di Luca Mazzucato

Teheran. Ahmed è un ricercatore iraniano che ha vissuto in prima persona le drammatiche vicende di questi ultimi mesi. Gli chiediamo di raccontarci la sua esperienza, partendo dai brogli elettorali che hanno dato il via alla rivolta popolare. Lasciò l'Iran per un periodo di studio all'estero durante la presidenza riformatrice di Khatami e vi fece ritorno quattro anni dopo nel mezzo della presidenza Ahmadinejad. Il paese che si trova di fronte è irriconoscibile rispetto a soli pochi anni prima.

Che cosa trovasti cambiato al tuo ritorno, dopo i primi anni di Ahmadinejad al potere?

Mi sentivo uno straniero nella mia terra. Il capo della polizia si stava lanciando in una crociata contro l'abbigliamento femminile. Aveva vietato alle donne l'uso degli stivali, perché “provocano un'erezione negli uomini.” La polizia cominciò a picchiare le ragazze per la strada, anche se il loro abbigliamento seguiva la regola islamica, solo perché il colore dei loro vestiti non era sufficientemente scuro. Ma non c'è nessuna legge che discuta del colore dei vestiti. Il linguaggio del capo della polizia era talmente sopra le righe che molti cominciarono a farsene beffe. Si sentiva la gente discutere: “Se causare un'erezione negli uomini è un crimine per una fanciulla, allora quale può essere considerato un pene standard? Quello del capo della polizia, di Ahmadinejad, o della Guida Suprema?”

Quando studiavo all'Università, chiunque lasciasse una nota sulla bacheca studenti, nella quale contestava la legittimità della Guida Suprema, veniva fermato dai servizi segreti. L'argomento era tabù fino a pochi anni fa. Oggi la dottrina “della guida e del controllo delle menti degli iraniani,” che era lo slogan con cui Khamenei venne eletto presidente per ben otto anni (prima di essere eletto a Guida Suprema), è ormai morta e sepolta. Oggi gli iraniani mettono in discussione la legittimità del regime in pubblico senza paura.

Qual è stata la tua esperienza delle ultime elezioni presidenziali?

I candidati erano quattro: Ahmadinejad, Karrubi, Mousavi e Rezai. A ridosso delle elezioni, il grande ayatollah Mesbah Yazdi emise una fatva che giustificava i brogli elettorali per assicurare la vittoria del candidato prescelto dalla Guida Suprema. Sebbene Khamenei non avesse mai annunciato pubblicamente quale candidato sostenesse, Ahmadinejad si era autoproclamato tale. Il ministro dell'interno, per la prima volta, poteva controllare via Internet l'affluenza in tempo reale e decretò un'affluenza dell'85% alla chiusura delle urne. L'altissima affluenza, come di consueto, fu interpretata da tutti come un voto di protesta contro il presidente in carica Ahmadinejad.

Mentre il conteggio dei voti era ancora in corso, il ministero dell'Interno annunciò il risultato ufficiale, dando una vittoria schiacciante ad Ahmadinejad, con conseguenze paradossali: mentre Karrubi e Rezai ottenevano zero voti, ad un certo punto i voti di Rezai cominciarono a diventare negativi! Finora nessuno ha ancora spiegato tali incredibili anomalie.

Cosa successe il giorno dopo le elezioni?

Incontrai alcuni amici per la strada il sabato pomeriggio, che mi dissero che Mousavi e Karrubi non avevano accettato il risultato. Molta gente si era riversata per le strade, erano tutti stupefatti, molti cantavano “Dove sono finiti i nostri voti?” Altri distribuivano piccole bandiere iraniane o fasce verdi. Io presi una fascetta verde in mano mentre parlavo e, in men che non si dica, la polizia invase la strada, picchiando tutti quelli che avevano simboli verdi addosso. Non picchiavano con violenza, ma quel tanto che bastava per farci cadere le bandiere o le fasce, e poi se ne andavano. C'era anche gente che lanciava pietre alla polizia, ma per lo più gli agenti non rispondevano alle provocazioni. Cercai subito di far smettere il lancio di pietre da parte dei manifestanti, per evitare una reazione della polizia che sarebbe stata micidiale. Un manifestante mi colpì alla spalla con una mattonella, chiamandomi traditore. La spalla mi fece male per una settimana, ma tutto sommato il primo giorno il numero di manifestanti violenti era minimo.

Qualche episodio ti ha particolarmente colpito?

Non sono ancora riuscito ad interpretare una scena strana che vidi quella sera. Un gruppo di poliziotti stazionava da una parte della strada mentre, proprio dietro di loro, due uomini stavano distruggendo un bancomat a martellate. Mi avvicinai ai poliziotti per chiedere che intervenissero per fermare la rapina, ma quelli mi strapparono la mia fascetta verde e, dopo avermi minacciato con il manganello, mi cacciarono via. Osservai allibito mentre i poliziotti, invece di intervenire per fermare la rapina, si allontanavano per picchiare un gruppo di persone che cantava slogan pro Mousavi.

Evidentemente la polizia aveva ricevuto ordine di reprimere i manifestanti e dare l'impressione che questi saccheggiassero la città.

Infatti la domenica molti bancomat erano distrutti per le strade e le vetrine delle banche erano tutte divelte, mentre i negozi non avevano subito alcun danno. Osservai strani giochi di guardie e ladri tra la polizia e i manifestanti. La gente cantava “Dove sono i nostri voti?” sventolando le bandiere verdi, ma quando la polizia antisommossa arrivava, tutti nascondevano le bandiere e i dimostranti passavano tra i poliziotti come se niente fosse. Dopo poche ore la polizia cambiò strategia radicalmente. Iniziò a picchiare brutalmente chiunque si trovasse per la strada o sui marciapiedi. Nonostante questo, le strade erano colme di gente.

Stavo tornando a casa quando vidi un uomo collassare sul marciapiede, sangue usciva dalle orecchie e dal naso. La rete telefonica era oscurata. Chiedevo aiuto alla gente, ma nessuno si fermava. Attraversai la strada per chiedere aiuto alla milizia Basij e agli agenti in borghese. Quelli mi picchiarono, poi mi bloccarono e perquisirono. Io dissi loro che un uomo stava morendo dall'altra parte della strada, ma non gli importava minimamente. Dopo un quarto d'ora mi lasciarono andare, tornai dall'uomo ancora riverso al suolo, ma non riuscii più a sentirgli il polso.

Me ne andai, ero in stato di shock. Saltai sul bus, ma poco dopo quattro uomini in abiti civili lo fermarono. Ci chiesero di scendere perché dovevano incendiare il veicolo. Alcuni scesero per chiamare la polizia, una cui unità era poco distante, mentre io e gli altri rimasti sul bus iniziammo a cantare “Autobuso rahaa kon, Mir Hosseino sedaa kon” (lascia il bus, chiama Mir Hossein [Mousavi]) e tutti i pedoni lì attorno si unirono al nostro canto. I quattro uomini desistettero dal loro proposito, ma la polizia, invece di fermarli, inseguiva e picchiava la gente per la strada, che camminava con le mani alzate in segno di vittoria.

Come è proseguita la protesta nei giorni successivi?

La prima gigantesca manifestazione silenziosa accadde il giorno dopo, lunedì. Secondo la Costituzione, il popolo ha il diritto di riunirsi pacificamente, dunque Mousavi e Karrubi chiesero il permesso di manifestare, ma il ministero dell'Interno rifiutò, mentre la TV e la radio minacciavano pesanti repressioni in caso di manifestazioni illegali. Nonostante le minacce, un milione di persone scese nelle strade: uomini e donne di tutte le classi e di ogni età. Il corteo era silenzioso, nessuno cantava e non ci fu nessuna violenza. Mousavi e Karrubi sono riusciti ad incanalare una protesta potenzialmente violenta in una pacifica dimostrazione oceanica e la Guida Suprema dovrebbe essere loro grata per questo. Le dimostrazioni silenziose si ripeterono fino a giovedì. Ma ogni giorno la gente si stufava sempre più di camminare per chilometri e chilometri. Anche perché la richiesta era sempre la stessa: un'investigazione sui risultati delle elezioni.

L'ironia della sorte volle che persino i consiglieri di Ahmadinejad si unissero ai protestanti nel dichiarare irregolarità, annunciando che i voti del presidente in carica erano più di trenta milioni, ma il ministero dell'Interno ne aveva annunciati soltanto ventiquattro! Tutti e quattro i candidati stavano dunque dichiarando brogli elettorali! Rezai dimostrò che in certi distretti il 140% degli aventi diritto aveva votato e chiese che si scoprisse cosa era successo. Allora il Consiglio dei Guardiani (il cui capo aveva appoggiato pubblicamente Ahmadinejad durante la campagna elettorale) ricontò alcune schede e annunciò che i voti di Rezai erano infatti diminuiti. Il riconteggio fu trasmesso in diretta, ma si vide chiaramente che le schede ricontate non erano state piegate ed erano state firmate dalla stessa mano! In conclusione, nessuna di queste clamorose irregolarità è stata finora spiegata e nessuno dei tre sfidanti ha ancora accettato il risultato. Persino i sostenitori di Ahmadinejad (come hanno ammesso candidamente i suoi consiglieri) ammettono che le elezioni sono state piene di brogli.

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