di Mario Braconi

Dopo una nottata al cardiopalma, Boris Johnson è sindaco di Londra per un altro mandato di quattro anni: benché dall’entourage dell’avversario Ken “il Rosso” Livingstone si ammettesse a mezza bocca la sconfitta sin dal primo pomeriggio di ieri, la vittoria del candidato conservatore è stata di misura. A Johnson sono andate, infatti, il 51,53% delle preferenze, contro il 48,47% totalizzate dall’avversario: il che comporta un margine di poco meno di 63.000 voti, il più ridotto nella storia delle elezioni amministrative di Londra.

A rendere più emozionante il finale della disfida, una paio di incidenti (sospetti?): dapprima i conteggi interrotti per ore a seguito del ritrovamento di due casse di voti non conteggiati nel collegio elettorale di Harrow e Brent (dove è forte il consenso per Livingstone); e poi problemi con i dispositivi elettronici conta-voti ed un centro di conteggio rimasto per qualche tempo senza corrente elettrica.

La vittoria del candidato conservatore non va però letta come un successo del suo partito: al contrario, i risultati del partito conservatore, al di là di quanto accaduto a Londra, non sono certo confortanti, e sono l’ovvia conseguenza di una serie di azioni politiche del governo assai poco gradite, perfino ai cittadini meno progressisti, quali l’introduzione di nuove tasse sulle pensioni, sulle donazioni alle onlus e perfino sui prodotti da forno.

Proiettando i dati delle elezioni a livello nazionale, il partito conservatore arriva oggi al 31% delle preferenze, mentre il Labour di Miliband tocca il 38;% dei consensi; i Liberaldemocratici devono accontentarsi invece di un magro 16%.

A dispetto della sconfitta del Rosso, i nemici interni di Miliband, che attendevano una sua disfatta alle elezioni di Londra per regolare i conti in sospeso, debbano attendere un’altra occasione. Anche nel 2012 Livingstone si è rivelato un mal di testa per la dirigenza laburista: Miliband si è assunto un notevole rischio politico, candidando il sessantaseienne ed alquanto indigesto Ken all'incarico di sindaco di Londra.

A sua discolpa si può dire che non avesse molta scelta, almeno a dar credito alle voci di corridoio riferite da Jon Craig su SkyNews, secondo cui Red Ken, rientrato nei ranghi laburisti nel 2004, anche questa volta avrebbe ricattato la dirigenza del partito, rendendo più convincente la sua candidatura sventolando lo spauracchio di una sua possibile corsa da indipendente. Lo stesso copione visto alle elezioni del 2000, quando Livingstone, indispettito dal veto di Blair sul suo nominativo, corse e vinse da solo, ma umiliando la leadership.

Ma Miliband esce comunque vincitore dall’agone elettorale delle amministrative: innanzitutto tradizionalmente le elezioni per il sindaco di Londra sono guidate più dal confronto delle personalità che dalle idee politiche. E Livingston, se da un lato è un candidato simpatico e poco incline al compromesso, va anche detto che alcune sue uscite velatamente anti-semite, e il sospetto di movimenti non chiarissimi di milioni di sterline che coinvolgono la sua amministrazione della capitale, ne hanno depauperato non poco il capitale politico. Inoltre, a causare la sconfitta laburista di Londra è stato un numero limitato di voti.

Ma soprattutto ad incoronare Ed Miliband è il grande successo ottenuto dal partito nel Paese, al di là dell’incidente di Londra. Come ricorda il commento politico del Guardian, il 38% dei consensi, pur lontanto dal 43% dei tempi di Blair, non è poi troppo lontano da quel 40% che viene considerato la garanzia di vittoria alle elezioni generali nazionali. Sembra funzionare, insomma, la strategia del nuovo capo del partito del lavoro britannico, che ha abbandonato la deleteria strada di sorpassare a destra i conservatori.

In effetti, anche la composizione del consiglio comunale della Capitale del Regno dopo le elezioni conferma una situazione politica contraddittoria rispetto alla vittoria di facciata del candidato conservatore: i Tory perdono due seggi, passando da 11 a 9; i laburisti ne guadagnano ben quattro, che, sommati agli otto pre-esistenti, portano il loro numero a 12, cosa che ne fa il gruppo in maggioranza relativa; débacle per i liberaldemocratici, che perdono uno dei loro tre seggi. Al momento, insomma, le opposizioni non sono in grado di bloccare la legge di spesa di Johnson, ma perfino gli elettori di Londra hanno dato un segnale chiaro.

I conservatori potranno anche festeggiare il successo di Johnson, ma le cose non vanno certo bene per il partito. Pare infatti che gli elettori conservatori più destrorsi abbiano letto l’indebolimento dei consensi dei Tories come la conseguenza della strategia centrista adottata da Cameron, dettata da questioni di opportunismo in generale e dalla contingenza dell’alleanza con i Liberaldemocratici in particolare: basta insomma, con queste sciocchezze come i diritti delle persone omosessuali, cari agli alleati liberal-democratici. E' possibile perciò che i conservatori tentino ora un rilancio con politiche più chiaramente reazionarie.

Insomma, guai in vista per Cameron, che peraltro si potrebbe trovare un nuovo nemico in casa: Boris Johnson, indubbiamente rafforzato dall rinnovato mandato a Londra. Il sindaco Tory, peraltro, deve già fronteggiare la prima grana: le dimissioni, date ormai per certe, del suo numero due Guto Harri, che avrebbe accettato un nuovo incarico nell’alta dirigenza a News International di Murdoch, che, dopo una stagione segnata da gravissimi scandali, suicidi ed arresti tenta disperatamente di risollevare la sua immagine.

 

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