo ministro cinese, secondo quanto riportato da fonti tedesche, avrebbe chiesto esplicitamente la visita della Merkel, così da discutere delle più importanti questioni bilaterali prima dell’avvicendamento previsto a breve ai vertici del Partito Comunista.

I temi da trattare sono in primo luogo quelli economici, compresa la crisi del debito sovrano in Europa, e a farlo con la Merkel ci sono sette membri del suo governo e una ventina di dirigenti di grandi aziende tedesche alla ricerca di nuove opportunità d’affari in Cina. L’impegno di Berlino in questa visita riflette la consistenza dei rapporti bilaterali, evidenziati dai dati ufficiali che indicano come le esportazioni tedesche verso la Cina siano aumentate di oltre il 200 % tra il 2005 e il 2011. Per dare un’idea dell’aumentata importanza del mercato cinese per Berlino, basti ricordare che nello stesso periodo di tempo le esportazioni verso i paesi UE sono salite del 24% e verso gli Stati Uniti di appena il 6,3%.

Nel 2011, la Cina è risultata essere il quarto mercato in assoluto per l’export germanico, dopo Francia, Olanda e Stati Uniti. La Cina dovrebbe inoltre salire al secondo posto entro la fine del 2012, mentre nel 2010 era ancora al settimo. Il totale degli scambi commerciali tra Cina e Germania ha toccato i 145 miliardi di euro lo scorso anno, facendo segnare un aumento di quasi il 19% rispetto al 2010. I settori con la maggiore crescita sono quelli della chimica, delle macchine industriali e dell’automotive. A indicare una certa disparità nei rapporti tra Berlino e Pechino sono gli investimenti diretti, dal momento che quelli tedeschi in Cina ammontavano a 26 miliardi di euro nel 2011, contro appena 1,2 miliardi di quelli cinesi in Germania.

Le sempre più strette relazioni sino-germaniche hanno però creato, come in altri paesi, malumori e divisioni all’interno delle élite economiche tedesche, poiché tali sviluppi favoriscono alcuni settori  a discapito di altri. Per questo, ad esempio, alcuni manager tedeschi si sono lamentati con il loro governo per il vantaggio in termini di competitività di cui godrebbero le aziende cinesi, favorite dall’appoggio dello Stato.

Un’altra questione controversa è quella del rispetto dei brevetti e della proprietà intellettuale, avanzata soprattutto dalle aziende tedesche di medie dimensioni, le quali costituiscono peraltro i tre quarti delle circa 5.000 che operano in Cina. Queste ultime si sono lamentate anche del fatto che la cancelliera ha portato con sé a Pechino solo i rappresentanti delle grandi multinazionali (SAP, Siemens, ThyssenKrupp, Volkswagen), delle quali il governo di Berlino promuoverebbe gli esclusivi interessi e le possibilità di crescita in Cina.

Già nella giornata di giovedì, infatti, è stata annunciata la firma di un contratto di fornitura di 50 aerei Airbus del valore di 4 miliardi di dollari tra il governo cinese e il gruppo aerospaziale franco-tedesco EADS. Inoltre, è stato siglato un ulteriore accordo da 1,6 miliardi di dollari per ampliare la linea di assemblaggio degli Airbus A320 nella località di Tianjin, dove la stessa Merkel si recherà nel corso della sua visita.

La centralità del mercato cinese per l’economia tedesca fa in modo che le più scottanti questioni politiche e le divergenze tra i due paesi rimangano fuori dagli argomenti trattati in questi due giorni. Ugualmente ignorate dalla cancelliera saranno anche le violazioni dei diritti umani in Cina. Ben lontani sono d’altra parte i tempi in cui, come nel 2007, il Dalai Lama veniva ricevuto dalla Merkel a Berlino. Quest’ultima, in ogni caso, non sembra essere nella posizione di impartire lezioni di democrazia a nessun paese, visto il trattamento riservato dal suo governo alla Grecia, dove, nell’ambito della crisi del debito, sono state imposte condizioni durissime senza alcun riguardo per le regole democratiche o il volere della popolazione.

Come già ricordato, i legami economici tra Berlino e Pechino si traducono in un certo avvicinamento anche sul piano politico, come dimostra ad esempio il lancio, avvenuto nel 2011, delle prime consultazioni bilaterali tra i due governi. Quest’ultimo è un meccanismo di comunicazione diretta tra i due gabinetti che, al di fuori dell’Unione Europea, Berlino aveva fino ad allora creato solo con paesi come Israele e India.

Alleata di ferro degli Stati Uniti fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Germania negli ultimi anni si trova a dover fronteggiare il dilemma - condiviso con molti altri paesi, soprattutto del sud-est asiatico - di aprirsi a rapporti più stretti con Pechino proprio mentre Washington sta mettendo in atto una politica sempre più aggressiva di contenimento dell’espansionismo cinese.

I segnali inequivocabili di un qualche incrinamento del rapporto di fedeltà assoluta agli Stati Uniti sono giunti, tra l’altro, nel marzo del 2011, quando Berlino decise di astenersi durante il voto sulla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che diede il via libera all’intervento militare NATO in Libia per rovesciare Gheddafi. In quell’occasione, la Germania si mostrò inizialmente contraria all’intervento militare, allineandosi di fatto con Cina e Russia.

Gli equilibri nel governo tedesco rimangono però tuttora precari su una questione così delicata, come dimostra l’approccio alla crisi siriana, attorno alla quale da Berlino sono giunte ripetute critiche all’utilizzo del potere di veto di Pechino e Mosca sulle varie risoluzioni presentate al Consiglio di Sicurezza per avallare una nuova aggressione militare in Medio Oriente in nome dei diritti democratici.

Al di là delle singole questioni, la classe dirigente tedesca appare dunque attraversata da profonde divisioni circa il posizionamento del proprio paese sullo scacchiere internazionale. Divisioni che, oltretutto, in una fase di grandi cambiamenti economici su scala globale diventeranno ancora più marcate man mano che la crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina spingerà Berlino nella scomoda posizione di dover scegliere, senza ambiguità, da quale parte schierarsi.

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