di mazzetta

In Somalia sembra finalmente aprirsi uno spiraglio di speranza per la ricostituzione di un'amministrazione ed un governo nazionale.
A Karthoum, in Sudan, sotto l'egida della Lega Araba, i rappresentanti del governo provvisorio e delle Corti Islamiche si sono accordati per il reciproco riconoscimento e la disponibilità a collaborare.
Nonostante notizie di segno diverso, la condotta politica delle Corti Islamiche è stata improntata al basso profilo e al conseguimento di un accordo che conduca all'unità d'intenti per sollevare la Somalia dal baratro in cui giace da oltre quindici anni. Il tentativo ha trovato buona accoglienza anche da parte del composito governo provvisorio, lesto ad espellere dai suoi ranghi i signori della guerra sconfitti e a convenire sulla necessità di deferirli a un tribunale internazionale che giudicherà i loro crimini. Il governo italiano in questi giorni viene accreditato di una positiva opera di mediazione (sicuramente dettata dal recente cambio di governo), dopo essere stato per lungo tempo accusato, anche dall'ONU, di fomentare il conflitto e di introdurre armi nel paese.
Sarebbe merito dei nostri rappresentanti in loco se anche gli Stati Uniti paiono per ora aver abbandonato i minacciosi proclami contro i "terroristi islamici" ed essere venuti a più miti consigli, limitandosi a dire che sperano che il paese non divenga un riparo sicuro per al Qaeda.
In ogni caso Jendayi E. Frazer, l'ufficiale di punta per l'Africa del Dipartimento di Stato ha dichiarato che gli Stati Uniti ed i loro alleati (l'Etiopia?) non intendono avere contatti diretti con le Corti e che si dedicheranno a rafforzare il governo di transizione, principalmente fornendo dotazioni militari in modo da rendere meno evanescente il suo potere sul terreno.

Gli Stati Uniti escono sconfitti dai recenti avvenimenti somali e, con loro, la nefasta politica americana concepita da Kissinger negli anni settanta, in osservanza della quale gli USA sono intervenuti in decine di paesi attraverso il supporto ad alleati locali spesso più vicini alla criminalità che alla politica. Non è una novità che gli strateghi repubblicani e neoconservatori capiscano solo il linguaggio della forza e che la loro mancanza di scrupoli riesca ad essere mitigata solo dall'umiliazione della sconfitta militare.

Neanche la lezione ricevuta dalla ribellione del Frankenstein talebano era riuscita a mettere in discussione un format che vedeva il suo punto qualificante nell'armamento di chiunque fosse disposto a combattere gli avversari degli statunitensi ("il nemico del mio nemico è mio amico") senza andare troppo per il sottile sulle qualità morali e politiche di quanti si sceglieva di armare. In Africa questa politica si è rivelata particolarmente disastrosa, dai tempi del sostegno a Mobutu in Congo, passando per quello a Johnatan Savimbi ed alla sua Unita in Angola, alla Renamo in Mozambico, per tornare nuovamente all'impiego della famiglia Kabila ancora in Congo. La politica statunitense in Africa ha provocato milioni di morti e profughi e solo il totale disinteresse dei media per il continente nero ha nascosto una incredibile serie di genocidi, la responsabilità dei quali conduce direttamente a Washington.

Anche in tempi recenti è evidente che Washington distribuisce le patenti di "buon musulmano" e "cattivo musulmano" a seconda dei propri interessi politici ed economici. Fior di dittatori africani (Mubarak, Gheddafi, Obiang, Contè, Deby e ora anche al Bashir e altri), per la maggior parte musulmani, godono del sostegno e delle forniture militari americane, mentre le loro opposizioni (anche non islamiche) vengono regolarmente iscritte nella lista delle organizzazioni "terroristiche". Anche la recente istituzione della Trans-Sahara Counter-Terrorism Initiative, ha posto le opposizioni democratiche dell'area sotto il tallone delle oligarchie sostenute da Washington, eppure tutti gli osservatori internazionali sono concordi nell'affermare che nell'area non è presente alcuna organizzazione terroristica.

In Somalia le responsabilità americane sono gravissime e risalgono al tempo nel quale gli USA hanno sostenuto (con il placet italiano) il dittatore Siad Barre in funzione di contrasto verso l'Etiopia una volta vicina all'URRS, per poi abbandonarlo e fomentare i signori della guerra che lo hanno destituito, alcuni dei quali tra i protagonisti sconfitti del recente scoppio di violenza a Mogadiscio per mano dell'autoproclamata Alleanza Contro il Terrorismo (tipico imbroglio semantico made in USA). Per una delle consuete giravolte della storia proprio l'Etiopia è la principale alleata degli americani nel recente tentativo di presa del controllo sulla Somalia, mentre i paesi confinanti, dal Kenya, storico alleato degli americani, fino al Sudan fresco di riabilitazione, per finire con l'ONU e l'Unione Africana hanno salutato con favore la sconfitta dei signori della guerra da parte delle Corti Islamiche.

Gli Usa e l'Etiopia sono quindi i grandi sconfitti nel recente scontro nel Corno d'Africa, insieme al sottobosco di trafficoni italiani legati da interessi economici in loco e dalle nostalgie monarchiche e fasciste; non a caso alcuni dei coinvolti nel recente scandalo penale attorno a Vittorio Emanuele Savoia sono stati protagonisti di interviste pubblicate da Libero e da L'Opinione, nelle quali si dipingeva il paese nelle mani di al Qaeda e degli estremisti e si invocava l'intervento dell'Occidente, ipotesi poi riprese anche da Magdi Allam sul Corriere della Sera, sempre in prima fila nel denunciare il "terrorismo" ovunque nel mondo vi sia opposizione a Washington e agli interessi dell'Occidente.

In realtà la vittoria delle Corti apre uno spiraglio di speranza per una rinascita di una amministrazione somala finalmente in grado di riprendere il controllo del paese, senza peraltro dare preoccupazioni in relazione all'avvento di un regime radicale islamico. Gran parte delle preoccupanti "notizie" recenti, come quelle sulla proibizione della proiezione delle partite dei mondiali di calcio o sull'applicazione cruenta della Sharia su vasta scala, si sono rivelate false: banale propaganda prodotta da operatori dei media vicini agli USA.

La stragrande maggioranza degli esperti riconosce infatti che l'Islam somalo è molto distante dal radicalismo, appartenendo in gran parte al sufismo, corrente storicamente nemica di quella Wahabita che governa l'Arabia Saudita e che domina l'immaginario talebano, fornendo l'ossatura della predicazione jihadista ad al Qaeda e ad altre organizzazioni che mirano ad acquisire la guida del mondo musulmano. Riguardo alla Somalia vi è dunque una ragionevole speranza di ottimismo, in particolare se Washington rinuncerà ad ingerire nel paese ed abbandonerà la politica di sostegno a briganti e signori della guerra.

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