di Carlo Musilli

Dio, patria e famiglia conditi con intolleranza, nazionalismo e retorica neofascista. Sono questi gli ingredienti fondamentali della nuova Carta Costituzionale approvata lunedì scorso dal Parlamento ungherese. Ben 262 voti favorevoli, solo 44 i contrari. Un testo vergognoso e palesemente antidemocratico che riporta la memoria agli anni bui dei totalitarismi. Peccato che oggi l'Ungheria sia membro della Nato e presidente di turno dell'Unione Europea.

La nuova Costituzione di Budapest non definisce più lo Stato nei termini di una repubblica, ma identifica la nazione politica con le sue radici etniche e cristiane. I diritti delle minoranze non vengono nemmeno contemplati. Negli articoli D e G si legge che il Paese "deve farsi carico del destino degli ungheresi che vivono fuori dai suoi confini", a quali sarà concesso diritto di voto, anche perché "il figlio di un cittadino ungherese è ungherese, a prescindere da dove si trovi". Frasi che molti hanno interpretato come la rivendicazione dei territori sottratti al Paese dopo la prima guerra mondiale, oggi divisi fra Serbia, Romania, Croazia e Slovacchia.

Il testo definisce poi il Cristianesimo come elemento fondante della nazione. Un'affermazione che non solo discrimina gli atei e i cittadini di fede diversa, ma umilia anche i diritti delle donne e degli omosessuali. Nell'esaltare il valore della famiglia, infatti, l'Ungheria vieta per legge l'aborto e s’impegna a proteggere "il matrimonio, inteso come unione coniugale fra un uomo e una donna".

Ce ne sarebbe già abbastanza per parlare di atteggiamento medievale, ma non è finita. La parte più spaventosa della nuova Costituzione è quella che sconvolge l'assetto dei poteri. Una serie di organi di garanzia, fino a ieri indipendenti, vengono portati sotto il controllo del governo. L'esecutivo ha il diritto di nominare i membri della Corte Costituzionale, che viene privata delle sue competenze in tema di bilancio, fisco e dogane.

Nel documento viene poi riconosciuto esplicitamente il ruolo dell'Nmhh, l'autorità di controllo dei media instituita quattro mesi fa. Nemmeno a dirlo, i suoi membri sono di nomina governativa. Sarà invece direttamente il Premier a scegliere i componenti del nuovo Consiglio Fiscale della Banca Nazionale, che avrà potere di veto sui temi di bilancio. Una bocciatura del Consiglio consentirebbe al Presidente di sciogliere il Parlamento. E non è un dettaglio: se questo governo cadesse, infatti, il nuovo esecutivo sarebbe tenuto in ostaggio da uomini fedeli al vecchio premier.

Completano il rassicurante quadretto una serie di altre norme. Fra queste, ricordiamo la non commutabilità del carcere a vita, la possibilità di tenere in casa armi da fuoco pur non avendo la licenza, la definizione del lavoro come "dovere" e non più come "diritto".

Questa nuova Costituzione sostituisce quella comunista del 1949, più volte modificata in senso democratico dopo la caduta del Muro, nel 1989. Fino alla settimana scorsa l'Ungheria era l'unico Paese dell'ex area sovietica a non aver completamente riscritto la sua Carta fondamentale dopo la caduta dell'Urss. Come sono arrivati, proprio ora, a un abominio del genere?

Il principale responsabile dello scempio istituzionale è stato il Premier, Viktor Orban, che si è cucito addosso una riforma perfetta per istituzionalizzare la dittatura. Una volta era un leader liberale, ma recentemente lo spirito di qualche imperatore austroungarico deve averlo posseduto. L'anno scorso il suo partito, la Fidesz, ha vinto le elezioni con il 52% dei voti, il che gli ha permesso di occupare oltre due terzi dei seggi parlamentari.

Questo significa che, per far passare qualsiasi riforma, Orban non ha bisogno dell'appoggio di nessuno, né dei socialisti, né dell'estrema destra. La nuova Carta Costituzionale, infatti, è stata votata e approvata soltanto dalla Fidesz. Per protesta, le sinistre hanno abbandonato l'aula. Comitati di cittadini si sono subito attivati per chiedere un referendum abrogativo, ma il governo ha già fatto sapere che non sarà concesso.

L'Unione Europea intanto galleggia fra l'imbarazzo e la sonnolenza. Non sono mancate le critiche contro l'esecutivo di Budapest da parte di singoli Paesi, ma generalmente ci si è limitati a reprimende moraleggianti. Il Consiglio d'Europa ha fatto presente che la bozza della nuova Costituzione è stata presentata solo il 14 marzo, rendendo impossibile qualsiasi confronto con l'Ue. Una puntualizzazione interessante, peccato che non si sia vista nemmeno l'ombra di un intervento concreto.

La voce più autorevole che si sia alzata è stata quella del vice ministro degli Esteri tedesco, Werner Hoyer. La Germania "guarda a quello che sta accadendo in Ungheria - ha detto - con grande attenzione e non senza una certa preoccupazione". Il governo di Budapest ha definito l'intromissione "sorprendente" e "inaccettabile".

Molto meno diplomatica Amnesty International, che ha parlato della nuova Costituzione ungherese come di una violazione "alle norme internazionali ed europee dei diritti dell'uomo". L'Ue dovrebbe "garantire conformità" fra "l'ordinamento ungherese" e "le norme europee". Già, dovrebbe.

 

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