di Sara Nicoli

La Corte Suprema ha condannato il Presidente, George W. Bush, e la sua Amministrazione per la violazione della Convenzione di Ginevra e delle stesse leggi degli Stati Uniti nei confronti dei detenuti del carcere di Guantanamo, illegalmente detenuti in regime di massima sicurezza senza aver subito un regolare processo. Le oltre 460 "tute arancioni" sono dunque da considerarsi uomini "sequestrati" dal governo Usa senza valide ragioni processuali, men che meno a fronte di condanne definitive e giuridicamente fondate. Si tratta, oltre ogni ragionevole dubbio, della più poderosa spallata all'aggressiva strategia della Casa Bianca nel trattamento dei detenuti e della personale guerra al terrorismo del presidente texano. Pesanti, pesantissime, le motivazioni della sentenza: il presidente è andato al di là della propria autorità nel negare ai detenuti le garanzie previste dal sistema giudiziario americano. Il giudizio della Corte, nell'affrontare il nodo dei tribunali militari (che dovranno essere rivisti) non è entrata nel merito della questione più generale della chiusura del carcere, invocata dalla comunità internazionale. Ma, di fatto, sancendo l'illegittimità dell'organismo militare giudicante che ha "condannato" quei presunti terroristi, ha anche certificato l'illegittimità dell'esistenza di Guantanamo, sia perché contraria alla legge americana, sia perché istituita in violazione della convenzione internazionale trattamento dei prigionieri di guerra. La sentenza della Corte Suprema annulla anche la formulazione dei capi d'accusa di tutti i 460 prigionieri attualmente detenuti promossi dalle commissioni militari istituite dal Pentagono.
E, come i tribunali illegittimi che li hanno "condannati" ad una detenzione fuori da ogni diritto umano e giuridico, anche la stessa galera che li ospita è da considerarsi, dunque, illegale oltre che inaccettabile. Non poteva andare peggio a Bush. Non poteva andare meglio al resto del mondo.

Alla fine di una giornata disastrosa per l'immagine e la politica del presidente americano, è arrivata dunque come una doccia fredda anche questa attesa sentenza della Corte Suprema Usa sulla legittimità dell'istituzione di una giustizia militare speciale per i detenuti di Guantanamo. Il massimo organo giudiziario americano, che si è espresso sul caso del presunto terrorista yemenita Hamdan, considerato un pericoloso adepto di Osama bin Ladin (per un periodo era stato solo il suo autista), obbliga ora Casa Bianca e il Pentagono a ripensare l'intera procedura della detenzione. Beffa "suprema" per Bush: le motivazioni della sentenza sono state scritte dal giudice John Paul Stevens, il più "liberal" tra i membri della Corte.

Tutto da rifare, quindi. Ma stavolta senza sotterfugi che salvino la forma ma che mantengano l'illegittimità della sostanza; gli occhi del mondo sono tutti su Guantanamo e l'Amministrazione Bush potrebbe rischiare di essere denunciata da uno qualunque dei suoi detenuti, forse terroristi, forse no, anche per violazione dei diritti umani. E non è detto che non succeda. Per il momento, "l'aquila" Usa ha deciso di volare molto basso. "Ci conformeremo al giudizio della Corte - ha commentato sprezzante - ma posso già dire che non lasceremo in libertà i terroristi; non sarà messa in discussione la sicurezza del popolo americano". E, con lo stesso tono seccato, ha risposto a chi gli chiedeva di commentare la sentenza che obbliga gli Usa a rispettare la Convenzione di Ginevra. "Non sono stato informato a sufficienza", per poi aggiungere, con un accenno alla fantascienza che "studierà la sentenza". Modi bruschi che avvalorano un giudizio pesante sulla persona prima ancora che sulla sua politica estera. E che confortano un giudizio unanimemente condiviso che affonda le sue radici nella storia del mondo e, forse, anche da quella americana: mai dare il potere a chi non è politicamente in grado di gestirlo.

È la seconda volta che la Corte Suprema si esprime su Guantanamo, dopo la sentenza con cui, due anni fa, stabiliva l'illegittimità della detenzione dei prigionieri senza limiti di tempo, senza concedere loro un processo. Era stato in seguito a questa prima sentenza che il Pentagono aveva istituito le commissioni militari speciali che avevano formulato i primi capi di accusa nei confronti di dieci detenuti della base. Un segnale che doveva risuonare come monito per Bush e di cui lui, invece, non ha tenuto affatto conto.

La decisione su Guantanamo del massimo organo giudiziario é però anche un premio alla tenacia di un ufficiale che da anni sfida i propri superiori, fino al "comandante in capo" George W.Bush.
Si chiama J. Swift, 44 anni, ed é l'avvocato militare che il Pentagono ha assegnato anni fa, controvoglia, al detenuto yemenita Salim Ahmed Hamdan. E' stata la sua cocciutaggine e il rifiuto di consigliare il proprio cliente a dichiararsi colpevole e patteggiare una pena - come esortavano da più parti i suoi superiori - a dar vita alla causa legale "Hamdan contro Rumsfeld". Alla fine, Swift e Hamdan sono usciti vincitori sia contro il capo del Pentagono, Donald Rumsfeld, sia contro il presidente Bush. ''Come ufficiale - ha detto l'avvocato poco prima della sentenza - rispetto profondamente il presidente Bush. Ma credo anche che sia mio dovere, come militare, far presente quando il comandante in capo sbaglia. Tutto ciò che chiediamo é un processo corretto. Niente di più, niente di meno". Una giustizia inaccettabile per un uomo come Bush,ma non per il popolo americano. Che ha tutto il diritto di non vergognarsi davanti al resto del mondo.
Per colpa della "sete" di petrolio del suo "comandante in capo".

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