di mazzetta

La rivoluzione tunisina procede inarrestabile ormai lontana dall'attenzione dei media italiani. Meglio così, il nostro Ministro degli Esteri è stato l'unico insieme a Gheddafi a solidarizzare con la dittatura e il Sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi è stata l'unica a lamentarsi perché il nostro governo non ha offerto asilo al dittatore tanto amico del suo papà; quel Bettino che portò al potere proprio Ben Alì organizzando un golpe e che poi godrà ricambiato della protezione del dittatore durante la latitanza.

I media e la politica non hanno discusso la posizione italiana, nessuno ci ha trovato nulla da ridire, anche se ci ha emarginato all'interno della UE e offerto una pessima immagine del nostro paese ai nordafricani. Frattini è stato poi particolarmente sfortunato, perché il giorno dopo che ha espresso la sua fiducia al governo di Ben Alì, questi è fuggito in Arabia Saudita. Identico destino quando si è congratulato perché il nuovo Esecutivo era formato da ministri del vecchio governo molto amici dell'Italia: è durato un giorno pure quello.

La pressione popolare ha nuovamente azzerato il governo provvisorio, creato cooptando pezzi dell'opposizione e della società civile (anche un blogger) nei posti meno significativi di un governo retto nei posti chiave da esponenti del regime, che si incaricava di organizzare le elezioni.

L'ipotesi non ha retto, le proteste sono continuate e il governo è ri-caduto, e con lui è caduto anche il partito unico di Ben Alì, svuotato dal ripudio di parte dei suoi maggiori esponenti un attimo prima di essere dichiarato illegale. Si dovrà riorganizzare con un altro nome o scindersi in diverse formazioni e fondarsi su altri presupposti, visto che da un lato non potrà contare su una bella reputazione e dall'altro non potrà più contare su finanziamenti illimitati e subirà la confisca di tutti i beni.

La rivoluzione tunisina non cessa di emozionare i cittadini degli altri paesi nordafricani, anche loro alle prese con problemi economici simili, ma soprattutto con dittature pluridecennali. Se in Occidente si continua a dare come unica lettura quella economica, negando di fatto qualsiasi plauso o esaltazione alla sacrosanta ribellione dei tunisini, nei paesi arabi la parola d'ordine sembra quella di negare qualsiasi possibilità di contagio e qualsiasi legittimità politica a rivolte simili. In linea di massima si tende a parlarne il meno possibile, anche se le Tv satellitari come al Jazeera e la rete portano comunque notizie che rallegrano i cittadini da Rabat a Il Cairo.

Notizie che non possono essere accolte che con favore da popoli che vivono ormai da decenni sotto il tallone di sovrani assoluti e spesso spietati nel reprimere il dissenso, ai quali non è dedicata che una frazione dell'attenzione dedicata al dittatore nemico del momento, sia Saddam o Ahmadinejad. Eppure i regimi nordafricani non hanno nulla da imparare da nessuno in termini di repressione violenta, soppressione della libertà di stampa, dei diritti umani e di quelli civili. I loro leader hanno la fortuna di essersi alleati con i buoni e quindi, per un processo di tramutazione all'interno del discorso politico e mediatico, diventano buoni anch’essi.

Far parte della squadra dei buoni significa godere di buona stampa, contratti che andranno ad arricchire i regimi, forniture militari e la garanzia di poter colpire le opposizioni impunemente invocando la lotta al terrorismo anche quando non ci sono terroristi. Dal 2001 questo pacchetto d'indulgenze per i leader dei paesi arabi è stato arricchito ancora di più, fino a integrare la totale immunità per chi ha voluto stravolgere una Costituzione o liberarsi delle opposizioni. Opportunità dorate, che nessuno dei leader in questione si è lasciato sfuggire. Una pratica che ricorda molto il vassallaggio, con cui si è stretta una morsa su popoli arabi in nome della lotta all'estremismo islamico.

Una vera e propria tenaglia che ha stretto le società di questi paesi entro confini ancora più stretti, proprio mentre la modernità elettronica e il desiderio di progresso economico e sociale si facevano sempre più forti, mentre questi paesi si popolavano sempre di più di giovani, sempre più lontani da una formazione compatibile con la sopportazione di geronto-dittature che hanno l'unico interesse nell'arricchimento e nella trasmissione del potere ai figli.

La retorica americana dell'esportazione della democrazia si è fermata sulla porta dei paesi alleati, gli americani hanno provato a portarla solo in Afghanistan, Iraq e Somalia e, anche lì, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Se un giorno i popoli oppressi del Nordafrica dovessero guardare a chi ha appoggiato le dittature che li hanno oppressi per decenni, non potrebbero che volgere lo sguardo ad Europa e Stati Uniti, che non hanno certo perso il controllo di quei paesi dopo aver loro concesso un'indipendenza che è sempre stata più nella forma che nei fatti.

Si continuerà così fin che si potrà, con l'Europa e gli Stati Uniti che plaudono le autocrazie che sostengono da decenni al di là del Mediterraneo. Paesi, media e politici che sostengono di temere l'invasione islamica mentre opprimono e bombardano i paesi arabi e musulmani, mentre si associano a delinquenti locali per depredarne le ricchezze e assicurarsi che nessuno turbi la leggendaria “stabilità” invocata dall'Occidente prima ancora della democrazia e della libertà.

La stabilità di regimi sanguinari e oppressivi non suona proprio come un gran valore, ma si vede che per qualcuno un valore ce l'ha. Purtroppo di questi dettagli non si discute proprio, nel nostro paese, che pure la rivoluzione tunisina ce l'ha alle porte; ma essa non è oggetto di dibattito e non dipende dal clamore delle vicende porcelle di Berlusconi. Sono anni che maggioranza e opposizione non si scontrano sulla politica estera, l'opposizione è riuscita a malapena a lamentarsi per il bunga bunga con Gheddafi e per qualche altra amicizia personale un po' trash del Presidente del Consiglio.

La storia però corre a passo di carica, sempre più governi sentono che con i morsi della crisi arrivano al pettine anche nodi degli investimenti azzardati, le truffe, la corruzione e i progetti scellerati. Gli abitanti del Nordafrica restano alla finestra, ma la tensione non scende, l'esempio tunisino non cessa di produrre emulazioni qua e là, che per ora prendono la forma di suicidi di protesta.

In Egitto hanno tamponato la crisi dei suicidi mandando degli specialisti in televisione a dire che si tratta di malati di mente, “siamo tutti malati di mente” è subito diventato lo slogan dell'opposizione. Gheddafi in Libia ha reagito veloce alla rivolta tunisina togliendo le tasse sui beni alimentari, ma potrebbe non bastare, la notizia di ribellioni al regime libico è rara e quindi a suo modo significativa. In Marocco il re non può dare la colpa a un Parlamento che ha svuotato di senso, in Algeria il regime è in crisi d'idee e di legittimità, in Egitto il leader ha ottantadue anni e non sembra ancora essere riuscito a solidificare un progetto di successione certo e affidabile.

Operazione che raramente riesce alle dittature; la Siria degli Assad e la Corea dei Kim possono essere considerate le eccezioni che confermano la regola; spesso tendono a comportarsi come monarchie anche se guidano paesi che hanno scelto la repubblica come forma di governo. Una considerazione che induce a ritenere verosimile che l'attuale assetto politico del Nordafrica sia destinato ad essere messo in discussione seriamente negli anni a venire.

 

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