di mazzetta

Mohamed el Baradei è stato per due mandati consecutivi il capo dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA), posizione scomoda nella quale se l'è cavata benissimo. Non era facile: el Baradei si è trovato solo contro gli Stati Uniti e il desiderio dell'amministrazione Bush di trovare pretesti, prima per l'aggressione all'Iraq e in seguito per la messa all'indice del regime iraniano. La storia dimostra che almeno sull'Iraq aveva ragione e che l'Agenzia che ha diretto non si è piegata alle pressioni esercitate per spingerla fin là dove si voleva.

Pressioni pesanti, tanto che el Baradei è stato oggetto di attacchi furiosi e anche di un clamoroso tentativo di coinvolgerlo in uno scandalo montato ad arte da parte di due repubblicani del Congresso degli Stati Uniti. Una resistenza sulla linea della verità che insieme ad una positiva gestione dell'Agenzia gli è valsa il Premio Nobel per la Pace.

Esaurito il suo secondo mandato, el Baradei è tornato in Egitto ed è stato accolto da folle plaudenti che lo hanno accolto come la grande speranza, l'uomo in grado di sconfiggere la dittatura di Mubarak. El Baradei è ormai un politico di lungo corso, anche se la sua carriera si è svolta all'estero e si è ritrovato nella condizione d'essere la personalità egiziana di maggior spicco non coinvolta negli affari della corrottissima politica egiziana.

Ma Mubarak si è premurato da tempo d'escludere possibili outsider, la costituzione egiziana emendata nel 2005 da poco più del 20% degli aventi diritto al voto, prevede oggi che possa candidarsi alle presidenziali solo chi è stato leader almeno per un anno di un partito esistente da almeno altri cinque o, in alternativa, con il consenso di almeno duecentocinquanta parlamentari, quindi con il consenso dello stesso partito di Mubarak.

Per questo el Baradei, al quale si sono uniti i partiti d'opposizione, nell'accettare informalmente l'ingrato compito ha fatto presente che si presenterà al voto solo se la costituzione sarà emendata in senso più democratico. Già il fatto che le forze di sicurezza abbiano impedito a decine di migliaia di persone mobilitatesi attraverso Facebook di accoglierlo al rientro in Egitto, spiega bene che Mubarak tratterà el Baradei esattamente come gli altri concorrenti, per i quali sono sempre e solo state possibili due opzioni: correre con parecchi handicap e il fiato della repressione sul collo o farsi assimilare (comprare) dal partito di Mubarak.

I progetti di Mubarak, che ha 81 anni e si ripresenterà per un altro mandato di sei anni nel 2011, sono noti da tempo e prevedono che a succedergli sia prima o poi il figlio Gamal. Da quando è salito al potere nel 1981, dopo l'assassinio di Sadat, il dittatore egiziano ha consolidato la sua presa sul potere con ogni mezzo. Dopo il 9/11, quando l'amministrazione americana ha lanciato il suo ipocrita processo di “democratizzazione” del Medioriente, le cose in Egitto sono peggiorate e le modifiche costituzionali del 2005 hanno reso ancora più monolitica la dittatura, che dal 1981 governa protetta da una legge emergenziale che concede all'esecutivo poteri platealmente incompatibili con qualsiasi idea di democrazia. Tanto monolitica che oggi solo il figlio Gamal potrebbe candidarsi a sfidare il padre alle solite elezioni-farsa, alle quali gli egiziani partecipano con scarso entusiasmo, come per il referendum dove poco più del 20% dei votanti si è presentata alle urne, quasi tutti mobilitati dal partito di Mubarak, che il giorno delle elezioni precetta gli impiegati pubblici e li conduce al voto per mano.

Se la transizione informale da “repubblica araba socialista” (che è ancora la definizione ufficiale, come per la dittatura tunisina che con l'Egitto condivide parecchie similitudini) ad un'economia più o meno di mercato dominata dalla cleptocrazia locale, potrebbe giustificare la benevolenza dell'Occidente verso Il Cairo, le ragioni di tale benevolenza sono altrove e in particolare nella collaborazione di Mubarak ai piani degli USA e d'Israele per l'area. Grazie a tale benevolenza Mubarak può permettersi di sparare sugli scioperanti e fare il bello e il cattivo tempo senza che nessuno protesti, tanto più che fino a ieri l'unica seria concorrenza politica era rappresentata dai Fratelli Musulmani, che in Occidente quasi tutti assimilano al terrorismo islamico.

L'apparizione di el Baradei pone problemi diversi, perché non lo si può certo far passare per un islamista radicale, perché la sua fama travalica i confini dell'Egitto e perché in nessun paese realmente democratico una personalità del suo calibro e delle sua qualità potrebbe essere impedita dal prendere parte alla competizione elettorale. Per ora Mubarak ha deciso di non calcare la mano e di nascondersi dietro la Costituzione emendata del 2005, mentre nel campo avverso i partiti all'opposizione cercano una configurazione che permetta di nominare per tempo el Baradei a leader di un partito o di una coalizione che abbia le caratteristiche adatte a permettergli di correre comunque, anche con l'attuale costituzione.

È comunque molto difficile che el Baradei possa avere qualche chanche di ben figurare, le elezioni in Egitto sono da tempo una farsa e, come per alte autocrazie ereditarie in Medioriente, Unione Europea e Stati Uniti non sembrano per niente interessati a metterle in discussione o a supportare movimenti o la società civile nel loro tentativi di ottenere maggiore democrazia. Le accuse di brogli elettorali in Egitto e paesi alleati non hanno ottenuto un briciolo dell'attenzione offerta alle elezioni iraniane ed è addirittura capitato che un leader come Silvio Berlusconi (che con i dittatori si trova benissimo) abbia offerto l'apologia di Mubarak, un vero maestro, al quale Berlusconi avrebbe addirittura chiesto il segreto della sua longevità politica.


 

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