di Carlo Musilli

La crisi politica greca ha innescato una bomba a orologeria che nessuno in Europa sa come disinnescare. E aspettando le elezioni del prossimo 17 giugno, i grandi del mondo fanno melina. Dal G8 di Camp David sono emerse solo considerazioni ovvie e già sentite sul destino di Atene: "Affermiamo il nostro interesse affinché la Grecia resti nell'eurozona rispettando i suoi impegni", hanno scritto i leader dei Paesi più ricchi al mondo al termine del vertice. Unico cenno di humana pietas, il contentino con cui si "riconoscono i sacrifici penosi che i cittadini greci stanno affrontando come conseguenza della crisi".

Domenica mattina ci ha pensato Wolfgang Schaeuble a chiarire ogni ambiguità. Lontano dal glamour americano, in un'intervista alla Bild, il ministro delle finanze tedesco ha parlato chiaro: "Dire ai greci che non hanno bisogno di applicare le misure d'austerità concordate significa mentire loro - ha sottolineato Schaeuble -. La direzione che abbiamo scelto insieme alla Grecia deve essere seguita e sarà seguita", nonostante alcuni "credano ci poter eludere le proprie responsabilità".

Il ministro di Berlino ostenta una sicurezza che non ha ragion d'essere. A mettere in discussione il patto d'austerity siglato da Ue e Fmi con Atene non è una sparuta minoranza della politica ellenica, ma il partito che probabilmente uscirà vincitore dal voto del mese prossimo. Lo spauracchio che tiene col fiato sospeso mezza Europa è Syriza, formazione di sinistra radicale arrivata seconda alle elezioni di maggio.

A guidarla c’è Alexis Tsipras, che nelle ultime settimane ha conquistato una valanga di consensi grazie a un programma in aperta contraddizione con i piani di Bruxelles. Il giovane leader si dice contrario al rispetto delle misure lacrime e sangue, ma al tempo stesso vorrebbe mantenere il Paese all'interno dell'eurozona (come il 52% dei greci, secondo un sondaggio pubblicato dal settimanale Real News, che sottolinea anche come solo il 28,8% della popolazione sia disposto a rischiare il ritorno alla dracma).

Due obiettivi apparentemente inconciliabili, visto che gli interlocutori internazionali non sono disponibili a rinegoziare alcunché. D'altra parte, qualsiasi passo indietro di Atene rispetto agli impegni presi significherebbe rinunciare alle prossime rate degli aiuti da 130 miliardi.

Schaeuble poi fa finta di ignorare quanto l'ascesa di Tsipras sia stata favorita dalla goffaggine politica di Angela Merkel. L'ultima trovata della cancelliera è stata quella di "suggerire" al presidente delle Repubblica greca, Karolos Papoulias, la convocazione di un referendum con cui chiedere ai cittadini se restare o meno nell'euro.

La circostanza è stata timidamente smentita da Berlino, ma la conferma è arrivata dal settimanale Spiegel e da un giornalista della Bild, che ha detto perfino di essersi trovato nella stessa stanza con Papoulias mentre si svolgeva la telefonata della discordia.

Vera o falsa che sia la notizia, si è trattato comunque dell'ennesimo assist involontario a Tsipras, che ha sottolineato come "la signora Merkel abbia l'abitudine di rivolgersi ai dirigenti politici della Grecia come se si trattasse di un suo protettorato. Le prossime elezioni metteranno fine alla sottomissione".

Secondo un sondaggio condotto fra 16 e 17 maggio dalla Metron Analysis, oggi Syriza otterrebbe il 25,1% delle preferenze, mentre i conservatori di Nuova Democrazia si piazzerebbero al secondo posto con il 23,8% e i socialisti del Pasok arriverebbero sull'ultimo gradino del podio con il 17,4%.

Fra le prime due posizioni il distacco è minimo, ma quella manciata di punti o di decimi potrebbe rivelarsi decisiva per il futuro del Paese, considerando che la legge elettorale greca concede un premio di maggioranza di 50 seggi sui 300 del Parlamento. Numeri che spiegano chiaramente perché la scorsa settimana Tsipras abbia impedito per ben tre volte la formazione del governo, puntando tutto sul ritorno alle urne.

Ma cosa succederebbe se davvero Syriza guidasse il prossimo esecutivo? Secondo un'analisi del Wall Street Journal, gli scenari possibili sono tre. La prima ipotesi è che il nuovo governo ripudi il piano di salvataggio: in questo caso Ue e Fmi sospenderebbero l'erogazione dei prestiti e le casse di Atene si ritroverebbero vuote già a luglio. La Grecia non potrebbe più ripagare alcun debito e la ricapitalizzazione delle banche sarebbe impossibile. A quel punto il ritorno alla dracma sarebbe inevitabile e la speculazione internazionale passerebbe a sbranare le economie di Portogallo e Spagna.

La seconda possibilità è forse la più auspicabile, ma allo stesso tempo potrebbe rivelarsi un suicidio elettorale per frau Merkel (già isolata fuori casa dal nuovo asse Washington-Parigi, che passa per la mediazione di Roma). Si tratterebbe di trovare un nuovo accordo Bruxelles-Atene per rinegoziare i patti già siglati, allungando i tempi di attuazione delle misure e rivedendo le regole più dure soprattutto in tema di stipendi, licenziamenti e pensioni. Oltre alla Germania, si oppongono a qualsiasi nuova concessione anche Finlandia e Norvegia.

Infine, la terza strada ipotizzabile è quella sognata dai funzionari Ue. Ma è anche la meno probabile. In sostanza, il nuovo governo greco dovrebbe rinunciare a qualsiasi rivendicazione, obbedendo all'Europa e applicando alla lettera tutte le misure concordate. L'economia ellenica continuerebbe a crollare anno dopo anno, ma gli avvoltoi della speculazione volerebbero ancora nel cielo ellenico. Evitando pericolose migrazioni. 

 

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