di Carlo Benedetti

MOSCA. Le notizie da Tokyo destano preoccupazione nella dirigenza del Cremlino. Annunciano venti di guerra fredda con gli attivisti del movimento giapponese di ultradestra che si mobilitano per chiedere a Mosca la “riconsegna” di quattro isole del Pacifico settentrionale nell’arcipelago delle Curili: Iturun, Sikotan, Hamobaj e Kunasir. Il contenzioso con la Russia data da tempo.

Precisamente dal 1945, quando le truppe sovietiche occuparono l’intero arcipelago tra l'estremità nordorientale della giapponese Hokkaido e la penisola russa della Kamciatka. Si tratta di 60 isole che separano il mare di Ochotsk dal Pacifico settentrionale e sono considerate un avamposto strategico nella regione di Sakhalin.

Ci sono però altri precedenti. Perché la disputa sulle Kurili nasce dalle diverse interpretazioni dei trattati che ne hanno segnato la storia: un Trattato di amicizia del 1875, in cui Mosca riconosce la sovranità del Giappone sull'arcipelago in cambio dell'isola di Sakhalin; poi l'invasione al termine della Seconda guerra mondiale, nel 1945, con  il Trattato di San Francisco che invita il Giappone a rinunciare alle rivendicazioni sulle isole senza però riconoscere la sovranità dell'Urss; quindi le relazioni diplomatiche tra Russia e Giappone si sviluppano nel 1956 con la famosa promessa di Kruscev relativa ad eventuali restituzioni…

Tornando all’attualità va rilevato che si parla di un territorio “multietnico” con la maggioranza schiacciante dei suoi abitanti giunta sin qui, ai confini del mondo, dalle regioni più disparate dell'ex Urss. Secondo l'ultimo censimento (1990), la popolazione è di 710mila persone, distribuite su una superfìcie di 87mila e cento kmq. (all’incirca equivalente a quella dell’Austria). Ovviamente la maggioranza di loro vive a Sakhalin, la cui superficie è di 76mila quattrocento kmq. mentre nelle isole Kurili gli abitanti sono assai pochi: 14 mila a Kunasir, 11 mila a Etorofu (Iturun) e 5 mila e cinquecento a Sikotan.

Tra le 36 etnie che compaiono nel censimento della regione troviamo anche gli estoni (142), gli uzbechi (763), gli armeni (804), gli jakuti (66) e popoli che qui sembrano assolutamente esotici, come gli avari (98), i balkari (43) e gli aguli (14) del Caucaso. E c’è da chiedersi: come saranno finiti qui?  Forse alcune risposte vanno trovate in quell’immenso crogiuolo di razze tipico della vecchia Russia alimentato, poi, dalle deportazioni del periodo di Stalin…

I russi, ovviamente, sono la maggioranza - 580 mila, ovvero l’81,6 per cento - seguono gli ucraini 46mila (6,5), i coreani 35 mila (5), i bielorussi 11milaquattrocento (1,6) e i tartari 10milasettecento (1,5). Le popolazioni autoctone, vale a dire soprattutto i nivchi - duemila persone - e gli oroki (ulta) - secondo dati precisi 340 persone - costituiscono oggi meno dello 0,4 per cento della popolazione. Nel 1926, quando iniziò la sovietizzazione, erano il 15,7 per cento dei residenti complessivi (137).

Nasce in questo contesto la forte e continua richiesta giapponese di annullare l’occupazione e rendere a Tokyo quel che è di Tokyo. E in tutta la vicenda di questo contenzioso geopolitico ci si mise anche l’imprevedibile Krusciov, che nel 1956 promise ai giapponesi che l’Unione Sovietica avrebbe restituito alla loro sovranità due isole. Promessa mai mantenuta, e in ogni caso non sufficiente per il governo di quel paese che ha sempre sostenuto che le isole da restituire sono quattro: Kunasirt, Iturun, Sikotan, Habomaj.

Ora Mosca - rispondendo direttamente alla campagna che i giapponesi hanno lanciato per la riconquista di territori, che considerano parte integrante della loro nazione - lancia una nuova campagna per lo sviluppo economico e sociale di tutto l’arcipelago, creando una zona franca, un polo di sviluppo che dovrebbe portare a trovare un delicato equilibrio fra l’indispensabile valorizzazione delle risorse naturali e la diversificazione dell’economia.

Ed ecco che in una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, il presidente Medvedev annuncia che le visite dei funzionari del Cremlino alle isole Kurili dovrebbero aprire questa remota regione della Russia al flusso di investimenti. E ricordando la sua recente missione nell’arcipelago, Medvedev torna a sottolineare i vari aspetti dello sviluppo della regione. Un’area contesa che ancora ostacola la firma di un trattato di pace formale tra i due paesi. Le Kurili controllate dai russi sono infatti, per i giapponesi, "territori settentrionali", occupati dall'Unione Sovietica alla fine della Seconda guerra mondiale.

Medvedev, nel suo viaggio nelle isole contese, ha trascorso tre ore a Kunasir. Ha visitato un asilo, una centrale geotermica, ha promesso investimenti agli abitanti e un'attenzione non inferiore a quella verso le altre regioni più centrali della Russia. Non è stata una visita improvvisa, il presidente russo l'aveva già messa in programma a settembre e già Tokyo aveva avvertito che non l’avrebbe gradita. Così la reazione del governo giapponese è stata immediata, e dura.

Una missione “estremamente deplorevole”, l'ha definita il primo ministro Naoto Kan, mentre in Parlamento il ministro degli Esteri, Seiji Maehara, ha parlato di “totale incompatibilità” con la posizione del Giappone al riguardo: un gesto “che ferisce il nostro sentimento nazionale”. Il ministro degli Esteri ha poi convocato l'ambasciatore russo a Tokyo, Mikhail Belyj, per presentargli formalmente le proteste del suo governo. L'ambasciatore non si è scomposto: la visita di Medvedev a Kunasir è una questione interna, ha commentato.

Mosca controbatte e una fonte del ministero degli Esteri fa ora sapere che “non comprende la reazione dei giapponesi”, dal momento che la posizione russa sulla questione “non è cambiata”. La sovranità della Russia sulle isole Kurili è, quindi, fuori discussione. Con queste parole Serghej Prikhodko, assistente della presidenza, ha commentato gli ultimi avvenimenti. Il Capo dello Stato nei suoi spostamenti per il Paese - ha detto - non ha bisogno di nessuna approvazione e tanto meno dall’estero.

E’ chiaro che sul piano geo-economico si avranno ulteriori ripercussioni a Yokohama, al forum dei paesi Asia-Pacifico. Tanto più che per il governo giapponese la gestione della crisi è estremamente delicata, in quanto segue il confronto con la Cina sulle isole Senkaku, nelle acque del Mar Cinese Orientale.

Una disputa, questa, riesplosa dopo la collisione tra un peschereccio cinese e due unità della Guardia costiera giapponese. Una vicenda in cui il primo ministro Naoto Kan è stato accusato di debolezza nei confronti di Pechino. La crisi non è superata, tanto che nel week-end del vertice Asean ad Hanoi, il primo ministro cinese Wen Jiabao si è rifiutato di incontrare formalmente Kan.

Ora il premier giapponese deve gestire la sfida lanciata da Mosca.  Intanto a Sakhalin e nelle Kurili si ritrovano problemi analoghi a quelli che oggi affliggono tutta fa Russia. Ma qui nell’arcipelago va rilevato che l’economia è malata e la produzione industriale, sia per ciò che riguarda l'estrazione del petrolio e del gas che per la pesca, si avvia sempre più alla recessione. Gli esempi sono tanti.

Nell’isola di Sikotan, ad esempio, ci sono periodi in cui, causa insufficienza del carburante destinato alla centrale elettrica del posto, nelle case l'elettricità viene erogata solo dalle 6 alle 19. Ritrovandosi nelle case fredde e buie gli abitanti ricordano bene che alcuni uomini d’affari dell'isola giapponese di Hokkaido proposero di assumersi l’onere delle forniture di prodotti petroliferi ai vicini russi. Mosca rifiutò l’offerta perché presero il sopravvento motivi di orgoglio nazionalistico. Al contrario, nell’isola di Kunasir, sono arrivati aiuti umanitari inviati dai vicini giapponesi.

Il Cremlino si dichiara pronto - come ha detto Medvedev - a risolvere il problema socio-ecomico dell’arcipelago che deve essere considerato un “vero tesoro per il futuro”. E così si allontana quel tempo in cui lo scrittore Cechov, a proposito dell’area di Sakhalin, diceva che “se qui vivessero solo coloro ai quali l’isola piace, questa sarebbe disabitata”.

Oggi è necessario sicuramente correggere questo pensiero dello scrittore russo: se a Sakhalin vivessero solo coloro cui piace, l’isola sarebbe popolata quasi esclusivamente dalle popolazioni autoctone. Il fatto è che gli avvenimenti della storia russo-sovietica hanno ignorato la volontà dei locali che sono stati messi in minoranza: hanno perso le loro terre, i loro secolari diritti, le tradizioni, il senso della vita. Finiti nella morsa della storia, tra i belligeranti giapponesi e russi, gli ajni, antichissimi abitanti di queste terre, sono scomparsi.

I cacciatori nivchi e gli allevatori di cervi ulta, cacciati dai loro paeselli e dai loro accampamenti, vivono in città e borgate sporche, indecenti. Le loro terre sono state deturpate dagli incendi e inzeppate di metalli arrugginiti - regato dei geologi. L'acqua dei fiumi e delle coste è stata inquinata dal petrolio.

La tragedia degli ex padroni di Sakhalin è riassunta in alcuni nuovissimi dati statistici: nelle circoscrizioni abitate dalle popolazioni sono nate 531 persone e ne sono morte 629, in questo stesso periodo sono stati celebrati 346 matrimoni e conclusi 339 divorzi…

Ma nonostante questa realtà sociale, il Cremlino di oggi parla di “Isole del tesoro”. Bisognerà vedere chi utilizzerà i tesori locali che si chiamano petrolio, gas e pesca…

 

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