di mazzetta

A una settimana dall'esplosione del Cablegate si possono già trarre alcune conclusioni sicure. Prima fra tutte che chi dice che trattarsi di gossip mente sapendo di mentire o avrebbe fatto meglio a leggerne qualcuno prima di scrivere un'enormità del genere. Allo stesso livello di certezza c'è la veridicità del materiale, certificata dagli Stati Uniti che ne piangono la sottrazione.

Altrettanto certo è che Wikileaks non ha commesso alcun reato divulgandoli, come non l'avrebbe commesso un qualsiasi altro media più tradizionale. Altro dato certo è che sul piano penale gli Stati Uniti possono aggredire solo la persona che ha fatto uscire le informazioni e non chi le pubblica, ancora meno se le pubblica all'estero.

Lo dimostra il fatto che nessuna azione è stata intrapresa per fermare le pubblicazioni del The New York Times o degli altri giornali che accompagnano le pubblicazioni con titoli capaci di scuotere i governi di mezzo mondo. Nessun paese ha preso iniziative legali contro Wikileaks, solo il nostro ministro Frattini ha gioito per l'arresto di Assange e solo lui ha invocato la sua incriminazione per reati che non ha commesso o da inventare allo scopo, un'autorevole conferma del fatto che non esista terreno legale per dire che Wikileaks ha commesso un crimine.

L'ostilità verso Wikileaks e il suo portavoce Assange ha quindi il sapore di una vendetta, nulla di legale o democratico, tanto che il governo degli Stati Uniti ha chiaramente aperto una guerra sporca al sito cercando di fargli terra bruciata intorno. Le pressioni sulle aziende che poi hanno negato i loro servizi a Wikileaks sono state testimoniate da chi le ha subite e non hanno nulla di rituale o di democratico. Il fatto che ora queste aziende siano ora sotto attacco da parte di gruppi libertari che abbattono i loro siti come birilli é invece la dimostrazione di una refrattarietà della rete, intesa come ambiente sociale dotato di proprie peculiarità, ai soprusi. Sulla stessa trincea si situa l'apparire di oltre un migliaio di siti che offrono il re-indirizzamento a Wikileaks o una sua copia virtuale e quest’operazione da sola dimostra l'impossibilità di oscurare tecnicamente la diffusione dei documenti.

Un'azione solidale che costituisce un importante contrappeso alle illegalità governative e agli abusi commessi dalle corporation divenute strumento di questa guerra sporca, ma non c'è da gioire se governi e conglomerati finanziari decidono di fare carne di porco dei diritti dei cittadini, nemmeno se poi raccolgono figuracce. Sono azioni di una gravità enorme e testimoniano un grado di complicità che travolge le previsioni normative creando una zona grigia nella quale complicità, illegalità e impunità diventano una sola cosa.

Nessuna istanza giurisdizionale perseguirà questi comportamenti (e questo è grave) ma sarà difficile trovare qualcuno disposto a perseguire anche gli eventulai crimini svelati in quei messaggi. Basti per tutti la reazione di Luis Moreno Ocampo, il Procuratore capo dell'ICC, il Tribunale Penale Internazionale, che ha già messo le mani avanti dicendo che i cablo non potranno essere usati per accusare gli Stati Uniti, perché si tratta di materiale sottratto illegalmente.

Un'aggressione tanto scomposta e sopra le righe, se non altro ha avuto il pregio di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio quale delle due parti in causa sia animata dalle peggiori intenzioni e disposta a giocare sporco per soddisfarle. Se Assange è finito in prigione per un'accusa assurda, lisergica se si scende nel dettaglio, non è servito mentire e indicarlo al mondo come imputato per uno stupro anche se non c'è stato nessuno stupro e non c'è nemmeno alcuna imputazione formale, solo un ordine di comparizione per essere sentito su quel caso.

Al momento appare un'altra mossa controproducente e la detenzione di Assange sembra deporre a suo favore presso le opinioni pubbliche che la percepiscono come ingiusta. Già questo esito dovrebbe sconsigliare un'escalation a colpi di leggi speciali o la sua eliminazione fisica, già auspicata da più di un politico nordamericano, ma ancora non ci sono all'orizzonte segnali che indichino un cambio di rotta.

Gli Stati Uniti stanno sbagliando tutto. Servirebbe una piccola considerazione, che per ora sembra sfuggire solo a loro e ad alcuni rappresentanti delle destre più rozze, come quella italiana: non c'è un solo partito di destra - al di fuori degli Stati Uniti - che possa giustificarne l'ossessivo ingerire negli affari degli altri paesi, fatto che emerge con chiarezza dalla somma dei cablo, quando si arriva al proprio. Il nazional-patriottismo è carne e sangue delle destre (e non solo) e ancora oggi è ovunque un potente ingrediente della formazione del sé politico.

Tanto più che proprio il giudizio delle ambasciate della prima potenza al mondo, sia il semplice riportare quello che appare sulla stampa locale o questioni più delicate, rappresentano ovunque un'opportunità per le lotte politiche locali che ben pochi sono disposti a lasciarsi sfuggire per compiacere Washington.

Il bullismo con il quale Washington sta rispondendo a Wikileaks riecheggia inoltre la stessa protervia con la quale l'amministrazione Bush ha piegato la realtà e le leggi internazionali ai suoi voleri e l'azione di Obama risulta indistinguibile nello stile da quella di Cheney, minando così l'eccezionale successo d'immagine conseguito proprio con l'elezione di Obama e confermando la delusione dell'elettorato progressista americano che del famoso change non ne ha visto l'ombra.

Se gli Stati Uniti sono ancora quelli tragici di Bush, quelli che hanno portato mezzo mondo alla guerra mentendo e tutto il mondo alla recessione con il fallimento delle truffe finanziarie delle loro banche non regolate, non é pensabile che a destra come a sinistra, al Nord come al Sud, le opinioni pubbliche possano apprezzare l'attivismo di Washington e le attenzioni dedicate ai rispettivi paesi e che sono descritte dai file di Wikileaks.

Il gradimento sarà per di più inversamente proporzionale al crescere del nazional-patriottismo nei diversi soggetti, che tenderanno per questo a identificare gli Stati Uniti non solo nella categoria dei cattivi, ma in alcuni casi li piazzeranno direttamente in quella dei nemici della patria, con l'ovvia conseguenza di minare il genuino entusiasmo con il quale le destre hanno sempre accolto l'attivismo americano in giro per il mondo.

Sarà l'immaturità delle opinioni pubbliche o sarà che i comuni cittadini non ci guadagnano nulla a reggere la parte agli Stati Uniti, la battaglia mediatica contro Wikileaks sembra già persa e bene farebbero gli americani a concentrarsi sul come rimediare al danno, perché a tutti appare chiaro che i primi responsabili di questa ecatombe sono proprio a Washington, dove hanno messo in piede un sistema per la circolazione delle informazioni segrete che si è rivelato un vero e proprio colabrodo.

I prossimi mesi dovranno poi essere impegnati ad ammortizzare l'effetto delle scomode rivelazioni e a lenire gli alleati offesi, paese per paese quando non persona per persona, e ancora non sarà finita, perché non è detto che il danno si possa riparare solo decidendo di rimescolare il personale diplomatico per evitare imbarazzi e mandare la povera Clinton a dire a tutti che sono “il migliore amico degli Stati Uniti”, che è pure un'investitura dal valore in ribasso ultimamente.

Siamo ad appena un migliaio di cablo pubblicati, ma il Golgota del Dipartimento di Stato é lungo duecentocinquanta volte tanto e la battaglia contro Wikileaks è già persa. Meglio impegnarsi per riconquistare rispetto e credibilità internazionale. Eleggere Obama non è stato sufficiente.

 

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