di Alessandro Iacuelli

Mentre gli occhi del mondo occidentale si focalizzano sul programma atomico iraniano e sul ventesimo anniversario della sciagura di Chernobyl, un velo di silenzio e di oblio è caduto sul nucleare pakistano e sui danni che ha già causato soprattutto sul fronte interno.
Il programma nucleare pakistano ha le sue radici nel perenne conflitto contro l'India, una guerra dimenticata, antica quanto i due stati. Iniziò ad essere sviluppato nel 1972, in assoluta segretezza.
Nell'area di confine tra i due stati ci sono state in tutto 11 esplosioni nucleari, tutte dovute a test di armi atomiche: cinque test indiani e sei pakistani.
Nella provincia di Pandzhab, a 350 Km da Islamabad, in un luogo dove nel 1988 ci fu una delle esplosioni atomiche di test, ha sede il deposito di stoccaggio delle scorie nucleari pakistane. Non si tratta di un deposito sicuro e se ne vedono le ragioni, generando dubbi sulla sicurezza del programma atomico del Paese. Aria, acqua e terreni sono contaminati da materiale radioattivo fuoriuscito dal deposito. Secondo gli abitanti del luogo, alcuni bidoni di scorie si troverebbero addirittura a cielo aperto, accanto al principale corso d'acqua della provincia.
Il comitato pakistano per l'energia atomica ha solo in questi mesi aperto un'inchiesta sulla dispersione di materiale radioattivo, mentre aumenta il numero di malattie che possono essere ricollegate all'esposizione umana a materiale nucleare.

Da un punto di vista medico si registra un anomalo aumento del tasso di sterilità, di cancro al fegato ed ai tessuti molli, di malattie della pelle e di malformazioni alla nascita. Aumento del 200% rispetto a 10 anni fa, in un raggio di 100 Km dalla vecchia miniera usata come deposito. Questo secondo Sardal Legari, membro del parlamento di Islamabad, eletto proprio nel collegio di Pandzhab.

Le istituzioni pakistane hanno negato in spregio all'evidenza il cattivo stoccaggio delle scorie, fino a quando una serie di manifestazioni pacifiche degli abitanti della città di Baghalciur, capoluogo del Pandzhab, sfociate in una lettera aperta alla Corte Suprema di Giustizia della capitale, hanno portato il caso all'attenzione della stampa straniera.
Solo a questo punto alcuni parlamentari hanno iniziato ad interessarsi della zona e dei fenomeni di contaminazione. Come risposta, è nata l'inchiesta del comitato per l'energia atomica.

Per gli abitanti della provincia, questa inchiesta non basta affatto. Secondo i dati della Banca per lo Sviluppo dell'Asia, la località è nella zona meno sviluppata economicamente del Paese, con il più basso livello di istruzione e la peggiore qualità della vita. Non c'è nessuna fiducia nei confronti dell'ente di Stato chiamato ad indagare.
"Bisogna creare una commissione indipendente", dice il professor Parviz Hoodboy, docente di Fisica Atomica presso l'università di Islamabad. Le preoccupazioni degli abitanti, ma anche della comunità scientifica, sono aumentate in aprile in seguito ad un incendio scoppiato proprio nei pressi della miniera.

Il Pakistan ha costruito la sua prima centrale nucleare all'inizio degli anni '70, per arrivare 26 anni dopo al suo primo test di una bomba, si tratta quindi di oltre 30 anni di produzione di scorie.
Nel 2004 si è scoperto che Abdal Kadir Cian, capo dei progettisti dell'arma atomica di Islamabad, nel corso degli anni ha fornito informazioni sul come produrre ordigni nucleari a Libia, Iran e Corea del Nord. Dopo il rifiuto da parte degli USA a cooperare nel settore dell'energia nucleare, il Pakistan si è rivolto alla Cina. Per ora, nel quadro del trattato asiatico SCO, il governo di Pechino sta lavorando alla costruzione di una nuova centrale elettronucleare da 300 Megawatt in Pakistan, altre piccole centrali sono previste fino al 2030.

Il resto del mondo sta a guardare, ma con evidente interesse. E non è un interesse di pace.
Nel 1998 l'allora presidente Clinton annunciò un'enorme cambiamento nelle relazioni tra Stati Uniti ed India e il governo indiano lo interpretò evidentemente come un permesso a riprendere i test nucleari.
Alla fine del 2001 le sanzioni sul nucleare imposte al Pakistan furono revocate in cambio della sua collaborazione nella guerra al terrorismo. Il presidente Bush parlò del generale Musharraf come di "un uomo di grande coraggio e lungimiranza" e gli promise nuove sovvenzioni per un valore di 200 milioni di dollari. Musharraf allentò così il suo controllo sui guerriglieri che stavano cercando di introdursi in India attraverso il Kashmir.

Non si deve dimenticare che la costruzione di armi nucleari, sia in India che in Pakistan, avviene con l'aiuto dell'Occidente. Come è stato documentato dal Nuclear Control Institute, entrambi i progetti presero forma a partire dall'industria civile, che fu avviata con l'aiuto del piano statunitense "Atomico per la pace". I reattori ad acqua pesante del Pakistan, in particolare, furono messi a disposizione dal Canada e dal Belgio; le tecnologie per l'utilizzo dell'uranio arricchito, il berillio, il trizio, le fornaci e le fresatrici, dalla Germania. Il reattore nucleare di ricerca dagli Stati Uniti, la tecnologia per il ritrattamento dalla Francia e dal Regno Unito. Tutte queste cose hanno un potenziale utilizzo in un progetto di costruzione di armi nucleari.
Per l'industria bellica occidentale, in particolare per quella nucleare, si tratta di uno dei mercati più promettenti.

Oggi India e Pakistan continuano nel loro programma atomico, anche squisitamente militare, senza che la comunità internazionale, completamente presa da un'altra "guerra al terrorismo", intervenga. Sembra che solo il nucleare iraniano rappresenti un pericolo, come se i programmi di due stati confinanti - ed in guerra ormai da 60 anni - non lo fosse.

Con buona pace per gli abitanti di Baghalciur, condannati a morire giorno dopo giorno, uccisi anche dalla disattenzione internazionale. E con buona pace per la responsabilità morale e politica del mondo intero.

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