di Marco Montemurro

Il governo thailandese, in vista dei cortei indetti per i prossimi giorni, ha deciso di estendere fino al 30 marzo le speciali norme di sicurezza, inasprendo i controlli a Bangkok e nelle province limitrofe. I militari potranno imporre il coprifuoco e installare posti di blocco, in modo tale da limitare gli spostamenti e contenere il dissenso. Le misure sono state sancite dal primo ministro, Abhisit Vejjajiva, per cercare di scoraggiare l’arrivo dei manifestanti nella capitale, città che da giorni è teatro delle proteste organizzate dalle cosiddette “camice rosse”.

Durante le ultime settimane ha ripreso vigore, di giorno in giorno in maniera crescente, il movimento conosciuto come United Front for Democracy against Dictatorship (UDD), determinato nel chiedere lo scioglimento del governo, elezioni anticipate e, soprattutto, la riammissione in politica dell’ex primo ministro e magnate delle comunicazioni Thaksin Shinawatra. Benché risieda all’estero, in esilio volontario dal 2006, il suo ruolo è molto influente nel paese e i messaggi da lui rilasciati, nei quali incita alla mobilitazione contro il governo, diffusi puntualmente tramite internet, hanno molto credito tra i dimostranti.

Il sostegno verso Thaksin potrebbe far apparire paradossale il conflitto politico, in quanto le rivendicazioni democratiche si affiancano agli interessi del noto imprenditore, tuttavia nelle province del paese l’ex premier continua a beneficiare del forte appoggio della popolazione. Durante il suo governo, tra il 2001 e il 2006, Thaksin ha introdotto nelle aree economicamente più depresse l’assistenza sanitaria gratuita e il microcredito; pertanto, sebbene sia stato condannato per conflitto d’interessi, corruzione e furto all’erario, continua a godere del sostegno dai ceti più poveri e rurali, degli studenti e degli attivisti politici.

Thaksin, grazie alle politiche sociali e populiste perseguite durante il suo incarico, ha ottenuto consenso. É difatti l’unico premier thailandese ad aver portato a termine il suo mandato quadriennale, riuscendo inoltre a essere rieletto nel 2005, in una tornata elettorale che ha registrato la più alta affluenza alle urne nella storia del paese. Nel settembre del 2006, però, accusato di corruzione e di scarsa lealtà nei confronti della monarchia, è stato deposto da un colpo di stato militare incruento, un’azione che ha comportato inevitabilmente l’inasprimento del conflitto politico.

Una volta messo fuori legge il partito di Thaksin, il Thai Rak Thai, parte dei sostenitori sono confluiti nel nuovo People's Power Party e in seguito, dissolto anch’esso, nel Pheu Thai Party, la formazione che tuttora si contrappone al People's Alliance for Democracy (PAD) e al Democrat Party dell'attuale primo ministro Abhisit.

Negli ultimi quattro anni, dunque, nella politica thailandese è cresciuto il contrasto tra le cosiddette “camice gialle” (così chiamate perché vestono i colori della monarchia che intendono difendere, legate all’élite urbane e vicine ai militari) e le “camicie rosse”, favorevoli all’ex premier miliardario Thaksin, che reclamano la democrazia e maggiori politiche sociali e sono sostenute dalla popolazione rurale. Tale conflitto ha dato luogo a forme di lotta eclatanti, cosicché diverse volte la Thailandia ha attirato l’attenzione mondiale.

Nel novembre 2008 i “gialli”, per chiedere le dimissioni del premier Somchai Wongsawat (cognato di Thaksin), occuparono per oltre una settimana i due aeroporti di Bangkok, bloccando completamente i voli e danneggiando così il turismo nel paese, settore cruciale dell’economia. In seguito nell’aprile 2009 i “rossi”, per protestare contro il nuovo primo ministro Abhisit, impedirono a Pattaya, località vicino la capitale, lo svolgimento del vertice tra i paesi Asean, Cina, Sud Corea e Giappone, mettendo in forte difficoltà il governo.

Pochi giorni fa, martedì 15 marzo, un altro clamoroso evento ha scosso il paese, richiamando l’interesse dei media internazionali. A due settimane di distanza dal verdetto della Corte Suprema contro Thaksin, sentenza che ha ordinato la confisca di 1,4 miliardi di dollari dai suoi beni, i “rossi” dell’United Front for Democracy against Dictatorship a Bangkok hanno gettato litri di sangue di fronte al palazzo governativo, alla residenza del primo ministro Abhisit e alla sede principale del Democrat Party.

Migliaia di volontari, intenzionati a lanciare verso il governo un segnale di forte valenza simbolica, hanno offerto il loro contributo affinché si potessero riempire intere taniche di sangue; cosicché, come se si volesse svolgere un rituale magico, le strade attorno ai palazzi del potere sono state tinte di rosso. Immediatamente le insolite immagini sono state presto diffuse in tutto il mondo, dimostrando quanto la protesta sia determinata e pacifica. A questa particolare forma di lotta ha fatto seguito un grande corteo, svoltosi il sabato successivo nelle strade della capitale, e al momento i dimostranti non sembrano demordere, dato che altre manifestazioni sono attese nei prossimi giorni.

Il movimento delle “camicie rosse” contro il governo si mostra dunque risoluto nel chiedere le dimissioni del primo ministro Abhisit, elezioni anticipate e un nuovo governo. Tuttavia, riguardo alla prospettiva di un ritorno in carica di Thaksin, non tutte le opinioni sono concordi. Pitch Pongsawat, professore alla Chulalongkorn University, sostiene appunto che molti cittadini di Bangkok sono favorevoli nei confronti del movimento, ma non sostengono Thaksin, poiché riconoscono che ha commesso abusi di potere e atti di corruzione. Il professor Pitch rivela infatti che i dimostranti hanno pareri differenti riguardo alla figura dell’ex premier però, purtroppo, “i media thailandesi sono il loro ostacolo, poiché rappresentano le ‘camicie rosse’ come dei ciechi sostenitori di Thaksin e, quindi, chiunque aderisce alle proteste viene mostrato inevitabilmente come un suo difensore”, come ha sostenuto il 20 marzo alla televisione Al Jazeera.

Nonostante non sia ancora ben definito il programma politico del movimento attualmente in campo, è evidente che le “camicie rosse” interpretano la loro lotta come fosse una contrapposizione tra i phrai, ossia la gente comune, e gli amataya, vale a dire le classi agiate, i burocrati e le élite. Il primo ministro Abhisit, ex professore di economia, nato in Gran Bretagna ed educato a Oxford, è appunto da loro considerato come un esponente del privilegio. Probabilmente le prossime azioni dei manifestanti e le decisioni del governo presto riveleranno le istanze e gli interessi in gioco nel conflitto.

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