di Michele Paris

Il tradizionale supermartedì negli Stati Uniti ha registrato l’altro giorno un’affermazione complessivamente positiva nelle primarie repubblicane per il favorito, Mitt Romney, anche se il suo immediato rivale, Rick Santorum, è stato in grado di conquistare alcune significative vittorie che gli permetteranno di rimanere in corsa nelle prossime settimane. Il miliardario mormone, in particolare, è riuscito a prevalere, sia pure di misura, nello stato più importante tra quelli chiamati a votare martedì - l’Ohio - ribaltando i sondaggi della vigilia che sembravano dare invece un certo vantaggio a Santorum.

Nel supermartedì repubblicano hanno votato gli elettori di dieci stati, dove erano complessivamente in palio più di 400 delegati, vale a dire circa il 20 per cento del totale da assegnare e il 40 per cento di quelli necessari ad ottenere la nomination del partito. Dopo le vittorie messe a segno nell’ultima settimana in Michigan, in Arizona e nello stato di Washington, Romney ha potuto così allungare il passo su Santorum e sugli altri sfidanti interni, ma non evitare il prolungarsi di una competizione che il suo staff sperava di poter archiviare entro i primi di marzo. Addirittura, la netta affermazione martedì di New Gingrich nel suo stato, la Georgia, manterrà per il momento in corsa anche l’ex speaker della Camera, dividendo il voto dell’ala conservatrice del partito a tutto vantaggio di Romney.

Oltre all’Ohio (66 delegati in palio), Romney ha vinto in Virginia (49), dove Santorum e Gingrich non avevano raccolto abbastanza firme per apparire sulle schede, in Massachusetts (41), dove è stato governatore tra il 2003 e il 2007, in Vermont (17) e nei caucus di Alaska (27) e Idaho (32), stato quest’ultimo con una folta presenza di mormoni. Santorum ha prevalso invece in Tennessee (58) e in Oklahoma (43), nei quali ha inciso la componente di elettori evangelici vicini alle posizioni reazionarie dell’ex senatore della Pennsylvania, così come nei caucus del North Dakota (28). Per Gingrich, come già ricordato, è arrivata la sola vittoria della Georgia, lo stato che martedì assegnava il maggior numero di delegati (76).

In Ohio l’esito delle primarie è stato in bilico a lungo, fino a quando all’alba di mercoledì la Associated Press ha assegnato il primo posto a Mitt Romney con un margine di poco più di 12 mila voti e un punto percentuale (38% a 37%) su Rick Santorum.

Questo stato, perennemente in bilico tra democratici e repubblicani (“swing state”), è considerato fondamentale per la conquista della Casa Bianca a novembre e perciò i due candidati repubblicani hanno investito parecchie risorse per cercare di prevalere. Romney è riuscito a rimediare allo svantaggio che i sondaggi gli attribuivano nei confronti di Santorum spendendo ancora una volta massicciamente in messaggi elettorali negativi contro il suo avversario.

Ciononostante, alla fine è arrivata per lui una vittoria stentata che ha confermato i dubbi di molti all’interno del partito nei confronti della sua candidatura, non solo tra l’estrema destra ma anche tra quelle sezioni della working-class bianca che vota repubblicano e che rappresenta una parte relativamente consistente dell’elettorato del Midwest. Questa fetta di elettori era stata corteggiata a lungo nelle ultime settimane dai due candidati e, in Ohio, sembrava orientata verso il messaggio populista di Santorum. Oltre alle minori disponibilità finanziarie rispetto a Romney, in Ohio Santorum ha pagato anche l’assenza del suo nome sulle schede in tre distretti elettorali a causa di problemi burocratici.

Dopo il voto di martedì, Romney ha accumulato un discreto margine di vantaggio in termini di delegati. Secondo le stime parziali di mercoledì della Associated Press, l’ex governatore del Massachusetts avrebbe finora messo assieme 415 delegati contro i 176 di Santorum, i 105 di Gingrich e i 47 di Ron Paul. Per assicurarsi la nomination sono necessari almeno 1.144 delegati.

Se Romney sembra dunque aver superato, sia pure a fatica, la prova del Midwest con le vittorie di Michigan e Ohio, all’orizzonte c’è ora un altro test complicato con una serie di stati nel sud degli Stati Uniti, teoricamente favorevoli a candidati più conservatori some Santorum o Gingrich. Sabato prossimo sono previsti i caucus del Kansas (40 delegati in palio) e martedì le primarie di Alabama (50) e Mississippi (40).

Se la sfida per la nomination repubblica appare sempre più una questione tra Romney e Santorum, Ron Paul e New Gingrich per il momento non intendono lasciare. Per il deputato libertario del Texas da tempo non esiste alcuna chance di nomination, ma i suoi sostenitori sono tra i più agguerriti ed organizzati. Nel supermartedì, Paul ha come al solito ottenuto buoni risultati negli stati che prevedevano caucus (secondo in Idaho e North Dakota, terzo in Alaska) e il 40% dei consensi in Virginia, dove però l’unico avversario era Romney.

Per Gingrich, invece, quello in Georgia è stato il secondo successo della stagione dopo che aveva prevalso in Carolina del Sud a gennaio. Considerato la prima alternativa a Romney fino a qualche settimana fa, la stella di Gingrich si è tuttavia rapidamente offuscata, lasciando spazio al ritorno di Rick Santorum. La sua permanenza nella competizione dipendeva esclusivamente da una vittoria convincente nel suo stato, grazie alla quale - e ad una nuova infusione di denaro da parte del suo principale finanziatore, il magnate dei casinò Sheldon Adelson - proverà ora a giocarsi le residue carte a disposizione nel sud degli Stati Uniti.

Come già accaduto nei primi due mesi dell’anno, anche nei giorni precedenti il supermartedì la campagna elettorale per le primarie repubblicane è stata caratterizzata dai consueti scambi di critiche e accuse tra i vari candidati. Questi ultimi hanno fatto a gara nel posizionarsi il più a destra possibile sui temi sociali, economici e - a parte Ron Paul - della politica estera. In particolare, Romney, Gingrich e Santorum, in concomitanza con la convention annuale della lobby sionista AIPAC e della visita a Washington del premier israeliano Netanyahu, hanno attaccato il presidente Obama sulla questione del nucleare iraniano, minacciando un intervento militare contro Teheran in caso di elezione alla Casa Bianca.

Romney, inoltre, ha continuato a promuovere la sua immagine di imprenditore vincente grazie alla passata esperienza nel “private equity” che lo renderebbe il candidato più adatto a risollevare l’economia americana.

Santorum, da parte sua, facendo leva sulle sue umili origini da una famiglia cattolica della Pennsylvania, si è presentato soprattutto in Ohio come il difensore dei lavoratori e delle classi più disagiate, nonostante abbia messo assieme una fortuna come lobbista per svariate corporation dopo aver perso la rielezione al Senato nel 2006. Assieme alle vittorie dell’ultima settimana di Romney, in ogni caso, sono giunti segnali inequivocabili da parte dell’establishment repubblicano per serrare i ranghi attorno al favorito.

Nei vertici del partito sono d’altra parte diffusi i timori per il protrarsi di una campagna lacerante e, soprattutto, per un’eventuale nomination di Santorum che con ogni probabilità allontanerebbe una buona parte dell’elettorato in vista di novembre a causa delle sue posizioni troppo estreme sui temi sociali. Un fondamentalismo quello di Santorum che, in Ohio come in Michigan, ha addirittura spinto la maggioranza dei cattolici a preferire il mormone Romney.

Quest’ultimo ha potuto così incassare l’appoggio ufficiale di alcune importanti personalità del Partito Repubblicano, come il leader di maggioranza alla Camera, Eric Cantor, il senatore dall’Oklahoma, Tom Coburn, e l’ex ministro della Giustizia di George W. Bush, John Ashcroft. Il vantaggio principale di Romney rimane però la quantità di denaro - oltre 100 milioni di dollari - tuttora a disposizione della sua campagna elettorale e della SuperPAC che lo sostiene. Il “front-runner” repubblicano, vanta anche una fortuna personale stimata in qualcosa come 250 milioni di dollari alla quale in caso di necessità potrebbe attingere, come fece durante le primarie del 2008.

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