di Michele Paris

Con un messaggio video indirizzato ai propri sostenitori, Barack Obama qualche giorno fa ha lanciato ufficialmente la campagna elettorale per la sua rielezione alla presidenza degli Stati Uniti nel 2012. Il comunicato dell’attuale inquilino della Casa Bianca è stato accompagnato - sia pure in maniera più discreta - dall’inevitabile supplica nei confronti dei soliti facoltosi finanziatori del Partito Democratico e dal consueto appello alla classe media americana, come sempre rispolverato all’approssimarsi dell’appuntamento con le urne.

L’avvio ufficiale delle operazioni per il team di Obama è stato possibile dopo la presentazione lunedì scorso della documentazione necessaria alla Commissione Elettorale Federale, una procedura che ha permesso al Presidente in carica di iniziare a raccogliere fondi e mettere assieme uno staff per il coordinamento della campagna.

Come ampiamente sottolineato dalla stampa statunitense, l’obiettivo di Obama è quello di superare la cifra record raccolta nel 2008 e possibilmente di sfondare per la prima volta nella storia del paese il tetto del miliardo di dollari. Per la sua prima elezione, l’allora senatore dell’Illinois fu in grado di contare su oltre 775 milioni di dollari, vale a dire più del doppio di quanto a disposizione della campagna elettorale di George W. Bush nel 2004. Nonostante la pretesa di aver mobilitato un numero enorme di piccoli donatori, la gran parte del denaro raccolto giunse in realtà da singoli contributi superiori ai mille dollari.

I grossi finanziatori continuano ovviamente a giocare un ruolo fondamentale nella selezione della classe politica americana, la quale una volta giunta a Washington finisce pressoché esclusivamente per occuparsi dei loro interessi. A conferma delle manovre orchestrate dietro le quinte dagli uomini di Obama c’è un recente incontro tra il responsabile della campagna elettorale, Jim Messina, e i maggiori finanziatori democratici, ai quali è stato chiesto di raccogliere 350 mila dollari ciascuno entro il 2011.

Queste iniziative precoci consentono agli aspiranti alla Casa Bianca del Partito Democratico e Repubblicano di presentarsi all’inizio delle competizioni elettorali (primarie) con somme enormi, così da impedire sul nascere qualsiasi sfida eventualmente proveniente da potenziali candidati non legati ai grandi interessi economici e finanziari del paese.

L’appello di Obama ha in ogni caso rivelato le difficoltà che lo attendono sulla strada verso un secondo mandato. Oltre a ribadire la tradizionale convinzione che a decidere le sorti del voto saranno i cosiddetti elettori “indipendenti”, svincolati dai due principali partiti e recentemente gravitanti attorno all’orbita repubblicana, il presidente democratico ha ammesso di non poter più contare sulla carica innovativa che lo favorì nel 2008.

In quell’occasione gli Stati Uniti uscivano da otto anni tra i più bui della loro storia e il messaggio di cambiamento promosso da Obama - assieme alle sue qualità retoriche - incontrò il desiderio di voltare pagina ampiamente diffuso tra gli americani. Già a due anni di distanza dal suo approdo alla Casa Bianca, tuttavia, la delusione per un Presidente che si è raramente distinto dal suo predecessore, è ormai estremamente diffusa.

Da un lato, gli elettori indipendenti sembrano aver prestato ascolto alle accuse rivolte verso l’amministrazione Obama dagli ambienti repubblicani per una presunta espansione oltre il dovuto delle prerogative del governo federale; dall’altro l’ala liberal del Partito Democratico ha perso ogni speranza di poter assistere ad un’accelerazione in senso progressista. Ancora più grave è poi lo sconforto di quegli americani, quasi sempre appartenenti ai ceti più disagiati, che hanno disertato e continueranno a disertare le urne, avvertendo correttamente l’impossibilità di trovare risposta ai propri problemi all’interno di questo sistema bipartitico.

Il racconto del primo biennio della presidenza Obama è d’altra parte costellato d’iniziative e decisioni rivolte alla difesa delle élite economiche sul fronte domestico e, su quello internazionale, degli interessi imperialistici statunitensi. Il primo Presidente di colore della storia americana, durante il suo primo mandato, ha così ampliato il piano di salvataggio delle banche colpite dalla crisi dell’autunno 2008 e già approvato verso la fine dell’era Bush, determinando il prosciugamento delle casse pubbliche a cui ora si cerca di far fronte tagliando selvaggiamente la spesa sociale.

Se i profitti delle corporation e delle grandi banche di Wall Street sono tornati a livelli record, le condizioni dei lavoratori americani sono nettamente peggiorate e la percentuale dei disoccupati risulta in discesa solo grazie allo scoraggiamento di quanti hanno smesso di cercare un impiego, sparendo dalle statistiche ufficiali. Il prolungamento dei tagli alle tasse per i redditi più elevati voluti originariamente da Bush jr., inoltre, si è accompagnato ad un aumento effettivo del carico fiscale per quelli più bassi.

In politica estera e di sicurezza nazionale, infine, l’impegno militare in Iraq è stato solo apparentemente ridimensionato, mentre il coinvolgimento in Afghanistan è stato ampliato a fronte di una crescente ostilità tra gli americani verso un conflitto senza prospettive. Il lager di Guantanamo continua a rimanere in funzione, così come proseguono le detenzioni senza processo e gli abusi in nome della lotta al terrorismo. La recente avventura libica ha poi ulteriormente incontrato l’ostilità dell’opinione pubblica interna, tanto che i sondaggi più aggiornati indicano per Obama un indice di gradimento appena superiore al 40 per cento, cioè al livello più basso dall’insediamento alla Casa Bianca.

La situazione nel Partito Repubblicano potrebbe in ogni caso contribuire al successo della campagna elettorale di Obama. Tra i repubblicani, a tutt’oggi un solo candidato ha annunciato ufficialmente la sua intenzione di partecipare alle primarie - l’ex governatore del Minnesota, Tim Pawlenty - e finora non è chiaro chi potrà emergere come sfidante dell’attuale Presidente democratico. Il predominio dell’estrema destra nelle primarie repubblicane potrebbe oltretutto produrre un candidato difficile da digerire per moderati e indipendenti nelle elezioni presidenziali vere e proprie, favorendo di conseguenza Obama negli stati dove la situazione risulterà più incerta.

Nonostante il vantaggio dal punto di vista delle risorse finanziarie da investire in campagna elettorale, per Obama e il suo staff di stanza a Chicago cominciano ad emergere alcuni segnali preoccupanti. Gli effetti della più grave crisi dai tempi della Grande Depressione hanno causato il riemergere di un certo conflitto sociale anche negli USA - esploso ad esempio qualche settimana fa in maniera clamorosa in Wisconsin - e la consapevolezza tra la popolazione dell’irreversibilità di un sistema iniquo e totalmente controllato da una ristretta cerchia di privilegiati.

Se anche la campagna appena inaugurata per il voto del 2012 dovesse andare nuovamente a buon fine per Barack Obama, le prospettive per il suo eventuale secondo mandato appaiono già da ora tutt’altro che confortanti. Il Presidente democratico, infatti, si ritroverebbe con ogni probabilità a fronteggiare un Congresso interamente a maggioranza repubblicana, con il quale sarebbe costretto a cercare onerosi compromessi e a spostare inevitabilmente ancora più a destra la barra della sua azione politica.

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