di Mario Braconi

Come ogni telenovela che si rispetti, anche in quella che ruota attorno al sito Wikileaks e al suo fondatore Julian Assange, non poteva mancare un coté pruriginoso. Assange, australiano di circa quaranta anni, è un ex studente di Fisica e Matematica all’Università di Melbourne, ed ex-white-hat hacker (cioè, hacker “buono”) riciclatosi nell’ultimo lustro come “apostolo della trasparenza”. E’ il fondatore e responsabile ultimo di quanto viene scritto su Wikileaks, un sito che pubblica informazioni segretate.

Julian si è recentemente trasferito dalla Gran Bretagna in Svezia, a suo dire per poter sfruttare meglio le tutele che il sistema giuridico di quel Paese offre ai cosiddetti whistleblowers (da noi si direbbe, con incongruo neologismo porno-cinefilo, “gole profonde”, o anche “spifferatori”). Peraltro, al fine di poter restare con una certa tranquillità in quel Paese, Assange (un extra-comunitario) ha avuto bisogno dell’”aiutino” di Aftonbladet, un tabloid di sinistra di Stoccolma che, secondo il New York Times, gli avrebbe offerto un posto di columnist al fine di poter provare davanti alla occhiuta burocrazia svedese, l’esistenza di un regolare impiego retribuito nel Paese.

Sfortunatamente la nuova patria di Julian non non si è rivelata molto generosa con lui: la notte dello scorso venerdì, infatti, un giudice svedese gli ha notificato l’equivalente di un avviso di garanzia per due presunti stupri commessi ai danni di un’attivista trentenne e di un’artista poco più che ventenne. In un’intervista all’Aftonbladet, (una fonte del tutto neutrale nei suoi confronti, visto che è anche il suo attuale datore di lavoro) Assange ribadisce che, in Svezia ed altrove, egli si è limitato ad avere rapporti sessuali solo in circostanze in cui fosse indiscutibile il pieno consenso di entrambi (?) gli interessati. E spinge l’acceleratore, già premuto da blogger e simpatizzanti vari, di un possibile “sporco trucco” ordito ai suoi danni dal Pentagono (che indubitabilmente non lo deve amare molto, dopo il discutibile exploit della pubblicazione a fine luglio su Wikileaks di 77.000 documenti “top-secret” redatti dall’esercito americano sulla guerra in Afghanistan).

Certo, la teoria del complotto paga sempre, specialmente se la (presunta) vittima si è autoattrobuita la patente di Giusto tra i Giusti, ma questa volta sembra che la realtà sia un po’ diversa: non solo il giudice incaricato del caso, la signora Eva Finne, sentita dal New York Times ha escluso alcuna interferenza “esterna” nel caso, ma una persona che il NYT descrive come caro amico svedese di Assange, si è detta “più che sicura” che alla radice della denuncia delle due donne vi siano sopratutto questioni personali tra i tre interessanti - altro che complotto internazionale, qui si tratterebbe, di una storia di letto e gelosia finita nel peggiore dei modi. Fortunatamente per Assange, l’accusa di stupro è stata ritirata quasi immediatamente, anche se, per la cronaca, non sono ancora cadute le accuse per molestie sessuali - un reato che in Svezia può comunque comportare anche un anno di carcere.

Bisogna riconoscere che, senza Wikileaks, non sarebbe stato possibile conoscere le agghiaccianti immagini di un attacco aereo effettuato nel luglio 2007 da un elicottero USA in un quartiere di Baghdad, costato la vita a 12 persone (10 civili inermi e due giornalisti della Reuters sui quali si sono abbattuti migliaia di colpi senza alcuna ragione: il video dimostra chiaramente come il cosiddetto “ingaggio” con i presunti “insurgent” è stato poco meno di eccidio a sangue freddo). Furono infatti le persone di Assange a pubblicare lo scioccante documento sul sito www.collateral.murder.com, che a tutt’oggi costituisce il più grande e prezioso successo del sito.

Alle misteriose entità che si nascondono dietro al collettivo Wikileaks si devono anche altri scoop di grande importanza sociale e politica, come la pubblicazione dei manuali operativi delle truppe americane nel campo di detenzione di Guantanamo, un corposo dossier sulla corruzione del governo kenyota, un ampio dossier sottratto alla setta Scientology, e le prove del coinvolgimento della banca svizzera Julius Baer in attività di riciclaggio di denaro sporco.

Assieme ad altri materiali di relativa utilità, quali la lista delle installazioni militari americane in Iraq (utile se si voglia scoprire il numero di pianoforti a coda, di PlayStation e di BMW 735 in dotazione alle forze di occupazioni statunitensi), alcune e-mail personali di Sarah Palin e le prove dell’evasione fiscale dell’attore afroamericano di pellicole d’azione, Wesley Snipes.

Tuttavia, vi sono almeno altrettante ragioni per emettere un giudizio severo sugli standard professionali dell’organizzazione dell’ex-hacker australiano. Ad esempio, dopo la pubblicazione del dossier sull’uccisione di 500 membri dell’opposizione in Kenya a fine 2008, due avvocati legati a Wikileaks sono stati freddati nel centro di Nairobi in pieno giorno: segno che le garanzie di non tracciabilità delle fonti, tanto sbandierate dalla organizzazione di Assange, non sempre funzionano come dovrebbero.

Ancor prima, Wikileaks, in un accesso di trasparenza, ha ritenuto di pubblicare la lista nera dei siti internet bloccati della polizia australiana: molti di questi ultimi, si è scoperto, erano dedicati alla pedopornografia. Al di là dell’assurdità dell’accusa con cui è stato incastrato il ventiduenne tedesco, titolare formale del dominio Wikileaks (diffusione di pornografia infantile...), conseguenza di un grottesco sillogismo giuridico, resta il fatto che, nel raggiungimento di un difficile equilibrio tra trasparenza e deontologia, qualcosa nei processi interni della creatura di Assange non ha funzionato come avrebbe dovuto...

La pubblicazione dei 76.000 documenti top-secret sulla guerra in Afghanistan, poi, è stata un vero autogol: innanzitutto, è stata venduta ai media come una operazione congiunta tra Wikileaks e i giornali The Guardian, The New York Times e Der Spiegel, cosa che non è vera e che ha irritato i giornalisti delle tre testate: a loro è spettato infatti un duro lavoro di analisi e di editing finalizzato a rimuovere dai documenti i nomi dei civili citati nelle fonti come simpatizzanti delle forze di occupazione, cosa di cui Assange non si è minimamente preoccupato.

In effetti, secondo un report del Wall Street Journal, diverse organizzazioni umanitarie (Amnesty International, Campaign for Innocent Victims in Conflict, Open Society Institute, Afghanistan Independent Human Rights Commission e l’ufficio di Kabul dell’International Crisis Group) avrebbero firmato un documento di protesta destinato a Wikileaks che contiene il seguente invito: “Preghiamo caldamente i vostri dipendenti di analizzare con attenzione tutto il materiale messo online, al fine di rimuovere tutti i riferimenti ad informazioni che possano condurre all’identificazione di persone”.

Sempre secondo la ricostruzione dei fatti data dal WSJ, Assange ha replicato candidamente chiedendo alle organizzazioni che hanno protestato di dargli una mano a purgare i documenti che lui ha messo online.. Questa risposta sarebbe forse sufficiente per calare una pietra tombale sulla professionalità di Assange. ma non è tutto: quando Amnesty gli ha chiesto di organizzare un colloquio telefonico per discutere della questione, pare che Assange abbia risposto sprezzante: “Ho altro da fare che perdere tempo con gente che preferisce non fare altro che pararsi il culo”.

In definitiva, sembra appropriato il commento di Steven Aftergood, firma del blog della Federation of American Scientists' Secrecy News: “Dal mio punto di vista, la trasparenza è solo uno strumento per ottenere qualcos’altro, ovvero una vita politica più robusta, istituzioni responsabili e censurabili, occasioni di impegno sociale e politico. Per loro (le persone di Wikileaks) la trasparenza e l’esposizione di informazioni sembrano essere il fine ultimo”.  Amen.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy