di Michele Paris

Con un annuncio a sorpresa, martedì Rick Santorum ha improvvisamente abbandonato la corsa alla nomination per il Partito Repubblicano, lasciando via libera al già favoritissimo rivale interno, Mitt Romney. Le chances dell’ex senatore ultraconservatore della Pennsylvania di diventare il candidato repubblicano per la Casa Bianca erano in realtà svanite da tempo, anche se sembrava sussistere un’esile speranza di giocarsi il tutto per tutto in una convention “aperta” a fine agosto, uno scenario peraltro estremamente remoto nel panorama politico moderno degli Stati Uniti.

L’annuncio ufficiale del ritiro è andato in scena a Gettysburg, nella sua Pennsylvania, le cui primarie del prossimo 24 aprile erano viste fino a un paio di giorni fa come l’ultima spiaggia per la sua campagna, al termine di un mese complicato e in vista di stati più favorevoli che avrebbero dovuto invece votare a maggio. A fianco della moglie in lacrime e di quattro dei suoi sette figli, il figlio di immigrati italiani originari di Riva del Garda ha tenuto un discorso di pochi minuti in una sala conferenze di un piccolo hotel, affermando che la decisione di lasciare era stata presa già nel fine settimana e che, nonostante “questa corsa alla presidenza per noi è finita, non smetteremo di lottare”.

Come da copione per i candidati alla Casa Bianca, fino a lunedì Santorum e il suo staff avevano assicurato di voler rimanere in corsa ancora a lungo. Le indiscrezioni su un suo possibile ritiro erano però iniziate a circolare da qualche giorno dopo il ricovero in ospedale avvenuto venerdì scorso della sua ultima figlia di tre anni, Bella, affetta da una grave malattia genetica (Trisomia 18 o Sindrome di Edwards).

Il dramma familiare di Santorum ha forse fornito l’occasione all’ex senatore di abbandonare con onore la corsa ad una nomination che sembrava sempre più lontana. L’esito della competizione ha così evitato una disputa prolungata all’interno del partito che avrebbe potuto compromettere una già difficile sfida a Barack Obama il prossimo novembre. Per questo, gli stessi vertici repubblicani avevano progressivamente aumentato le pressioni su Santorum per interrompere la corsa, soprattutto dopo la decisiva sconfitta della settimana scorsa in Wisconsin.

La permanenza nella competizione fino ad aprile inoltrato, malgrado meno della metà dei delegati conquistati rispetto a Romney, è stata dovuta principalmente al consenso raccolto da Santorum tra le frange di estrema destra del partito, in particolare tra gli evangelici e gli affiliati ai Tea Party che, insieme, compongono una consistente fetta dell’elettorato repubblicano, in particolare nel sud del paese.

Questo successo, assieme allo scetticismo dei votanti più conservatori nei confronti di Romney, ha così permesso a Santorum di vincere inaspettatamente una serie di primarie, a cominciare dai caucus dell’Iowa che avevano aperto la stagione elettorale 2012 ai primi di gennaio.

Il fattore finanziario ha anch’esso avuto un ruolo fondamentale nella decisione presa da Santorum. Costretto fin dall’inizio a gestire una complessa campagna con mezzi limitati, quest’ultimo ha visto a poco a poco scemare l’entusiasmo dei suoi più generosi donatori. La mancanza di fondi avrebbe inoltre determinato con ogni probabilità una sconfitta devastante in Pennsylvania - dove Romney aveva pianificato un massiccio investimento di denaro - determinando a sua volta un ulteriore calo delle entrate per finanziare la campagna del mese di maggio.

La conquista di fatto della nomination rappresenta invece per Romney il coronamento di un sogno perseguito almeno fin dal 2007, quando scese in campo per succedere a George W. Bush ma fu sconfitto precocemente da John McCain nonostante l’ampio vantaggio in termini di disponibilità finanziarie. La possibilità di correre per la Casa Bianca è costata a Mitt Romney in questi anni decide di milioni di dollari e lo ha costretto a rinnegare praticamente ogni opinione o iniziativa di stampo moderato che avevano caratterizzato la sua precedente carriera politica, così da accreditarsi come autentico conservatore.

Pur esponendosi alle accuse d’incoerenza e trasformismo, grazie soprattutto alle donazioni incassate da finanziatori in gran parte di Wall Street, con i quali aveva coltivato proficui rapporti durante i suoi anni alla guida di una compagnia operante nel “private equity”, Romney ha assistito fin dallo scorso anno all’ascesa e alla più o meno rapida caduta di uno sfidante dopo l’altro, da Rick Perry a Michele Bachmann, da Herman Cain a Newt Gingrich, fino a Rick Santorum.

Dal Delaware, dove il 24 aprile si terranno le primarie dello stato, Romney ha accolto la notizia del ritiro del suo principale rivale elogiandolo per “l’importante contributo portato al processo politico” e, già preannunciando un’offensiva per ingraziarsi i suoi sostenitori, ha ringraziato Santorum per aver sollevato una serie di questioni che gli stanno molto a cuore. Un riferimento, quest’ultimo, ai temi sociali che l’hanno messo in difficoltà fin da subito con gli elettori conservatori.

L’addio di Santorum consentirà a Romney di risparmiare parecchio denaro che avrebbe dovuto spendere nelle prossime primarie in calendario, a cominciare proprio dalla Pennsylvania, dove la sua organizzazione aveva preventivato un esborso di quasi 3 milioni di dollari in campagne pubblicitarie, cioè un importo pari a circa il 40% del denaro totale a disposizione alla fine di febbraio. Il nuovo scenario, oltretutto, eviterà al miliardario mormone un’altra serie di sconfitte umilianti negli stati del sud che andranno alle urne a breve, come Arkansas o North Carolina.

Per Romney, in ogni caso, rimane aperta la questione del voto conservatore tutto da conquistare, proprio mentre si sta per aprire una nuova fase della campagna elettorale nella quale in genere i candidati alla Casa Bianca tendono a spostarsi su posizioni più moderate per attrarre il consenso degli elettori indipendenti.

L’essersi scrollato di dosso Santorum segna comunque una tappa importante nella corsa di Romney, il quale potrà ora dedicarsi alla raccolta di fondi per l’elezione generale, ma anche parlare delle questioni economiche invece dei temi sociali e concentrare i propri attacchi sul presidente Obama, la cui organizzazione per la rielezione ha da poco iniziato a prendere di mira il suo prossimo sfidante.

Nelle restanti primarie rimarranno ancora in corsa gli altri due sfidanti, il deputato libertario del Texas, Ron Paul, e l’ex speaker della Camera, Newt Gingrich, la cui presenza sulle schede elettorali è però solo simbolica, dal momento che nessuno dei due ha nemmeno la possibilità di aggiudicarsi una sola competizione da qui a giugno.

Per quanto riguarda Santorum, invece, oltre all’eventualità di ottenere un qualche incarico in un’ipotetica amministrazione Romney in cambio del suo abbandono e di un possibile “endorsement” a breve, secondo alcuni osservatori si potrebbe aprire un percorso nuovo che lo condurrebbe ad un secondo tentativo nel 2016, potendo contare su una consolidata rete di sostenitori e finanziatori, nonché su un panorama politico americano che continua a spostarsi sempre più a destra.

Il bilancio finale della sua corsa nelle primarie 2012 è stato di dieci vittorie in altrettanti stati con la conquista, secondo le stime della Associated Press, di 285 delegati, contro i 661 finora accumulati da Romney. Una parte dei delegati vinti, circa un terzo, erano cosiddetti “unbound” e cioè già liberi di votare qualsiasi candidato alla convention di agosto. Gli altri due terzi, al contrario, rimarranno vincolati a Santorum, costringendo Romney ad attendere ancora qualche settimana per raggiungere la soglia dei 1.144 delegati necessari per assicurarsi formalmente la nomination, a meno che l’ex senatore della Pennsylvania non dichiari in maniera ufficiale di lasciarli liberi di scegliere il candidato preferito.

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