di Daniele John Angrisani

Vladimir PutinIl 1 gennaio 2006 la Russia ha assunto per la prima volta nella sua storia la presidenza del G8, il gruppo degli 8 Paesi democratici più industrializzati del mondo. E' un evento storico, addirittura impensabile per chi ancora si ricorda della Russia "Impero del Male" di reaganiana memoria, o dei disastri dell'epoca eltsiniana che sembravano nel 1998 aver portato l'ex superpotenza sovietica alle soglie del Terzo mondo. Ma che Paese è oggi la Russia? Il 31 dicembre 1999, l'allora presidente Boris Nikholaevic Eltsin si dimette, dopo una lunga agonia politica dovuta anche alla sua malattia e lascia il potere ad interim all'allora Primo Ministro Vladimir Vladimirovich Putin. Quest'ultimo era un perfetto sconosciuto fino a pochi mesi prima, ma era immediatamente assurto alla cronaca ed alla popolarità dopo una serie di strani attacchi terroristici nel cuore di Mosca, dei quali era stata data la colpa ai ribelli ceceni e che furono la causa scatenante della cosiddetta "seconda guerra cecena". Grazie ai modi spicci e rudi ("li scoveremo fino al cesso e li elimineremo", è una delle sue frasi più conosciute), questo ex agente segreto del KGB divenne in breve tempo il beniamino dell'opinione pubblica, terrorizzata dalla minaccia terrorista e dalla sempre più profonda crisi economica. Gli fu perciò piuttosto facile vincere le elezioni del marzo 2000 già al primo turno e consegnare alla Russia un periodo di stabilità politica come non si vedeva da tempo. Ma a caro prezzo per le libertà duramente conquistate fino a quel momento.

Così come l'11 settembre 2001 lo è stato per Bush, il punto di svolta della presidenza Putin è stato sicuramente il 16 agosto 2000, il giorno che il sottomarino nucleare Kursk, per ragioni ancora oggi poco chiare, si inabissò nel mare di Barents ed il suo equipaggio morì senza essere soccorso in tempo, a causa soprattutto dei ritardi della Marina russa. Il presidente Putin fu duramente criticato dalla stampa e dai propri concittadini in quanto in quei giorni si trovava in vacanza e dovette scusarsi pubblicamente per questo. Ma questo fu l'ultimo ed unico momento della sua presidenza in cui la stampa si permise tale libertà. Subito dopo infatti, è iniziato un giro di vite nei confronti della stampa indipendente, tutt'ora in corso e che ha portato la Russia a essere catalogato da Freedom House come "Paese non libero".

Fedele al motto "colpirne uno per educarne molti", è stato sicuramente l'episodio del takeover della stazione televisiva NTV, da parte della compagnia petrolifera statale Gazprom, ad indicare chiaramente il nuovo corso della politica russa sulla libertà di informazione. Tale stazione televisiva, l'unica privata nazionale, era nelle mani di Gusinsky, uno degli oligarchi più potenti dell'era eltsiniana. NTV era anche l'unica in cui si potevano vedere trasmissioni fuori del coro filogovernativo delle televisioni pubbliche russe. Ma Gusinsky fece un errore fatale, che anche altri dopo di lui faranno e per cui pagheranno molto caro: non capì che l'aria era cambiata e che chi non avrebbe ubbidito al nuovo padrone del Cremlino sarebbe stato fatto fuori nella migliore tradizione delle purghe di staliniana memoria.

Il copione è sempre lo stesso. La procura generale russa, di stretta obbedienza presidenziale, mette sotto indagine l'azienda del magnate di turno per evasione fiscale e truffa aggravata. Gli uffici dell'azienda vengono messi sotto sequestro; computer e documenti sono prelevati e vengono spiccati mandati di cattura nei confronti dei manager. Gusinsky e Berezovsky, altro oligarca considerato l'eminenza grigia del Cremlino eltsiniano, si sono salvati dal carcere solo perché si trovavano all'estero e non sono mai più tornati in patria da allora. Diverso è stato invece il destino di Mikhail Borisovich Khodorkovsky, l'ex uomo più ricco di Russia, arrestato e condannato per corruzione ma la cui vera colpa è stata, agli occhi di Putin, quella di aver tentato di aiutare finanziariamente i partiti dell'opposizione liberale e democratica, poi trovatisi anche senza seggi alla Duma a seguito di una elezione che molti osservatori ritennero una farsa e che consegnò il controllo totale del Parlamento russo alla fazione putiniana.

Di pari passo con la quasi totale scomparsa della stampa indipendente e con l'imbavagliamento delle poche voci dissidenti, Putin ha anche portato avanti un processo di centralizzazione del potere che ha del tutto rivoluzionato il sistema federale russo. Abolite le elezioni dirette per i Governatori regionali, oggi è direttamente il Cremlino che nomina i Governatori, mentre le assemblee legislative regionali possono solo approvare o rifiutare la nomina presidenziale. In questo modo Putin si è assicurato il controllo pressocché totale della vita politica ed economica del Paese. Ciò ha di sicuro portato la Russia ad una stabilità politica senza precedenti negli ultimi decenni, ma anche alla quasi totale perdita delle poche libertà economiche e politiche nate dalla fine dell'Unione Sovietica. Ai russi pare però, stando ai dati dei sondaggi d'opinione, che la politica di Putin piaccia e che soprattutto il relativo benessere economico di questi ultimi anni, grazie soprattutto al boom petrolifero, sia alla base della fiducia finora accordata dai russi al loro presidente.

Andrej Ilarionov, stimato economista russo ed ex consigliere economico presidenziale, è stato l'unico, nel dicembre 2005, ad avere il coraggio di rompere il tabù e dire ciò che tutti pensano ma che nessuno osa dire. "La Russia di Putin non è più un Paese politicamente libero", ha detto in una conferenza stampa annunciando le sue dimissioni dall'entourage presidenziale e denunciando "il cambiamento del corso economico e del regime politico in Russia, la comparsa di un modello corporativista" oltre che l'uso della politica energetica come arma politica. Ed è notizia di questi giorni appunto il blocco della fornitura di gas russo all'Ucraina di Yushenko, uno dei pochi Paesi dell'ex Unione Sovietica ad essersi affrancato dall'influenza russa dopo la famosa rivoluzione arancione, che sta preoccupando non poco le cancellerie delle capitali europee. Ma la Gazprom prosegue anche in questo caso sulla strada dettata dal padrone del Cremlino.

La politica estera russa ha subito un deciso cambiamento di tono e di rotta negli ultimi tempi. La Russia di Putin, sentendosi accerchiata dalle varie rivoluzioni colorate di ispirazione americana, ha infatti cominciato a guardare con più interesse verso oriente ed a stringere perciò relazioni più strette e solide con le nuove potenze emergenti asiatiche, ovvero la Cina e l'India. In particolare, degna di nota è stata l'esercitazione congiunta cino-russa della scorsa estate, durata alcune settimane e vista da molti come il primo embrione di un'alleanza politico-militare che potrebbe scompaginare i piani di Washington in Asia.
Non è però ora il caso di fare la voce troppo grossa, in quanto il principale obiettivo che la Russia vuole ottenere per il 2006 è l'agognato ingresso nel WTO. E' per questo che si continua a riaffermare l'amicizia e la collaborazione della Russia con l'Europa e gli Stati Uniti d'America, così come ad assicurare le opinioni pubbliche occidentali sul proseguimento della strada democratica e del libero commercio, in realtà da parecchio tempo andate perdute entrambi.

E' in questo contesto che la Russia assume la presidenza del G8, trovandosi Così per un anno ancor più sotto l'occhio dei riflettori di tutto il mondo. Ma sarà anche una vetrina imperdibile per Vladimir Putin e la sua voglia di far tornare la Russia la potenza di un tempo. Le critiche non mancheranno da parte dell'intellighenzia e dei governi occidentali ma, come avvenne lo scorso anno, ben poco si farà di concreto per impedire che l'autoritarismo di Putin mieta altre vittime politiche. Mikhail Khodorkovsky continuerà a marcire in una sperduta colonia penale della provincia di Chita, in Siberia, ma gli affari alla Borsa di Mosca continueranno come prima. Solo Elena Bonner, la vedova del dissidente sovietico Andrei Sakharov e pochi altri continueranno a denunciare la fine delle libertà in Russia. Voci sempre più isolate, in un mondo in cui gli ideali si contrattano come azioni di mercato e tutto si vende per una goccia di petrolio in più

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