di Carlo Musilli

Serve una "psicoterapia nazionale" per regalare ai russi "certezze nel domani". E' questa l'ultima umiliazione che il primo ministro di Mosca, Vladimir Putin, ha voluto infliggere al suo popolo. Nemmeno l'inganno di un eufemismo, ma l'arroganza di una perifrasi che ribadisce in modo ancor più volgare il modus operandi preferito dallo Zar: se la protesta è troppo estesa per esser messa tacere col manganello, quello che serve è un bel surplus di propaganda. Da diffondere naturalmente con ogni strumento mediatico a disposizione, a cominciare dalla televisione e soprattutto da internet.

Proprio per via telematica è nata l'ultima sollevazione della Russia contro Putin. Sabato scorso sono scese in piazza 100 mila persone, il doppio di quelle che avevano sfilato appena due settimane prima. Un fiume di manifestanti che non si era mai visto nei 12 anni in cui l'ex capo dei servizi segreti ha retto le sorti del Paese. Chiedono semplicemente il rispetto dei loro diritti civili: le ultime elezioni legislative, che ancora una volta hanno consegnato al partito del Premier ("Russia Unita") la maggioranza alla Duma, si sono svolte fra clamorosi brogli e andrebbero ripetute.

Come se non bastasse, il 4 marzo si tornerà alle urne per le consultazioni presidenziali. Se nulla cambierà nei prossimi mesi, l'esito del voto sarà il più scontato: Putin, dopo aver provveduto ad una chirurgica modifica della Costituzione, potrà rimanere inchiodato al suo trono per un'altra dozzina d'anni.

Di certo non gli fa paura la sfida lanciata dal blogger/avvocato 35enne Alexei Navalny, uomo simbolo della recente protesta, che ieri ha annunciato di volersi candidare per defenestrare Sua Maestà e metter fine al cosiddetto putinismo. "Forse sono troppo ingenuo - ha detto a una radio moscovita - ma se portiamo un milione di persone in piazza allora è fatta, non potranno farci niente. E dovranno ascoltare le nostre richieste". In realtà qualcosa gli hanno già fatto: fra il 6 e il 21 dicembre Navalny è stato rinchiuso in carcere con l’accusa di aver ostacolato la polizia e di aver fomentato i manifestanti durante le proteste.

Il presidente Dmitri Medvedev ha bonariamente promesso di semplificare la procedura per permettere anche ai partiti minori di partecipare alle consultazioni. In fondo un ragazzo volenteroso che male può fare? Al contrario, la sua velleitaria candidatura potrebbe dare alle prossime elezioni proprio quell'imbiancatura di legittimità di cui il Cremlino ha tanto bisogno.

Intanto però gli attacchi di misteriosi hacker stanno oscurando i blog e le pagine web in cui si concentravano le più accese proteste anti-governative. E non ci vuole Sherlock Holmes per immaginare chi sia il mandante.

Insomma, lo Zar non ha molti dubbi su come andrà a finire la partita, tanto che si preoccupa a mala pena di sminuire gli slogan dei suoi contestatori: "Abbiamo ascoltato le persone in piazza con rispetto - ha detto - ma erano una minoranza". E se in un regime non conta l'opinione della maggioranza, figurarsi che peso può avere la voce di 100 mila persone: "Le elezioni sono chiuse - ha sentenziato ancora il Primo ministro - non ci sarà alcuna revisione".

Quanto ai suoi sparuti oppositori, declassati verbalmente al rango di banale "concorrenza", il loro problema è che "non hanno un unico programma, né una strada chiara per raggiungere i loro obiettivi, anch'essi fumosi. Non ci sono persone in grado di fare alcunché di concreto". Inutile obiettare che perfino nel più ridicolo surrogato di democrazia non spetta al premier valutare la ragion d'essere delle opposizioni.

Ma lo scherno più incredibile partorito da Putin è stato quello riservato alle presidenziali: "Mi auguro che il voto del prossimo marzo sia limpido, ma temo che qualcuno cerchi di minarne la sua legittimità". Strano che abbia scelto il verbo "temere", perché migliaia di suoi connazionali invece non hanno dubbi. Nonostante le preoccupazioni dello Zar, i russi hanno già delle certezze.

 

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