di Eugenio Roscini Vitali

Il predicatore radicale islamico Omar Bakri è di nuovo libero; condannato in primo grado all'ergastolo, è stato rilasciato dietro il pagamento di una cauzione di cinque milioni di lire libanesi, circa 3.300 dollari. L’ordinanza di scarcerazione è stata firmata dallo stesso tribunale militare di Beirut che il 12 novembre scorso, dopo un processo durato tre anni, lo aveva condannato insieme ad una quarantina di radicali islamici, per possesso illegale di armi ed esplosivi, furto e “appartenenza ad un gruppo armato che avrebbe avuto come obiettivo l’esecuzione di atti terroristici e l’assassinio di soldati libanesi”.

La Corte ha accettato l’istanza presentata dall’avvocato Nawwar al-Sahili, rappresentante di Hezbollah in Parlamento e incaricato dallo stesso Sheikh Hassan Nasrallah di difendere Bakri nel processo di appello. Dopo il verdetto di condanna il predicatore sunnita aveva invocato il leader sciita libanese chiedendo un intervento in suo favore: «Esorto Seyyed Hassan Nasrallah affinché guardi all’ingiustizia che sta subendo Omar Bakri che sostiene tutta la resistenza contro Israele». Solo pochi giorni prima Bakri aveva dichiarato ai media che non avrebbe fatto «un solo giorno di prigione».

Nato nel 1956 in Siria, Omar Bakri Fostock ha vissuto per oltre vent’anni in Gran Bretagna dove, grazie ai suoi sermoni antioccidentali, è diventato una delle figure di punta dell’islamismo radicale europeo. Sono “famosi” i suoi elogi agli attacchi dell’11 settembre 2001 e al gruppo di kamikaze che portò a termine quelle stragi e che lui stesso ha definito i “magnifici 19”. Oltre ad aver militato nelle fila dei Fratelli musulmani, ha fatto parte del movimento islamico Takfir wal-Hijra, nato in Egitto intorno agli anni Sessanta ed oggi presente in numero Paesi, compresa la Spagna dove è conosciuto con il nome di Martiri per il Marocco, e dell’organizzazione  politica Hizb ut Tahrir, formazione pan-islamica fondata nel 1953 a Gerusalemme. L’organizzazione è famosa anche per aver annoverato tra le sue fila personaggi del terrorismo internazionale quali Khalid Sheik Mohammad, reo confesso d’essere stato la mente organizzatrice negli attentati dell’11 settembre e Abu Musab Al-Zarqawi, capo di al-Qaeda in Iraq ucciso nel 2006.

Originario di Aleppo, Bakri lascia la Siria nel 1977, quando a Damasco sta scoppiando l’insurrezione armata dei Fratelli musulmani contro il regime di Hafez al-Assad. Ricercato dalla polizia per aver aderito dai Fratelli musulmani, si trasferisce in Libano, dove inizia gli studi sulla Sharia e diventa membro del movimento semiclandestino Hizb ut Tahrir; nel 1979 approda al Cairo, dove rimane circa sei mesi prima di spostarsi in Arabia Saudita. A Riyadh affianca allo studio religioso la militanza politica e nonostante il divieto delle autorità, nel 1983, con altri 38 militanti, fonda la formazione radicale Al-Muhajiroun.

L’anno successivo, a Jeddah, finisce nel mirino della giustizia e viene arrestato, ma ottiene subito la libertà provvisoria; nel dicembre 1985 viene nuovamente fermato e di nuovo rilasciato. Il 14 gennaio 1986 parte per l’Europa e si stabilisce in Gran Bretagna, dove diventa uno dei referenti di Hizb al-Tahrir; dieci anni dopo, per disaccordi con la dirigenza del movimento, chiude ogni rapporto con la formazione islamica e riprende il percorso iniziato in Arabia Saudita fondando una propria scuola chiamata Al-Muhajiroun, un “centro culturale” situato in un sobborgo di Londra.

Da molti indicato come uno dei “portavoce” di al Qaeda in Europa, il suo nome assurge agli onori della cronaca solo dopo l’11 settembre, quando elogia pubblicamente gli attentati. Nel 2004 inizia la parabola discendente: Al-Muhajiroun viene dichiarato sciolto e l’anno successivo, all’indomani degli attentati del 7 luglio 2005 contro il sistema di trasporti pubblici della capitale inglese, quando il suo nome viene associato agli autori degli attacchi, Londra gli revoca la cittadinanza britannica. Dopo aver ricevuto dalle autorità l’annuncio del divieto di far ritorno in Gran Bretagna, si trasferisce a Tripoli, dove vive una nutrita comunità sunnita e dove ormai l’influenza siriana è al tramonto.

La liberazione di Omar Bakri desta sicuramente interesse, non tanto per il fattore macroconfessionale, che vede il massimo esponente sciita del Libano venire in soccorso di un radicale sunnita, o per l’ipotesi di legami tra il terrorismo qaedista e il fronte filo-iraniano, quanto per la questione politica e per gli equilibri interni di un Paese nel quale le alleanze possono rivelarsi cruciali, siano esse temporanee che di lunga durata. Il caso Bakri arriva proprio nel momento in cui nel Paese del Cedri si sta consumando una battaglia durissima: la questione sulla legittimità del Tribunale speciale per il Libano, incaricato dalle Nazioni Unite di giudicare i colpevoli dell’attacco terroristico del 14 febbraio 2005 nel quale morì Rafiq Hariri, padre dell’attuale premier. 

In attesa che la giustizia renda pubblici i risultati delle indagine anticipati dal report del network canadese Cbc, il Paese vive con il fiato sospeso; diviso tra la necessità di chiudere i conti con il proprio passato e la paura di una nuova guerra civile. Nel luglio scorso il leader del Partito di Dio era stato chiaro: se l’indagine avesse coinvolto qualche membro Hezbollah le conseguenze non si sarebbero fatte attendere.

Una parte degli analisti politici è comunque convinta che se il tribunale dovesse formalizzare delle accuse contro un membro di alto rango del movimento sciita - le incriminazioni dovrebbero essere formalizzate intorno alla metà di dicembre dopodiché si aprirebbe il processo di valutazione giudiziale e dopo circa due mesi potrebbe essere emesso il primo d'arresto - questo non scatenerebbe alcuna reazione. Intanto, in attesa che questo avvenga, Hassan Nasrallah potrebbe aver deciso di giocare il primo tempo di questa partita intorno al destino l’infaticabile Omar Bakri, un “martire” del fronte anti-israeliano per capire con chi sta realmente il Paese. 

 

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