di Luca Mazzucato 

PROVIDENCE. Secondo Romano Prodi, i movimenti epocali che stanno sconquassando il Nord Africa potranno dare frutti solo se faremo partire un nuovo “Piano Marshall.” Chi ci guadagnerà dalla guerra in Libia, una volta che le bombe smetteranno di cadere? Turchia e Cina, che fino ad ora non hanno aperto bocca...Il Professore si è ritirato dalla vita politica: la sua esperienza è ora al servizio degli studenti e della ricerca. Nulla a che fare con il famoso “semaforo” di Corrado Guzzanti: da quando non è più Presidente del Consiglio, Romani Prodi non sta fermo un attimo. Passa il suo tempo visitando le più prestigiose università del pianeta ed è “molto contento,” ci confessa con un sorriso sornione. Lo incontriamo durante un seminario al Dipartimento di Scienze Politiche della Brown University in Rhode Island.

Il tema dell'incontro è il parallelo tra le rivolte in Medioriente e la crisi finanziaria del 2008. Secondo il politologo Mark Blyth, la parola d'ordine è “constrained volatility, ovvero “volatilità vincolata.” Nessuno ha previsto lo scoppio delle rivolte, così come nessuno aveva visto arrivare l'esplosione della bolla immobiliare. Ovvero, “tutto è stabile, finché non lo è più.” I governi occidentali hanno sempre confermato gli autocrati mediorientali in nome della “stabilità”, creando una vera e proprio “bolla politica”.

Il motivo? Non c'era alcun modo di valutare il rischio che si sarebbe presentato nel caso di cambio di regime. Il fenomeno è lo stesso che ha portato al salvataggio delle grandi banche: l'impossibilità di calcolare il rischio. E quando il sistema salta, la scossa è imprevedibile. Nessuno ha anticipato la rivolta giovanile, perché tutti gli analisti occidentali si sono concentrati soltanto sul pericolo islamico, che si è dimostrato del tutto trascurabile.

“Tutti sapevamo della grande ingiustizia e della povertà e delle tensioni sociali presenti nei Paesi del Nord Africa da almeno quarant'anni - dice Prodi - ma nessuno aveva idea di quello che sarebbe successo. Un mese prima della rivolta in Egitto ho partecipato ad un incontro con esperti mediorientali. L'unica domanda sul tavolo era: quando Mubarak se ne andrà, il successore sarà suo figlio oppure Omar Suleiman? Lo scoop del momento: uno dei suoi sarti aveva notato che Mubarak aveva perso qualche chilo e quindi forse era ammalato”…

“In un Paese turistico come l'Egitto - prosegue l’ex Premier italiano - non si può oscurare per molto tempo Internet, oppure bloccare i telefoni cellulari e così via. Per questo la rivolta ha avuto un'enorme diffusione. Si possono invece controllare la stampa e la televisione, media che però non influenzano la giovane popolazione urbana. Anni fa, mi trovavo ad una conferenza stampa ad Alessandria d'Egitto, due ore di discussione con i giornalisti egiziani in cui abbiamo parlato di tutto. Alla fine, i giornalisti mi hanno ringraziato per la meravigliosa discussione, confessandomi però che il giorno seguente avrebbero potuto scrivere solo un articolo sulla moglie di Mubarak. Ma Internet non si può oscurare, perché altrimenti come fai la prenotazione all'albergo”?

“Non saprei dire se si tratti di rivoluzione o rivolta - ha aggiunto il professore - ma quando questa cosa è successa in Egitto, politicamente tutta la zona ha iniziato a trasformarsi. L'Egitto è fondamentale per tutto il mondo arabo, le università egiziane sono il punto di riferimento culturale a cui tutta la cultura musulmana e il resto dell'Africa guardano”.

Quale scenario, dunque, a breve-medio termine? “Guardiamo al futuro: l'esercito è al potere. L'esercito non è la temuta polizia di Mubarak, ma un'istituzione rispettata e relativamente meritocratica. I Fratelli Musulmani d'altra parte rappresentano l'unica forza organizzata nel Paese e hanno costruito un'enorme rete di stato sociale per la popolazione. Ma succedono cose strane: i Fratelli Musulmani sono l'unica forza politica al mondo che parteciperà alle elezioni cercando di perdere! Sono consapevoli che la loro vittoria sarebbe vista con sospetto negli Stati Uniti. Il nuovo equilibrio è dunque tra il movimento islamico e l'esercito. Ma c'è un grossissimo problema: l'economia egiziana è al tracollo, durante i primi giorni della rivolta una buona parte dei capitali finanziari investiti in Egitto hanno levato le tende. Dal punto di vista politico si sta facendo progresso con le future elezioni, ma la situazione giornaliera della popolazione è in rapido declino.”

Per l’ex presidente della Commissione europea “un cambiamento sicuramente ci sarà presto. Nessun governo egiziano sarà abbastanza forte da continuare il blocco totale di Gaza, come aveva fatto Mubarak. Dunque il confine tra Gaza ed Egitto sarà finalmente aperto. Gli israeliani, d'altro canto, hanno un atteggiamento ambivalente sulla rivolta egiziana: vorrebbero un esercito forte che rispetti i trattati di pace con Israele, ma per alcuni se l'esercito egiziano collasserà, l'unica minaccia reale per lo Stato ebraico sparirà”.

Scenario diverso, invece, quello tunisino: “In Tunisia la situazione è diversa: il ruolo dell'esercito è marginale. Ma il problema della corruzione è impressionante, tutto il Paese era in mano alla famiglia di Ben Alì. Era uno Stato familiare. Una volta Ben Alì mi disse: “Tu non sai niente di me, ma io so tutto di te! Io ho i miei servizi segreti e tu non ce li hai”! Non vi dico le conversazioni che ho avuto con Mubarak perché erano allucinanti... Ma la Tunisia è meno importante dell'Egitto e più tranquilla, il Paese è piccolo, la società è più benestante e l'Europa è vicina e può far ripartire l'economia.”

Lo sguardo si allarga a Tripoli: “La situazione in Libia è ancora una volta completamente diversa. Un Paese di sei milioni di abitanti, con un milione d’immigrati che sono la forza lavoro del Paese. Lo stesso modello dell'Arabia Saudita. Socialmente, la Libia è spaccata in due. Ma anche geograficamente lo è: Cirenaica e Tripolitania sono divise dall'epoca romana. Non si sono mai unificate realmente. Gheddafi viene dalla Tripolitania, mentre il re che ha spodestato veniva dalla Cirenaica”. La guerra in Libia è cominciata con motivazioni nobili: proteggere i civili dai mercenari di Gheddafi. Ma nessuno sa veramente chi stiamo aiutando. Le varie tribù sono in lotta tra loro, i migliori leader ribelli sono ex alleati di Gheddafi. Tutte le nostre scommesse sono riposte su dei traditori: un bel rischio!”

Del resto, a detta del professore, “l''Unione Africana fatica a mediare, perché è già coinvolta in Costa d'Avorio, oltre ad essere vista dai ribelli come un'estensione del potere di Gheddafi, che la finanzia sostanzialmente. Il mandato dell'ONU è molto limitato e l'unico modo di far vincere i ribelli è di istruirli militarmente e armarli. La personalità di Sarkozy sarà determinante anche negli sviluppi futuri, così come lo è stata finora. Gli attacchi aerei, una volta distrutte le strutture militari di Gheddafi, non possono far più nulla. Dunque siamo in uno stallo, in cui l'Europa è spaccata e gli Stati Uniti sono riluttanti ad azioni ulteriori.”

Ci si chiede quali conseguenze avranno gli attacchi militari occidentali sulla regione nordafricana e il Professore propone una lettura delle ricadute sull’Italia in termini d’immigrazione: “Per dare un semplice esempio, trentottomila cinesi sono stati evacuati dalla Libia nei primi giorni di guerra. Centinaia di migliaia di lavoratori stranieri si sono riversati in Egitto e Tunisia e li stanno destabilizzando. In Italia non abbiamo mai avuto immigranti dalla Tunisia, ora per la prima volta ne stanno arrivando a migliaia.”

L’Italia, del resto, poteva giocare un ruolo diverso, ma non ne ha avuto la volontà e la capacità. “Non vorrei parlare dell'Italia - prosegue Prodi - ma visto che insistete... Il governo italiano all'inizio ha sottovalutato la gravità della situazione in Libia. Pensavano si trattasse di un piccolo problema, ma l'opinione pubblica europea ha appoggiato inizialmente le rivolte, e dunque il governo italiano, come quello francese, si è adeguato. All'interno del nostro governo si è dibattuta la convenienza di un intervento militare e si è deciso di farlo. Chiaramente l'Italia è il Paese che soffrirà più di ogni altro per gli eventi in Libia. La maggior parte del petrolio libico si trova in Cirenaica dai ribelli. Pensa all'attivismo di Sarkozy: Total, la compagnia petrolifera francese, è l'unica che finora non ha avuto pozzi in Libia. Per Sarkozy e Cameron è stata anche una grande occasione per uscire dall'angolo in cui si trovavano in politica interna. Dopo l'iniziale tentennamento, il governo italiano è leale all'alleanza occidentale. Ma in sordina. Se, al contrario, avesse mantenuto la posizione neutrale della Germania,  potrebbe essere cruciale come mediatore tra i ribelli e Gheddafi. Ora non è più possibile farlo”.

E ancora: “Cina e Turchia sono nella posizione più favorevole rispetto alla Libia e finora non si sono espressi. Dovevi esserci quando ho visitato due mesi fa l'Università di Pechino: mi hanno spremuto come un'arancia. I cinesi volevano sapere tutto della Libia, fin nei minimi particolari”.

Inevitabile porsi domande circa gli sbocchi futuri della situazione in nord Africa: “Per tornare alle prospettive future, le città nordafricane sono esplose grazie al fatto che la maggior parte della popolazione attiva è formata da giovani, che hanno studiato e sanno usare Internet, ma sono disoccupati. Un'intera generazione di diseredati. Oltre ad essere il motore della rivolta, questo è anche il problema principale: per cambiare la situazione in Egitto bisogna creare un milione di posti di lavoro all'anno per dieci anni. Sembra impossibile. Chiunque vincerà le elezioni si troverà di fronte a questo”.

E l’Occidente, par di capire, non sembra ancora aver trovato una linea politica comune per far fronte a questo scenario. “Se non ci sarà un nuovo Piano Marshall coordinato tra Stati Uniti, Europa e Cina, non credo che potrà succedere nulla di buono per la popolazione del Nord Africa. In Egitto il potere è ancora in mano ai militari, ma anche se passerà ai civili, rimane il problema della disoccupazione di massa. Un altro esempio: non c'è più acqua nel Nilo da quando l'Etiopia ha deciso di usarla a piene mani per l'irrigazione e anche il cibo scarseggia in Egitto, dove l'ottanta percento viene importato dall'estero. Con un Piano Marshall - conclude Prodi - si potrebbe persino usare la leva finanziaria per dettare i termini della svolta politica verso la democrazia. Ma al momento non c'è niente di simile all'orizzonte”.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy