di Carlo Benedetti

Ferenc Gyurcsany La recentissima vittoria elettorale dei socialisti ungheresi - guidati da Ferenc Gyurcsany - porta ad un rilancio di quella tematica socio-culturale relativa al ruolo che potrebbe avere, nell'Europa d'oggi, una nuova Mitteleuropea da non confondere, minimamente, con quelle esperienze storiche (e culturali) che si registrarono entro i confini dell'impero austro-ungarico dall'inizio del 1900 in poi. Oggi, infatti, si ripropone quell'humus unitario di una cultura specifica definita, di volta in volta, "asburgica", "danubiana" e, appunto, "mitteleuropea". Tutto - sulla base dell'esame di testi critici che escono in questi tempi nella terra dei magiari - torna ad imporsi sull'onda delle nuove forze intellettuali che si affacciano sulla scena di un Paese che mostra la sua diversità dagli anni sovietici di Kadar e da quel centro destra dell'ex premier conservatore Viktor Urban uscito malamente dalla consultazione dell'aprile scorso. La domanda che viene avanti è : si può costruire una Mitteleuropa che non sia al servizio dell'America di Bush e che non sia colonizzata dall'atlantismo della Nato? Si può raggiungere una sintesi tra l'ovest e quell'est che Budapest ha sempre visto come il fumo negli occhi? Si può rilanciare un ideale sovranazionale, capace di esaltare la convivenza di tedeschi, boemi, ungheresi, croati, polacchi e ruteni, (ma anche italiani delle terre istriane) senza rispolverare malinconie per i tempi andati? La nuova dirigenza ungherese sembra intenzionata a fornire una serie di prime risposte superando quel trauma seguìto agli esiti della Prima guerra mondiale quando tre quinti del territorio dell'Ungheria furono ripartiti fra la Romania, la Cecoslovacchia e la Yugoslavia. Fu infatti quel trattato firmato nel Palazzo del Grand Trianon (Versailles, 4 giugno 1920) che smembrò il Regno attribuendo la Slovacchia e la Rutenia alla Cecoslovacchia; la Transilvania e il banato di Temesvar (Timosoara) alla Romania; la Croazia e la Slovenia alla Yugoslavia. Con l'Ungheria che dovette rinunciare a Fiume e ai territori adiacenti subendo una riduzione di territorio da 325mila Kmq. a 93mila. E per Budapest è valso sin da allora uno slogan contro quel Trattato. Un grido fatto proprio dai nazionalisti - Nem, nem, soha! - e cioè: No, no, mai!.
Ora la nuova dirigenza vuol mettere una pietra tombale su quella storia e riaprire un verso discorso di cultura mitteleuropea. Avendo però ben presenti i temi relativi a quella diaspora degli ungheresi nei paesi dell'intera area balcanica. E così si può anche affermare che il nuovo capitolo geopolitico si apre con molti lati oscuri.

LO SPETTRO DEL NAZIONALISMO
Questo è il punto maggiore che Budapest deve superare senza nulla concedere alle destre interne. Tenendo conto che nella vicina Jugoslavia il mausoleo di Milosevic riaccende gli spiriti del nazionalismo; che gli indipendentisti kosovari dell'Uck - scomparso Rugova - covano azioni di rivolta; che i montenegrini puntano al distacco da Belgrado. Elementi questi che inducono a ripensare a quella mole di problemi che datano dal 1867 quando il Paese dei magiari rientrava nell'Impero austro-ungarico e che poi fu costretto a lasciare parte dei suoi territori nella Yugoslavia settentrionale. In quella regione che gli slavi hanno subito battezzato come Vojvodina, ma che Budapest chiama da sempre Vajdasag.
Ecco, quindi, che bisogna costatare che la vicenda storica non è chiusa e che c'è sempre nell'aria lo spirito di una generale resa dei conti. In pratica la Vojvodina non ha rinunciato a rendersi autonoma da Belgrado e ad un'azione geopolitica di naturale riavvicinamento (o riassorbimento) nell'Ungheria considerata come terra-madre. Tutto questo si registra mentre il nuovo potere di Budapest sta costruendo, appunto, un sogno mitteleuropeo puntando ad un avvenire che sia però multietnico e multiculturale.
La Budapest del giorno d'oggi vuole, quindi, occuparsi delle minoranze ungheresi "all'estero". E si apre, di conseguenza, una pagina "mitteleuropea" che potrebbe avere conseguenze non immaginabili proprio per un paese come l'Ungheria che da anni mostra una concreta stabilità sociale. Perché sulle rive del Danubio la politica estera realizzata dai vari governi dal 1989 ha avuto sì come priorità l'avvicinamento alle istituzioni euro-atlantiche (dal 1999 il Paese è membro della NATO; nel dicembre 2002 ha concluso il negoziato per l'adesione all'Unione europea e dal 2004 è nell'Unione europea), ma c'è pur sempre una preoccupata attenzione nei confronti di quelle comunità magiare che si trovano a vivere nel "vicino estero".
Non dimentichiamo, in proposito, che fu proprio Viktor Orban, - a suo tempo primo ministro di Budapest - ad invitare l'Ovest a non fermarsi sulla questione del Kosovo, ma ad operare ulteriormente per stabilizzare il sud dell'Europa e, in particolare, ad "occuparsi della Vojvodina". E la proposta tendeva a sconvolgere la geopolitica balcanica. L'esponente di Budapest riteneva infatti che per impedire nuovi conflitti etnici bisognava ridare alla Vojvodina lo status di regione autonoma (che Milosevic aveva annullato) e che, soprattutto, occorreva far diminuire la presenza militare di Belgrado nella regione ed organizzare in tutta la zona un controllo internazionale. Come dire: rendiamo la Vojvodina indipendente, stacchiamola dalla federazione Jugoslava. Forme e metodi - fece capire Orban - da decidere di volta in volta perché l'ombrello della Nato - sperimentato nella guerra balcanica - doveva sempre essere pronto…
Ed è su tali temi che sarà chiamato a confrontarsi il neo eletto Gyurcsany. Sul suo tavolo di lavoro c'è già il dossier relativo al reale contenzioso che si va delineando nei confronti di tanti paesi amici e tutti già inseriti nell'orbita occidentale. Grande importanza è così attribuita alle relazioni con le minoranze ungheresi che vivono "all'estero": 1,6 milioni in Romania; 600 mila in Slovacchia; 300 mila in Serbia-Vojvodina; 200 mila in Ucraina…
Cerchiamo di esaminare lo stato dell'Unione pur se in rapida sintesi.

TEMESVAR È DIVENTATA TIMISOARA…
Il capitolo si apre con la posizione nei confronti di Bucarest quando il ministro degli Esteri di Budapest, Ferenc Somogyi, in un'intervista al giornale - Uj Magyar Szo - dedicato agli ungheresi che vivono in Romania, dichiarò: ''L'Ungheria appoggia pienamente gli sforzi della minoranza etnica ungherese in Romania per ottenere una legge che garantisca i diritti delle minoranze''. Un'affermazione netta che arrivò dopo che nella cittadina di Szekelyudvarhely un'assemblea del Consiglio nazionale degli szekely aveva lanciato una rivendicazione di autonomia per il territorio abitato da un milione e mezzo di appartenenti all'etnia di lingua ungherese stanziata nella Transilvania orientale.
Gli szekely vogliono ora modificare la costituzione romena in senso multietnico e chiedono che l'Unione europea ponga come condizione dell'adesione della Romania il rispetto dell'autonomia delle minoranze. L'obiettivo dovrebbe essere uno statuto come ad esempio quello per i cittadini di lingua tedesca in Alto Adige o per i catalani in Spagna. Ma è anche vero - lo ha sottolineato il vescovo protestante Laszlo Tokes, uno dei promotori di un manifesto "autonomista" - che la popolazione locale non pretende la separazione della Transilvania dalla Romania. Ecco, quindi, come lo stesso Somogyi ha illustrato la posizione di Budapest al riguardo: ''E' interesse dell'Ungheria - ha detto - che nei paesi vicini dove vive un gran numero di ungheresi in condizione di minoranza, i problemi etnici si risolvano in base ai valori e alle norme europee. I diritti umani e i diritti delle minoranze devono, di conseguenza, essere rispettati''. Non ha però fatto riferimento all'autonomia territoriale, che è guardata con grande ostilità da tutte le forze politiche romene.
Anche il partito dell'Unione democratica degli ungheresi in Romania (Rmdsz) - che fa parte della coalizione governativa - non sollecita l'autonomia territoriale, ma piuttosto una legge sulle minoranze che tuteli l'autonomia culturale e linguistica degli ungheresi di Transilvania. Ma è chiaro che il disegno di Budapest tende ad un recupero totale degli ungheresi. Per i quali la vecchia città di Temesvar - che i romeni hanno ribattezzato Timisoara - non può essere destinata a seppellire il suo passato. Si può quindi ritenere che è sul territorio ciscarpatico della Romania che gli ungheresi sono la vera maggioranza superando di molto le altre etnie: romeni, zingari, tedeschi, ucraini, slovacchi, serbi, cechi e bulgari.

LA SLOVACCHIA
Sono circa 700mila gli abitanti di quieto paese che hanno dichiarato di essere "ungheresi". Vivono nelle regioni del Lungodanubio e della Slovacchia meridionale e considerano come loro città-capitale Komarom.

VAJDASAG ORA VOJVODINA
Ci sono precisazioni di carattere storico che contribuiscono - se lette con attenzione - a far luce su molti aspetti dell'attualità.Vediamo, in proposito, quanto sostengono due studiosi magiari - Karoly ed Eszter Kocsis - in un'opera intitolata "Magyarok a Hatarainkon tul a Karpat-medenceben" (Minoranze ungheresi nel bacino dei Carpazi). Sono loro a far notare che tra i fattori soggettivi, capaci di influenzare il numero degli ungheresi, c'è il censimento del 1981 quando "diverse decine di migliaia di ungheresi della ex Jugoslavia si dichiararono semplicemente jugoslavi senza specificare la loro appartenenza etnica". Come dire: noi magiari abbiamo ancora molte riserve "nascoste" quanto a residenti in Vojvodina. E più avanti i due autori di Budapest precisano che: "Se volessimo distribuire questa popolazione jugoslava in maniera proporzionata tra le varie etnie avremmo la possibilità di fare una stima dell'effettivo numero degli ungheresi in Yugoslavia, ovvero nei suoi territori. In questo modo in luogo dei 427mila abitanti ungheresi del 1981 ne avremmo, presso il nostro vicino meridionale, circa 465 mila. Questa etnia ungherese si suddivide nella seguente maniera: il 90% nella Vojvodina, il 6% in Croazia ed il 2% nella Slovenia".
Secondo i dati ufficiali nella Vojvodina, in occasione dell'ultimo censimento (1991) 340.946 abitanti avrebbero dichiarato di essere ungheresi. Ma tale valore è, appunto, contestato da Budapest che sostiene che gli ungheresi nella regione sarebbero 419.000. Con presenze significative - quanto a percentuali - in vari comuni. Come a Szabadka dove sarebbero il 42,8% della popolazione. E comunque lungo tutta la sponda destra del fiume Tisza sarebbero gli ungheresi a dominare con 36 isole linguistiche.
Karoly ed Eszter Kocsis fanno infine notare che durante la guerra serbo-croata del 1991, dopo l'invasione serba (agosto 1991) di Baranya, della Slavonia Orientale e della parte occidentale del Szeremseg, la grande maggioranza degli ungheresi della Croazia fuggì dalle proprie abitazioni. Ma allora la comunità internazionale non fu mobilitata. Ora per la Vojvodina la situazione è ben diversa.

L'UCRAINA SUBCARPATICA
In questa regione gli ungheresi della diaspora - seguita al trattato del Trianon - sono considerati come "ucraini". Ma mantengono forte il loro spirito nazionale. Vivono per lo più nella provincia di Ungvar e nella cittadina di Beregszasz Qui esistono anche alcune "isole" linguistiche rutene. Gran parte di queste popolazioni, comunque, guardano a Budapest come vera e propria casa-madre.

L'AGENDA DI BUDAPEST
Vento in poppa, quindi, per la nuova compagine che dirige lo stato magiaro. E cioè per una formazione che ha intravisto le chances di un futuro originale, con una Mitteleuropa che, in cabina di regia, torna a dominare sulle rive del bel Danubio blu. E questa volta lo fa con investimenti volti a svecchiare le sue città (Budapest, in primis), adeguarle ai tempi, dotarle di strutture e infrastrutture da metropoli di livello internazionale.
In pratica c'è un rinnovamento generale che si va sviluppando sulle ceneri di quella micidiale guerra nella ex Yugoslavia e con l'improvvisa apertura dell'Europa Occidentale verso sud-est ed una Slovenia rampante alle porte. Tutto nel quadro di un'inevitabile adesione all'Unione europea e con le conseguenti mire verso Ovest. E così l'Ungheria si trova a vivere in una sempre crescente corrente d'aria, che la costringe ad ancorarsi meglio, a ridefinirsi dal punto di vista geopolitico. Afflitta un tempo da tanti problemi di identità sembra trovare ora nuove strade e nuovi impegni. Come dire che quei ragazzi della via Paal narrati da Molnar si trovano ora a fare i conti con una battaglia ben più ardua. Non "combattono" più tra le cataste di legna, ma operano in varie altre nazioni - Yugoslavia e Romania tanto per intenderci - nelle quali vogliono costruire un loro futuro: tutto ungherese. E' il richiamo di una Mitteleuropea tutta magiara?

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