di Eugenio Roscini Vitali

La storica visita in Abkhazia del presidente russo, Dmitrij Medvedev, è stata l’ennesima dimostrazione di forza con la quale Mosca vuole riaffermare la sua influenza politica sul Caucaso e fermare le ambizioni di rivincita diTbilisi sulle regioni georgiane auto-proclamatesi indipendenti. L’8 agosto scorso, nel discorso ai militari della caserma russa di Gudaula, 30 chilometri ad ovest della capitale georgiana Sukhumi, Medvedev ha ricordato l’aggressione subita dai fratelli abcasi e osseti e il sacrificio dei soldati russi morti per la loro libertà.

E poche ore dopo, con l’omologo Sergej Bagapsh, il capo del Cremlino ha parlato di collaborazione politica ed economica, di “territori occupati e liberati” ed in tema di sicurezza ha riaffermato la necessità di una strategia comune; una strategia che si è subito concretizzata con l’installazione nell’ex provincia georgiana di un numero non precisato di batterie missilistiche S-300PMU1, il modernissimo sistema di difesa aerea capace di ingaggiare simultaneamente 12 obiettivi e di abbattere non solo aerei ma anche missili balistici tattici.

La posizione di Mosca è chiara. Il comandante delle forze aeree russe, il Generale Alexander Zelin, legittima il dispiegamento dei sistemi di difesa aerea come parte del programma di cooperazione militare con l’Abkhazia e, attraverso l’agenzia Interfax, il Cremlino ha fatto sapere che gli S-300PMU1 sarebbero stati installati nella regione separatista già due anni fa e che quello degli ultimi giorni altro non è che un leggero ricollocamento delle batterie. Per il portavoce del Ministero degli Esteri, Andrey Nesterenko, i missili fanno parte intergrate degli equipaggiamenti militare dislocati nelle basi russe in Abkhazia e il loro utilizzo è di tipo strettamente difensivo: «Il loro spiegamento non può in alcun modo destabilizzare la situazione nella regione e quindi non viola gli impegni internazionali della Russia».

Completamente diverso è il punto di vita georgiano. Il presidente Mikhail Saakasvili considera l’atteggiamento russo una vera e propria provocazione, un’iniziativa pericolosa e preoccupante: «<I missili cambiano i rapporti di forza» e sono un motivo in più per puntare in tempi rapidi all’ingresso della Georgia nella NATO. Il vice ministro degli Esteri, David Jalagania, ritiene che la presenza degli S-300 in Abkhazia sia una minaccia per l’area del Mar Nero e per la sicurezza della stessa Europa: «Chiediamo ai Paesi amici e alla comunità internazionale di fare pressioni sulla Russia affinché demilitarizzi la regione e ritiri delle proprie truppe».

Un appello immediatamente raccolto dall’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione Europea, Catherine Ashton, che considera il dispiegamento di un tale sistema di armi «una contraddizione con l’Accordo in sei punti di cessate il fuoco,una misura che potrebbe rischiare di aumentare ulteriormente le tensioni nella regione; le visite ufficiali in Abkhazia e Ossezia del Sud dovrebbe essere fatte nel pieno rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale della Georgia».

Sta di fatto che però tutti sapevano dell’esistenza vera o presupposta degli S-300. Lo scorso 17 febbraio l’Abkahzia e l’Ossezia del Sud hanno infatti sottoscritto con la Russia un accordo che prevede la presenza permanente di truppe russe nella base abcasa di Gudauta e in quella ossetta di Tskhinvali: 3.400 militari (1.700 per ogni comando), carri armati T-62, blindati leggeri, sistemi di difesa aerea, elicotteri da combattimenti e velivoli da trasporto.

L’intesa fa parte di un patto di cooperazione che risale al settembre del 2009 e che include un contratto di affitto dei siti militari che, previa rinnovo, dovrebbe scadere nel 2060. Agli uomini del Federal Security Service (FSB), i servizi segreti russi, è stato già affidato il controllo della frontiera (aprile 2009) e i militari hanno ormai in mano gran parte delle infrastrutture, inclusa la base navale abcasa di Ochamchira, situata a pochi chilometri dai porti georgiani di Poti e Supsa, importanti terminal per il trasporto di risorse energetiche.

Ma la protezione ha un costo ed oltre ai missili S-300, l’11 agosto sono arrivati da Mosca anche i tecnici della compagnia statale OAO Rosneft Oil Company, azienda di trivellazione impegnata nella ricerca e nell’estrazione di gas e  petrolio che al largo della repubblica separatista georgiana ha già dato inizio ai lavori di prospezione di nuovi giacimenti.

Il Caucaso è sempre stata una regione in perenne ebollizione e si può dire che è stato così sin dall’epoca degli zar. Le rivolte e le guerre interne si fermarono con l’Unione Sovietica solo perché il Cremlino adottò la politica delle deportazioni di massa e  lasciò mano libera alle elite locali, le stesse che dopo il crollo del muro di Berlino si misero a disposizione della nuova Russia o, come nel caso della Georgia, degli Stati Uniti.

Attraverso il dislocamento dei sistemi missilistici S-300, Mosca non vuole quindi ribadire il solo appoggio alla causa indipendentista dell’Abkhazia; cerca piuttosto di dimostrare che la Russia continua ad influenzare la politica sociale ed economica di quello che viene definito lo spazio caucasico post-sovietico, un’area dove gli Stati Uniti, e l’amministrazione Bush in particolare, hanno ottenuto vantaggi enormi, vantaggi che il Cremlino non vuole e non può più concedere.

 

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