di Michele Paris

Il terremoto politico che sta scuotendo il Giappone da qualche mese a questa parte è sembrato aggravarsi nella giornata di lunedì, quando il Partito Democratico (DPJ) di governo ha registrato un vero e proprio esodo dalle proprie file da parte di decine di parlamentari facenti capo alla fazione di Ichiro Ozawa, il principale rivale interno del premier, Yoshihiko Noda. Il nuovo scompiglio nel partito di centro-sinistra è scaturito dalla recente approvazione alla Camera bassa nipponica dell’aumento della tassa sui consumi, fortemente voluta dal primo ministro e dagli ambienti finanziari internazionali per contenere il colossale debito pubblico di Tokyo.

L’impopolare imposta verrà raddoppiata gradualmente, dall’attuale 5% all’8% nel 2014, fino al 10% nel 2015, e dovrebbe generare 170 miliardi di dollari l’anno, a fronte di un deficit assestato attorno ai 530 miliardi. Il passaggio della nuova legislazione la scorsa settimana era stato possibile solo grazie al sostegno offerto alla maggioranza dall’opposizione del Partito Liberal Democratico (LDP) e dell’alleato di quest’ultimo, il partito Nuovo Komeito, in seguito a trattative con il premier Noda.

Contro l’aumento della tassa hanno votato 57 deputati DPJ, più 15 tra astenuti e assenti, privando di fatto il partito di governo della maggioranza assoluta dei seggi nella Camera dei Rappresentanti della Dieta giapponese. Il provvedimento dovrà ora ottenere il via libera della Camera dei Consiglieri, il che appare scontato visto che a controllarla è l’opposizione guidata dall’LDP.

Con l’avanzamento dell’aumento dell’imposta sui consumi, dunque, le divisioni all’interno del DPJ si sono approfondite e ieri è arrivato l’annuncio ufficiale che 40 deputati della Camera bassa e 12 di quella alta hanno rassegnato le dimissioni dal partito. Successivamente, l’agenzia di stampa Kyodo ha portato il numero totale a 50, dal momento che due parlamentari sembrano essere tornati sui propri passi. Il numero dei fuoriusciti è inferiore rispetto ai dissidenti del voto in aula di martedì scorso, consentendo così a Noda di mantenere, almeno per il momento, la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti.

Il leader dei parlamentari in rivolta è il già ricordato Ozawa, discussa eminenza grigia del DPJ e protagonista dietro le quinte della storica vittoria elettorale del 2009 che ha posto fine a decenni di monopolio LDP sulla vita politica giapponese. La fazione pro-Ozawa favorisce, oltre a rapporti più stretti con la Cina, politiche di aumento della spesa pubblica rispetto a quelle votate all’austerity e all’incremento delle tasse del premier Noda.

Su tali basi, il DPJ e il suo candidato premier nel 2009, Yukio Hatoyama, avevano impostato la loro campagna elettorale in un frangente nel quale molti paesi avevano risposto alla crisi finanziaria da poco esplosa con momentanee politiche di stimolo all’economia.

Per questo, Ozawa e i suoi si sono opposti da subito all’aumento della tassa sui consumi, indicata come un tradimento delle promesse elettorali. Dopo l’estromissione di Hatoyama, tuttavia, i nuovi governi nipponici - guidati dapprima da Naoto Kan e successivamente da Noda - si sono adeguati all’adozione su scala planetaria di misure di austerity e di riduzione del debito, così da far pagare le conseguenze della crisi alle classi più deboli.

La situazione del debito pubblico di Tokyo, inoltre, appare particolarmente grave, dal momento che esso risulta di gran lunga maggiore rispetto a quello degli altri paesi industrializzati, Grecia compresa, e cioè superiore al 200% del proprio PIL. Negli ultimi due anni, così, le pressioni sul governo nipponico sono aumentate, con svariati declassamenti da parte delle agenzie di rating e il Fondo Monetario Internazionale e gli ambienti di cui è espressione che continuano a chiedere altre “riforme” e provvedimenti più incisivi per ridurre la spesa pubblica.

Il timore di Ozawa e dei parlamentari usciti dal partito è che il raddoppio della tassa sui consumi, che colpirà maggiormente la classe media e i redditi più bassi, danneggi ulteriormente la popolarità del DPJ, peraltro già ampiamente compromessa sia dal mancato mantenimento delle promesse elettorali sia dalla pessima gestione della crisi nucleare seguita al terremoto del marzo 2011.

La crescente avversione per i governi democratici succedutisi dopo il voto del 2009 aveva già portato, nel 2010, alla perdita della maggioranza nella Camera alta. Nonostante l’avvertimento, il premier Noda ha deciso comunque di puntare tutto sul provvedimento fiscale approvato settimana scorsa. Di fronte alla frangia interna contraria all’aumento della tassa, però, è stato necessario trovare un accordo con l’LDP, i cui vertici in cambio hanno chiesto, tra l’altro, la rimozione di alcuni ministri vicini ad Ozawa, cosa che Noda ha diligentemente fatto con un rimpasto di governo nel mese di giugno.

La disputa interna su quest’ultima questione ha contribuito in maniera decisiva alla frattura nel partito, già messo a dura prova dall’incriminazione e dal successivo proscioglimento di Ozawa nell’ambito di uno scandalo legato a finanziamenti illegali al DPJ.

Per alcuni commentatori, l’uscita dal partito della fazione pro-Ozawa, con il mantenimento di una maggioranza ancora intatta, sarebbe addirittura benefica, poiché, oltre a scongiurare il rischio di elezioni anticipate, consentirebbe al primo ministro Noda di avere mano libera per trovare altri accordi con l’LDP, così da favorire il passaggio di nuove misure, soprattutto di austerity, nella Camera dei Consiglieri. La Camera alta del parlamento giapponese ha infatti il potere di bloccare la legislazione approvata dalla Camera dei Rappresentanti.

La resa dei conti nel Partito Democratico, tuttavia, indica un inequivocabile intensificarsi della crisi politica in Giappone sulla spinta della crisi economica internazionale e delle conseguenti divisioni all’interno della classe dirigente locale, mentre le politiche impopolari del governo sembrano assicurare una ancora più rapida perdita di consensi e un inevitabile tracollo del DPJ nella prossima tornata elettorale.

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