di Emanuela Pessina

London’s burning, ma stavolta non sono gli incendi né i riots a farla bruciare. Una sola settimana separa la metropoli britannica dalle elezioni del suo primo cittadino e a infuocare è il dibattito elettorale dell’ultima ora. La posta in gioco è molto alta: oltre a gestire le Olimpiadi del 2012, evento d’interesse internazionale, il nuovo Mayor rappresenterà il voto di otto milioni di cittadini, un’entità che avrà un peso notevole sull’atmosfera politica generale del Paese. Sei i candidati in lizza, di cui quattro i più plausibili, per una campagna elettorale giocata tra l’importanza delle singole personalità politiche, più che quella dei partiti, e il filo del populismo.

A dominare i sondaggi pre-elettorali, seppur di pochi punti, è Boris Johnson, il rappresentante dei Tories, il partito conservatore inglese, e primo cittadino in carica dal 2008. Nelle ultime elezioni ha ottenuto più di un milione di voti, la maggioranza elettorale più ampia nella storia britannica. Il partito laburista si presenta invece con Ken Livingstone, che ha già sfidato Johnson per la stessa poltrona nel 2008. Per i LibDem, il partito socialdemocratico inglese, si candiderà ancora una volta Brian Paddick, ex capo della polizia metropolitana londinese in pensione, che ha recentemente attirato l’occhio indiscreto dei media per il romantico matrimonio norvegese con il suo compagno storico.

Al gentil sesso, infine, la candidatura dei Verdi: si chiama Jenny Jones ed è una delle donne più influenti della Gran Bretagna, presente sulle scene della politica da ben 25 anni. Le probabilità di vincita di Miss Jones sono probabilmente basse, ma il suo contributo a queste elezioni non è da sottovalutare.

Una proposta della candidata ecologista ha infatti “indotto moralmente“ i candidati sindaci a rendere pubbliche le proprie dichiarazioni dei redditi. L’invito di Miss Jones è arrivato in seguito ad alcuni rumors circa una possibile evasione fiscale di Livingstone, lo sfidante laburista. Tutti e quattro i candidati hanno reso pubblici i loro piccoli segreti fiscali, e sia per Livingstone che per Johnson si sono riscontrate alcune “macchie”, che si sono in un certo senso equilibrate essendo presenti in entrambe le parti.

Una procedura, inutile dirlo, che ha spaventato tutta la classe politica inglese, preoccupata dal fatto che possa diventare un must. L’abitudine è già uno standard negli Stati Uniti e, poco ma sicuro, garantisce più trasparenza. The Guardian avverte tuttavia che in questo modo si rischia di annientare del tutto quel poco di ideologia che rimane alla politica, rimettendo tutto nella figura individuale dei singoli politici.

Per il resto, la campagna elettorale si è giocata interamente attorno alla sicurezza e alla lotta alla criminalità, una delle piaghe che maggiormente preoccupa il cittadino medio londinese. Johnson promette di dimettersi se non raggiunge, durante il suo mandato, una riduzione della criminalità del 20%. La promessa era già stata fatta nel 2008: i risultati non si sono comunque visti e il pegno non è stato pagato.

Livingstone, il candidato laburista, non perde occasione per ricordare agli elettori l’irresponsabilità di Johnson in occasione dei gravi disordini dell’estate 2011 quando, durante una protesta, la polizia uccise un giovane di 29 anni e i riots, per tutta risposta mise a ferro e fuoco (nel vero senso della parola) Tottenham Hale, un quartiere tutto fuorché residenziale della periferia nord- est della metropoli.

Johnson, che si trovava fuori Londra, riuscì a sollevare lo sdegno generale con una sola frase: ”Non ho intenzione di interrompere la mia vacanza per i disordini di Totthenam Hale”, aveva dichiarato spavaldo alla BBC, “perché sono certo che le forze dell’ordine sanno gestire la situazione in maniera ottimale”. Sottovalutando così l’importanza del quartiere messo in trincea dai manifestanti e l’entità degli scontri. E rivelando, oltre a un buon grado di arroganza, un’incapacità di giudizio critico impensabile per un politico.

Anche Paddick, il socialdemocratico, scommette la propria poltrona contro un calo dei crimini, promettendo di togliere diversi privilegi agli ufficiali delle forze dell’ordine. Certo, un ex-capo di Scotland Yard ci si potrebbero aspettare grandi cose, eppure nel 2008 Paddick era arrivato solo terzo. Più contenuta Miss Jones, del partito ecologista, che “potrebbe dimettersi” nel caso in cui l’obiettivo sicurezza non venga raggiunto con un suo mandato. Tra i suoi targets, la riduzione della distanza fra ricchi e poveri, un’altra piaga che accompagna Londra da centinaia di anni, ma che è probabilmente il risultato più visibile di una politica nazionale, che un semplice sindaco non può cambiare.

Per la questione sicurezza non potevano certo mancare le Olimpiadi: Livingstone ha accusato Johnson di aver tagliato il numero delle unità di polizia di Londra di 2000 unità, una decisione sconsiderata alla luce delle Olimpiadi, un evento che potrebbe rappresentare uno obiettivo terroristico molto goloso.

Eppure quella londinese sembra una campagna elettorale priva di sostanza. Un po’ come in una finale di Champions League tra due squadre di spicco, più il livello della sfida e il traguardo sono alti, più il gioco concreto manca di consistenza. Tanto importante è la sfida londinese, tanto vuoti sono i contenuti della sfida politica tra i candidati, che si mantengono nell’ambito dei problemi più quotidiani dei cittadini e fanno promesse che (lo sanno tutti) non potranno mai risolvere veramente la situazione.

Non si rende una città più sicura blindandola, bisognerebbe capire i motivi di tanta criminalità e magari andare a risolverli alla radice. E, soprattutto, non basta conoscere la dichiarazione dei redditi di un politico per capire se può gestire una metropoli come Londra, soprattutto quando i programmi elettorali sono bicchieri vuoti e senza spessore.

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