di Fabrizio Casari

Nestor Kirchner, morto ieri per un infarto all’età di sessant’anni, non è stato un presidente qualsiasi in un paese qualsiasi. L’attuale Segretario del Partito Giustizialista (peronista) arrivò alla Casa Rosada nel 2003 con il ritiro anzitempo di Menem, l’uomo che aveva ridotto il granaio dell’America Latina alla fame. Kirchner aveva ereditato la tragedia economica del paese latinoamericano, dovuta alle politiche economiche ultramonetariste volute dal ministro dell’Economia Domingo Cavallo, che sotto dettatura dei Chicago boys di Milton Friedman, aveva ridotto il paese sul lastrico.

L’Argentina fu infatti il laboratorio privilegiato del monetarismo, la finestra sulla follia della parità monetaria tra moneta locale e divisa e, nella decade successiva alla caduta della dittatura, divenne il luogo privilegiato per le scorribande dei capitali speculativi esteri - in particolare dei fondi pensione statunitensi - che volarono sui cieli di Buenos Aires comprando a pochi pesos per poi fuggire rivendendo a tanti dollari.

La vendita dell’Argentina a prezzi di saldo alle multinazionali statunitensi aveva posto il Paese sull’orlo dell’abisso. Entrato in scena dopo il fallimento politico di Alfonsin e la vergognosa pagina di Menem, Kirchner salì sul ponte di comando gaucho con l’impegno di scrivere presente e futuro di una grande nazione, prima violentata da una dittatura militare fascista che ridusse l’Argentina a un cimitero a cielo aperto, poi piegata dalla follia economica monetarista. Mise sul ponte di comando i due elementi dispersi: la sovranità politica ed economica del paese unita alla sua decisione di scavare nella sua storia senza sconti e senza indulgenze.

Sul piano economico Kirchner impose alle banche internazionali e agli speculatori dei tango bond un piano semplice quanto indiscutibile: l’Argentina avrebbe pagato solo quello che riteneva di dover pagare e nei modi e nei tempi che avrebbe potuto e voluto. Nessun indennizzo per i capitali speculativi veniva previsto, nessun rientro per i debiti contratti illecitamente era più possibile. Gli organismi monetari e i loro piani di aggiustamento strutturale vennero fermamente ricacciati indietro; la politica nazionale e i bisogni del Paese tornavano sul ponte di comando. Andava ricostruita l’economia vera, il suo ciclo vitale di produzione, distribuzione e consumo. Non c’era nessuna intenzione di continuare a rappresentare il bingo della speculazione finanziaria del nord.

Le ricette del Fondo Monetario per salvare l’Argentina somigliavano molto alle misure che il becchino prende ai pazienti in coma. Vi si prevedevano misure solo per rimborsare il debito con le banche e non gli argentini per ciò che gli era stato sottratto. Austerità verso l’interno, generosità verso l’estero. Una vecchia ricetta: il bastone per le vittime, la carota per gli speculatori. Ma Kirchner si rifiutò di baciare il bastone con il quale si voleva colpire l’Argentina e non volle pagare il debito alle condizioni impossibili imposte dai creditori, statunitensi in prima fila.

Niente aggiustamenti strutturali, niente politiche deflattive, nessuna garanzia per gli investitori esteri, nessuna abolizione di dazi doganali per le importazioni e quant’altro prodotto dal ricettario del medico che aveva schiantato il malato con le sue amorevoli cure. Kirchner, per la prima volta nella storia, rifiutò minacce e suggerimenti (così simili tra loro), ignorò le ricette monetariste e fece tutto il contrario di quanto proposto dal Fmi.

La crisi economica del paese venne superata grazie alle politiche economiche di tipo keynesiano ed all’apertura al mercato regionale oltre che al Mercosur. Ignorando i creditori, diede vita ad una politica economica che favorì il consumo interno, impose dazi alti per le importazioni e le transazioni finanziarie; vennero prese misure per l’occupazione e, in soli due anni, vennero creati due milioni di posti di lavoro. I conti tornarono in attivo, il Pil riprese a salire e l’Argentina denudò il re: nessuna fuga di capitali, come minacciavano i banchieri, bensì ingresso di capitali nuovi. In tre anni, furono molto maggiori i capitali che entrarono o rientrarono di quelli che uscirono.

Ma Kirchner non fu soltanto l’artefice della nuova politica economica argentina. Essa, infatti, venne sempre ispirata da scelte di politica generale che lo collocano nel solco del peronismo di sinistra, così difficile da differenziare, se non si vuol fare accademia, dal socialismo atipico sudamericano. E così come dovette fare i conti con il passato sul piano del default finanziario, allo stesso modo decise di farlo sistemando una volta per tutte la pagina nera della dittatura militare. Dovendo superare in corsa l’inefficacia della transizione di Alfonsin e il riallineamento politico di Menem con l’ideologia padronale, Kirchner scelse da subito di sistemare i conti all’interno.

La debolezza politica dei governi che avviarono la transizione come quello di Alfonsin, e la malcelata nostalgia per la dittatura di quello presieduto da Menem, avevano infatti promulgato due obbrobri giuridici: Ley de la obediencia debida (Legge dell’obbedienza dovuta) e Ley del punto final (Legge del punto finale). Il principio ispiratore delle due amnistie mascherate da leggi era l'assoluta non colpevolezza e non responsabilità dei militari e dei poliziotti argentini per i crimini commessi, in quanto soggetti ad "ordini superiori".

In pratica due gigantesche operazioni di amnistia per i militari autori della morte di trentamila persone, con l’assunto giuridico della non responsabilità oggettiva per chi obbedisce a ordini e delinque nell’esercizio del suo dovere. Erano insomma leggi che avevano assegnato il perdono d’ufficio ai torturatori del Paese, miserabili funzionari dell’orrore nella dittatura militare voluta da Washington e benedetta dal Vaticano. I criminali diventavano quindi non giudicabili e non perseguibili: un tentativo vergognoso di sbianchettare una tragedia immensa. Vennero azzerate. Il perdono per legge impediva la legge del perdono.

Questo volle il Presidente Kirchner: azzerarle e rimettere la verità seduta al fianco della giustizia. Nessun perdono, nessun oblìo di Stato per i carnefici, che furono invece perseguiti e condannati dai tribunali. I burocrati della dittatura uscirono di scena. Le madri e le nonne di Plaza de Mayo divennero le star del nuovo film che commuoveva l’Argentina.

Anche sul piano dei rapporti internazionali Kirchner seppe dare una svolta impensabile fino ad allora: alla vigilia del suo insediamento, dopo aver annunciato il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Cuba, mandò a dire agli Stati Uniti che i rapporto auspicabile tra Washington e Buenos Aires era un rapporto di vicinanza, ma non di complicità. “Vogliamo avere un rapporto, ma non carnale” disse con una battuta esemplificativa l'allora neo presidente argentino.

Che non si limitò a ristabilire la giusta distanza tra le due capitali, ma coinvolse l’Argentina nel processo d’integrazione regionale economica e politica con il blocco democratico latinoamericano. Schierò l’Argentina con il Gruppo dei 22 che al vertice di Cancun misero con le spalle al muro le pretese coloniali europee. Si battè contro l’Alca e contribuì alla nascita dell’Unasur (Unione delle Nazioni Sudamericane) della quale fino a ieri era, non a caso, Segretario Generale.

E proprio disobbedendo ai diktat del FMI e della Casa Bianca per obbedire alle necessità dell’Argentina, Nestor Kirchner tracciò una rotta successivamente seguita da sua moglie, Cristina Fernandez, attuale presidente, anzi Presidenta. Si vociferava di un suo possibile ritorno alla Casa Rosada, rilevando Cristina nel 2011, nonostante la pareja presidencial avesse smentito a più riprese l’ipotesi della staffetta familiare. Aveva lasciato la presidenza nel 2007.

Legato fortemente alle altre democrazie progressiste del continente, Kirchner é stato protagonista assoluto della riscossa latinoamericana. Ecuador, Bolivia, Uruguay, Cile e Paraguay hanno già annunciato la presenza dei rispettivi presidenti alle esequie di Stato e Brasile e Venezuela hanno proclamato tre giorni di lutto nazionale. Il Cono sud ha perso uno dei suoi attori principali e la sovranità argentina ha perso l’uomo che l’aveva inaugurata. Questo fu Nestor Kirchner: un grande Presidente per un grande Paese.

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