di Carlo Benedetti

Mosca. In Russia è di nuovo “dissenso” e tornano anche quei metodi di lotta e di repressione che erano tipici dei tribunali sovietici e degli organi della “sicurezza”. E per chi non è d’accordo con il Cremlino si aprono ancora una volta le porte dei manicomi.  Il “caso“ di questi giorni è esemplare e porta un nome: Julia Privedennaja, 35 anni, ingegnere. Vive a Mosca e la sua vicenda personale va raccontata dall’inizio per comprendere alcuni aspetti della società russa di oggi. Non si può fingere di essere equidistanti o di tenere gli occhi chiusi mentre si assiste al ritorno sulla scena di una psichiatria punitiva, di conseguenza il cronista va sul posto. Incontra Julia e i suoi amici ed assiste, in piazza, anche ad alcuni meeting di protesta in una Mosca battuta dal freddo polare.

Ecco la storia. Julia ha riunito un gruppo di entusiasti che si dedicano alla propaganda di ideali umanistici. Nello stesso tempo, con tutti loro, s’impegna a realizzare, nella profonda campagna russa, una fattoria. E nasce, parallelamente, un’attività estremamente significativa, che tocca anche il campo dell’etica e dello sviluppo di ideali che - secondo le idee di Julia - dovrebbero contribuire a rafforzare l’unità e l’idea russa. Quindi una normale azione di impegno sociale e culturale, una vera e propria organizzazione di volontariato come occasione per entrare in contatto con la cultura e la popolazione.

Julia e il suo collettivo danno vita ad un modello comunitario di vita e lavoro, in reazione a culture diverse. I campi di questo volontariato sono di varia natura. Da una parte vi è una attività, spesso manuale, all'interno della comunità; dall'altra c’è la formazione di una cultura imperniata sui valori della solidarietà, della non violenza, della convivenza pacifica. Tutto in un quadro che punta ad affermare la responsabilità storica dell’intellighentsija.

Punti e temi di riferimento del movimento avviato da Julia sono tanti e di diverso orientamento. Si va dalla gestione delle fattorie agricole allo studio dell’esperanto, dall’esame delle opere di Pitagora all’impegno sociale per lo sviluppo della Russia... Ma c’è anche una decisa presenza nella realtà dei diritti umani. Julia e i suoi compagni scendono in campo per combattere i soprusi che - a loro parere – si verificano in questa fase post-sovietica. Dimenticano però che ci sono - anche oggi - alcuni “santuari” che non vanno violati.

Ed è questa “attività” socio-culturale che pone il movimento in dissenso con il Cremlino di oggi. Il gruppo di Julia va ad invadere terreni minati. Ad esempio il ruolo dei servizi di sicurezza, le malefatte del vecchio Kgb, i connubi tra il Cremlino e le oligarchie, nomi e cognomi che tornano alla luce. Il punto è proprio questo. Julia viene arrestata e messa in carcere (prima in quello di Lyuberetskiy e poi in quello di Kolomna) per le sue idee. L’accusano di dare vita a formazioni militari.

Ed ora con un nuovo processo il rischio è quello di venire condannata perchè psichicamente malata. C’è una manovra in atto per rinchiuderla in un manicomio. E’ una vecchia pratica del sistema sovietico che così cercava di combattere il dissenso. Torna alla ribalta quel triste ospedale “Serbskij” dove ai tempi dell’Urss venivano effettuate le “indagini” per stabilire chi fosse psichicamente malato. E si sapeva che, una volta entrato in quel girone, la decisione era stata già presa.


 

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