di Michele Paris

La scorsa settimana una oscura manovra all’interno del Partito Laburista australiano (ALP) ha deposto il primo ministro eletto Kevin Rudd, sostituendolo con la sua vice, Julia Gillard. Per la maggior parte dei media internazionali, la vicenda ha rappresentato la logica conseguenza del presunto crollo nei consensi tra l’elettorato dell’ormai ex capo del governo. Dietro all’ascesa al potere della prima donna premier dell’Australia è andato in scena invece un vero e proprio golpe, orchestrato dai vertici dei colossi dell’industria mineraria che vedevano minacciati i loro profitti miliardari.

I problemi per Kevin Rudd erano iniziati alla fine del 2009, in seguito al mancato appoggio parlamentare al suo progetto per una nuova legge sul controllo delle emissioni in atmosfera che era stato al centro della vittoriosa campagna elettorale del 2007. Il passaggio di questa legge era stato reso pressoché impossibile dal cambio della guardia alla guida del Partito Liberale all’opposizione dopo una campagna anti-riforma alimentata dalle stesse aziende estrattive e dai grandi interessi economici australiani.

Qualche mese più tardi, oltre al definitivo ritiro del provvedimento sulle emissioni in atmosfera, alla presentazione del bilancio per il nuovo anno fiscale, Rudd avrebbe fatto poi il decisivo passo falso sulla strada verso la sua rimozione. La proposta di una tassa speciale sui profitti delle compagnie operanti nel settore estrattivo (Resource Super Profits Tax, RSPT), il più importante comparto economico del paese, ha infatti dato vita ad una furiosa campagna di opposizione che ha trovato la propria naturale cassa di risonanza nei media di proprietà di Rupert Murdoch.

Allo stesso tempo, ricalcando una strategia già vista altrove, i giornali conservatori e le élites finanziarie hanno moltiplicato le loro critiche, cominciando a chiedere il ritiro delle misure di stimolo all’economia adottate per fronteggiare la crisi per sostituirle con tagli alla spesa pubblica.

Sui media pro-business si è cominciato anche ad elogiare le credenziali della vice-premier Julia Gillard, già protagonista dell’introduzione di misure volte a comprimere i diritti dei lavoratori nelle relazioni industriali e in grado di fronteggiare l’opposizione degli insegnanti durante un confronto su alcune misure relative al sistema scolastico australiano. Contestualmente, le organizzazioni sindacali allineate con i laburisti e i dirigenti delle fazioni della destra del partito hanno iniziato a preparare il cambio al vertice del Labor.

Da parte sua, Julia Gillard ha fino all’ultimo annunciato di non voler correre per la leadership del partito e per il posto di primo ministro. Finché, un ultimo vertice del Partito Laburista, ha di fatto sfiduciato Kevin Rudd che, posto di fronte al fatto compiuto, ha rinunciato alla propria carica lasciando strada alla sua vice che ha finito per cedere alle pressioni che la volevano alla guida del nuovo governo.

La vera e propria cospirazione dietro alla fine politica di Rudd ha come protagoniste principali le tre più importanti multinazionali australiane che operano nel settore estrattivo. BHP Billiton, Rio Tinto e la compagnia svizzera con forti interessi in Australia, Xstrata; in spregio delle regole democratiche, sono state in prima linea nel mettere in scena una campagna costata oltre 100 milioni di dollari per far cadere un governo legittimamente eletto.

Già osannato dalla stampa e accreditato di consensi da record all’inizio del suo mandato, l’ormai ex primo ministro laburista ha a poco a poco perso la fiducia dei poteri forti del paese e i media hanno iniziato a diffondere sondaggi che davano il suo governo in caduta libera sul fronte del gradimento popolare.

Una volta insediatasi, la nuova premier si è affrettata a rispondere al diktat delle compagnie estrattive che l’hanno proiettata verso la nuova carica. Dopo un parziale rimpasto di governo, Julia Gillard ha annunciato di voler rivedere le condizioni di applicazione della “super tassa” sui profitti delle multinazionali minerarie. Ciò che queste ultime pretendono, in ogni caso, è una consistente riduzione dell’impatto della tassa stessa.

Rivelando minacciosamente il ruolo da esse svolto nel colpo di mano ai danni del governo Rudd, in un’intervista al giornale The Australian (gruppo Murdoch) il presidente di un’altra azienda del settore ha dichiarato: “Sarebbe vergognoso se il risultato finale della negoziazione tra il governo Gillard e l’industria mineraria risultasse simile a quanto era stato stabilito quando Rudd era primo ministro. In tal caso, la sua uscita di scena sarebbe stata inutile”.

La “super tassa” sui profitti, peraltro, non rispondeva se non in minima parte all’obiettivo propagandato da Rudd di ridistribuire una fetta delle ricchezze australiane ai suoi abitanti. I proventi programmati sarebbero andati piuttosto a coprire, tra l’altro, un taglio del 2 per cento del carico fiscale delle corporation e le spese per la creazione d’infrastrutture destinate a migliorare le esportazioni dalle regioni minerarie verso i mercati internazionali. Questi stessi progetti saranno ora nuovamente all’ordine del giorno del governo Gillard, così come il pareggio di bilancio entro il 2013, e a finanziarli sarà una consistente sforbiciata alla spesa pubblica.

All’interno del Partito Laburista australiano, intanto, rimangono profonde divisioni circa la data delle prossime elezioni politiche, che molti tra i protagonisti della deposizione di Rudd vorrebbero già il prossimo mese di agosto. Un’impazienza dettata dal desiderio di evitare un dibattito pubblico prolungato sulla stessa cospirazione ai danni del precedente governo e sulla politica economica di quello appena insediato. La manovra avallata dai laburisti, in ogni caso, ha già prodotto un profondo malcontento tra gli elettori e, al di là della data del voto, nulla potrà evitare al partito di governo una sonora sconfitta nella prossima consultazione elettorale.

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