di Michele Paris

NEW YORK. La minaccia britannica di irrompere nell’ambasciata dell’Ecuador per arrestare Julian Assange segna una nuova preoccupante tappa nello scivolamento verso una deriva autoritaria comune a tutto l’Occidente. L’annuncio di giovedì da parte del governo del presidente Rafael Correa di garantire l’asilo politico al fondatore di WikiLeaks era stato preceduto da un vero e proprio ultimatum per la consegna di Assange alle autorità di Londra, così da poter eseguire l’ordine di estradizione verso la Svezia dove quest’ultimo deve fronteggiare un caso di stupro privo di alcun fondamento.

Una volta consegnato a Stoccolma, il 41enne cittadino australiano verrebbe con ogni probabilità spedito negli Stati Uniti, dove pare sia stato già istituito un Gran Jury segreto in Virginia che lo dovrebbe giudicare per la pubblicazione di centinaia di migliaia di documenti riservati del Dipartimento di Stato. Questo scenario, nonostante le smentite del governo di Washington, è stato confermato tra l’altro da alcune e-mail dell’influente think tank americano Stratfor, rese note qualche mese fa da WikiLeaks, e potrebbe costare ad Assange la detenzione indefinita in un carcere d’oltreoceano con l’accusa di terrorismo.

A Londra, invece, nella giornata di giovedì l’Ecuador ha annunciato ufficialmente la concessione dell’asilo politico a Julian Assange, il quale si era rifugiato presso l’ambasciata del paese sudamericano il 19 giugno scorso per sfuggire all’estradizione in Svezia, diventata definitiva dopo che la Corte Suprema britannica aveva respinto l’ultimo appello dei suoi legali.

Prima di prendere una decisione finale, l’Ecuador aveva chiesto la rassicurazione che Assange non sarebbe stato trasferito negli Stati Uniti, cosa che il governo di Stoccolma si è rifiuto però di garantire. Allo stesso modo, ai magistrati di Stoccolma è stata offerta la possibilità di interrogare Assange di persona o in video-conferenza dall’ambasciata ecuadoriana di Londra, come lui stesso si era offerto di fare nei mesi scorsi, ma anche in questo caso la proposta non ha trovato accoglienza.

La fermezza del paese scandinavo conferma ulteriormente la natura tutta politica del caso Assange, fabbricato ad arte attorno alle incerte accuse di due donne svedesi, di cui una legata a gruppi anti-castristi americani stanziati in Florida, che avrebbero avuto rapporti sessuali con il leader di WikiLeaks. Il caso, peraltro, era stato inizialmente archiviato in fretta dalle autorità giudiziarie di Stoccolma per essere riaperto in seguito grazie all’intervento di un influente politico socialdemocratico.

In ogni caso, già nella serata di mercoledì la polizia britannica ha iniziato a circondare l’ambasciata ecuadoriana di Knightsbridge, dopo che, come già ricordato, il governo di David Cameron aveva concesso una settimana di tempo per la consegna di Assange ed evitare un blitz per arrestarlo. Immediatamente, numerosi manifestanti si sono recati sul posto per esprimere il proprio sostegno ad Assange. Nelle ore successive sono stati segnalati alcuni scontri e svariati arresti sono stati effettuati dalla polizia.

La vicenda e l’atteggiamento di Londra hanno prodotto un aperto scontro diplomatico con l’Ecuador, il cui ministro degli Esteri, Ricardo Patiño, ha affermato in una conferenza stampa da Quito che il suo paese “respinge fermamente la minaccia esplicita contenuta nella comunicazione ufficiale della Gran Bretagna”. Il ministro ha poi definito le stesse minacce “inopportune per un paese civile e democratico”.

Se l’irruzione nell’ambasciata verrà eseguita, ha continuato Patiño, “sarà interpretata dall’Ecuador come un atto inaccettabile e ostile, nonché come un attentato alla nostra sovranità che ci obbligherà a rispondere”, dal momento che “non siamo una colonia britannica”.

Nella propria lettera-ultimatum, il “Foreign Office” britannico sostiene di essere tenuto ad eseguire l’ordine di estradizione contro Assange e che il continuo utilizzo di un edificio diplomatico per offrire rifugio a quest’ultimo “è incompatibile con la Convenzione di Vienna” del 1961 che regola appunto le relazioni diplomatiche tra paesi sovrani. Dopo la decisione presa da Quito, perciò, il governo di Londra ha affermato che la situazione non è cambiata per nulla e l’asilo ad Assange non verrà preso nemmeno in considerazione.

Senza timore di essere accusata di ipocrisia, la Gran Bretagna accusa dunque Quito di aver violato la Convenzione di Vienna proprio mentre minaccia di irrompere in un’ambasciata che, secondo lo stesso trattato, viene definita come uno spazio inviolabile sul quale al paese straniero che lo occupa è assicurata sovranità assoluta. All’interno di essa, le forze di polizia locali possono avere accesso solo dietro consenso del capo della missione diplomatica (ambasciatore).

Per dare un fondamento legale alle proprie minacce, Londra ha sostenuto che potrebbe ritirare il riconoscimento dell’ambasciata ecuadoriana. Tuttavia, la legge del 1987 a cui il governo fa riferimento, dice chiaramente che una tale azione può essere presa solo se soddisfa quanto previsto dal diritto internazionale. Inoltre, come ha detto l’ex ambasciatore della Gran Bretagna in Russia, sir Tony Brenton al Daily Telegraph, “il ritiro dello status garantito all’edificio dove Assange ha chiesto rifugio per evitare l’estradizione renderebbe la vita impossibile ai diplomatici britannici all’estero”.

Il ministro degli Esteri, William Hague, ha comunque fatto sapere che il suo governo non permetterà in alcun modo ad Assange di lasciare il paese, poiché esso non riconosce il principio di “asilo diplomatico”. Se quest’ultimo uscirà dall’ambasciata, la polizia britannica procederà immediatamente al suo arresto.

Sulla vicenda è intervenuto anche l’ex giudice spagnolo Baltasar Garzón, diventato celebre nel 1998 per aver chiesto senza successo l’estradizione del dittatore cileno Augusto Pinochet mentre era proprio in Gran Bretagna, secondo il quale Londra sta agendo al di fuori dei propri poteri, poiché Assange è un rifugiato politico a tutti gli effetti che ha ottenuto l’asilo da un paese sovrano. Per queste ragioni, la Gran Bretagna è obbligata a riconoscere tale situazione in accordo con la Convenzione ONU del 1951 sullo Status dei Rifugiati.

Garzón, che si è da poco aggiunto al collegio dei difensori di Assange, ha aggiunto che, se al cittadino australiano non sarà permesso di lasciare la Gran Bretagna, potrebbe essere aperto un procedimento presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia.

La sorte di Assange non sembra invece preoccupare il governo australiano che continua a mantenere un vergognoso silenzio di fronte agli abusi commessi contro un suo cittadino.

Nonostante sia giunto nelle ultime ore un timido annuncio che per Assange è disponibile l’assistenza consolare, fin dall’inizio della vicenda Canberra ha più o meno apertamente preso le parti dei governi che stanno facendo di tutto per zittire Assange.

Mentre rimane la minaccia della polizia di entrare con la forza nell’ambasciata ecuadoriana, le forze di sicurezza britanniche anche venerdì continuano a presidiare l’edificio di Knightsbridge. Julian Assange, da parte sua, ha ringraziato il governo di Quito per l’asilo concessogli e ha ricordato Bradley Manning, il giovane soldato americano accusato di aver passato i cablo del Dipartimento di Stato a WikiLeaks, detenuto da oltre 800 giorni senza processo né condanne in un carcere militare statunitense.

Il trattamento riservato a Manning e quello che attende verosimilmente Assange, in caso di estradizione, è il risultato della persecuzione messa in atto senza scrupoli dai governi di Washington, Londra e Stoccolma per mettere a tacere definitivamente qualsiasi voce critica e indipendente che cerchi di rivelare i loro crimini nel mondo, perpetuati alle spalle dei cittadini per la difesa esclusiva dei propri interessi imperialistici.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy