di mazzetta

In attesa della prossima bordata di documenti di Wikileaks, si possono già trarre o confermare alcune osservazioni offerte dal dipanarsi del confronto tra il sito e gli Stati Uniti. Questa volta si tratterebbe delle comunicazioni più o meno diplomatiche di funzionari americani all'estero verso la casa madre. Che si tratti di materiale scottante è fuor di dubbio, non fosse che gli americani coinvolti stavano comunicando ad altri americani le loro impressioni su questioni e persone di altri paesi e che, quindi, ci saranno parecchie dichiarazioni di una sincerità troppo brutale per non risultare offensiva.

Poi ovviamente c'è il contenuto politico delle comunicazioni, in grado di rivelare attività imbarazzanti, doppi e tripli giochi degli statunitensi come degli alleati e responsabilità di vario grado nel sostenere questo o combattere quello, nell'ingerire qua o là, nel corrompere o distruggere i nemici, nel premiare gli amici e chissà che altro. Basta fare due conti sulla quantità di persone coinvolte e sulla mole di documenti in arrivo, per rendersi conto che sarà un metaforico bagno di sangue per gli Stati Uniti e i partner internazionali.

A prescindere dal dettaglio delle rivelazioni che emergeranno, per quanto esplosive, c'è da dire che quasi sicuramente susciteranno molti meno disastri di quanti sarebbe lecito attendersi. Si è già visto in precedenza che nemmeno l'autocertificazione di crimini di guerra ha mosso gli Stati Uniti di Obama a mettersi in discussione o gli altri paesi a chiamarli di fronte alle evidenti responsabilità. Per questo non si andrà al di là di qualche scaramuccia retorica internazionale, anche se le informazioni pubblicate passeranno comunque alla storia e nell'esperienza degli addetti ai lavori, lasciando nuda la propaganda e fornendo armi formidabili contro i feroci cantori delle superiori civiltà.

Sul tema della guerra e di eventuali responsabilità, Obama ha detto che “l'amministrazione vuole guardare avanti e non indietro”, che significa l'indisponibilità a contestare o discutere la legittimità delle politiche dell'amministrazione Bush. Un atteggiamento francamente insostenibile che ha contribuito, insieme a decisioni simili, a far perdere al suo partito democratico il supporto di quanti si erano mobilitati per mettere fine al delirio repubblicano. Lo slogan di Obama non ha senso, applicato ad altre istanze di giustizia significherebbe l'impossibilità di discutere qualsiasi crimine passato e di punire qualsiasi criminale.

Applicato al diritto costituzionale americano, significa per lo meno una dichiarazione d'impunità per le amministrazioni, anche quando diano fondo a una lista di crimini impressionanti. In proposito l'amministrazione Bush non si è fatta mancare niente, dal temibile spergiuro (caso Clinton-Lewinsky) fino al tradimento, tutte accuse che fior di giuristi americani ammettono avere una sufficiente consistenza per dare vita a commissioni d'inchiesta e alla messa in stato d'accusa di parecchi ufficiali. Ma l'assetto costituzionale statunitense non è messo in pericolo da Wikileaks; da tempo è stato minato e l'amministrazione Bush è stata sicuramente quella che lo ha sovvertito più di altre.

Il problema più concreto e sensibile provocato dall'incessante pubblicazione all'ingrosso di una massa di comunicazioni riservate statunitensi, è la dimostrazione che la prima potenza al mondo non è in grado di garantire la sicurezza delle sue comunicazioni più sensibili e che tutti, dal presidente all'ultimo dei fantaccini, in futuro faranno bene a pensare a quello che dicono e a dirlo sapendo che nel giro di qualche mese al massimo potrebbe finire su Internet.

L'attacco a Wikileaks da parte dell'amministrazione americana è una reazione scontata e anche i media continuano a mettere la faccenda come un confronto tra il sito e Washington, ma i problemi sono tutti di Washington, anche se Wikileaks dovesse sparire stanotte. Quello che fa Wikileaks lo potrebbero fare in molti; lo potrebbe fare qualsiasi paese, ostile o meno, per acquisire dati d'importanza strategica e giocare con gli Stati Uniti sapendo già che carte si hanno in mano.

L'attività di Wikileaks dice agli statunitensi che tutti i loro sistemi di comunicazione, da quelli del Pentagono a quelli usati dalle ambasciate, sono praticamente trasparenti. Gli archivi che conservano queste comunicazioni possono essere violati da personale infedele o attraverso espedienti tecnici e gli autori degli attacchi possono rubare dati sensibili all'ingrosso. Considerazioni che dovrebbero rimbombare anche nella testa del comune cittadino della modernità elettronica: un archivio magnetico, collegato o meno online, è molto più facile da rubare di un archivio cartaceo composti di faldoni custoditi negli archivi di un tempo.

Il problema per gli Stati Uniti, come per tutti i paesi e tutti gli utenti, è che se contractor governativi e consulenti hanno promesso al governo la sicurezza dei sistemi informatici d'archiviazione, questi mentivano sapendo di mentire e il seguito della storia lo dimostra con abbondanza di prove. Il segreto va poco d'accordo con le barriere elettroniche e ancora meno con la fedeltà di chi ha i requisiti per accedere ai dati sensibili, tanto più che negli Stati Uniti si parla di più di un milione di persone abilitate all'accesso a informazioni riservate, che possono prelevare e duplicare senza nessuna fatica una mole enorme di dati.

Impossibile considerare sicuro un sistema del genere e, figuracce a parte, è chiaro che a ogni exploit di Wikileaks gli incaricati della sicurezza dei sistemi di comunicazione e gli alti papaveri del Pentagono si trovano nudi di fronte a questa ovvietà. Un problema, quello della sicurezza degli archivi informatici, che nel caso dell'unica superpotenza mondiale assume un'importanza strategica e politica ancora più rilevante di quella che potrebbe avere per paesi meno esposti nell'arena internazionale.

Non è colpa di Wikileaks se gli americani hanno commesso crimini di guerra o se i loro leader hanno mentito e tramato per scatenare guerre o ingerire in altri paesi. Così come non è colpa di Wikileaks se l'elefantiaco apparato militare americano, quello che ha meritato la definizione di imperiale alla politica statunitense, fornisce con le sue mani munizioni a chi lo accusa di usare la democrazia e i diritti umani come pretesti, al riparo dei quali operare nella totale impunità. E non è nemmeno colpa di Wikileaks se tutta la nostra comunicazione, dalle lettere d'amore alle transazioni finanziarie, è conservata su supporti e viaggia su sistemi concepiti per rendere più facile e veloce la circolazione e la condivisione dei dati.

Si tratta di un dato di fatto con il quale è bene fare i conti, gli Stati Uniti e i loro alleati faranno e pagheranno i loro, mentre chi non ha ancora sofferto questo genere di fastidiosi incidenti ha l'occasione di riflettere su come prevenirli.

 

 

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