di Michele Paris

Il terzo summit dei cosiddetti “Amici della Siria” si svolgerà oggi a Parigi e, come nelle precedenti occasioni, non vedrà la partecipazione delle due principali potenze effettivamente alleate di Damasco. Russia e Cina, infatti, hanno nuovamente deciso di disertare l’evento patrocinato dagli Stati Uniti per promuovere le opposizioni armate e un intervento esterno che porti alla fine del regime di Bashar al-Assad.

Mosca ha per prima annunciato di voler boicottare la conferenza nella capitale transalpina, mentre la conferma di Pechino è giunta giovedì, quando un portavoce del Ministero degli Esteri ha respinto ufficialmente l’invito a partecipare fatto dal governo francese.

Russia e Cina, d’altra parte, percepiscono correttamente questi incontri, modellati su quelli degli “Amici della Libia” dello scorso anno, come il tentativo occidentale di raccogliere consensi di fronte alla comunità internazionale per avanzare i propri interessi strategici.

Al vertice di Parigi parteciperanno più di 60 governi, tra cui la maggior parte di quelli europei e della Lega Araba. In precedenza, gli “Amici della Siria” si erano riuniti a Tunisi nel mese di febbraio e ad aprile a Istanbul.

Il summit giunge dopo l’assemblea dello scorso fine settimana indetta dall’ex Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, a Ginevra e che ha visto la partecipazione sia della Russia che della Cina. In quell’occasione, i paesi convenuti avevano trovato un accordo, peraltro ininfluente, sul processo di transizione in Siria. Mosca ha però da subito accusato l’Occidente di averne distorto il significato, sostenendo l’esclusione da qualsiasi nuovo governo del presidente Assad, nonostante tale condizione non sia stata inclusa nel documento finale.

La vigilia della riunione di Parigi è stata segnata dalle consuete dichiarazioni volte a falsificare la realtà sul campo in Siria e a caratterizzare la conferenza stessa come un raduno di paesi intenzionati, in maniera disinteressata, a fermare la repressione del regime e a sostenere le aspirazioni democratiche della popolazione pacificamente in rivolta.

In realtà, l’aggravarsi della situazione nel paese mediorientale nelle ultime settimane, con il naufragio della missione degli osservatori ONU e l’innalzamento del livello di violenza, è dovuto soprattutto all’afflusso di ingenti quantità di armi ed equipaggiamenti militari, forniti ai gruppi di opposizione da paesi come Arabia Saudita, Qatar e Turchia con il coordinamento statunitense.

Uno degli scopi del meeting di venerdì è quello di dare un qualche impulso all’unità dei vari gruppi di opposizione, formati da islamisti, dissidenti secolari al servizio di Washington, estremisti, mercenari e affiliati ad organizzazioni terroristiche, tutti invariabilmente con scarso seguito nel paese.

Le fazioni coinvolte nella lotta contro il regime di Damasco sono uscite pochi giorni fa da un incontro promosso dall’Occidente al Cairo, dove sono emerse ancora una volta tutte le divisioni all’interno di raggruppamenti che concordano pressoché unicamente nell’obiettivo di rovesciare Assad.

Il tentativo di includere Russia e Cina nel vertice degli “Amici della Siria” va di pari passo con le pressioni diplomatiche su Mosca per spingere il Cremlino ad abbandonare il presidente Assad. Secondo quanto ha scritto questa settimana il quotidiano russo Kommersant, ad esempio, gli Stati Uniti e i loro alleati starebbero tentando di convincere il governo russo ad ospitare un eventuale esilio di Assad.

La rivelazione è stata smentita seccamente dal vice-ministro degli Esteri, Sergei Rybakov, anche se simili voci dimostrano con quale insistenza la Russia sia esposta alle sollecitazioni occidentali per abbandonare l’alleato mediorientale.

Nonostante le pressioni crescenti, in ogni caso, sia Mosca che Pechino continuano a respingere qualsiasi soluzione imposta dall’esterno alla crisi siriana. Per i due governi, dopo la vicenda libica con la deposizione e l’assassinio di Gheddafi, il prezzo da pagare per la perdita di Damasco sarebbe infatti troppo pesante e consentirebbe agli Stati Uniti di allargare pericolosamente la propria influenza a discapito degli interessi di entrambi nella regione.

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