di Mariavittoria Orsolato

E’ un futuro incerto quello che vede il Paraguay e il suo presidente come protagonisti. Ormai da settimane, nei corridoi istituzionali, si vocifera di un prossimo golpe ai danni del Presidente Fernando Armindo Lugo Mendez, un colpo di mano in tutto e per tutto simile a quello che ha interessato l’Honduras e Manuel Zelaya lo scorso 28 giugno. I presupposti sono gli stessi e la sequenza degli antefatti sembra pressoché speculare.

Prima la svolta socialista del Paese e la dichiarata volontà di allinearsi all’ALBA (Alleanza Bolivariana per le Americhe) di Chavez, seguendo la linea di cooperazione nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale; poi a ottobre, il capo di gabinetto Miguel Angel Lopez Perito, che propone una modifica alla Costituzione per poter permettere all’ex vescovo di potersi ricandidare e porre così a compimento la politica di riforme avviata nel 2008; un mese dopo, la destituzione del capo delle forze armate Cibar Benitez pare sventare l’ipotesi di un golpe militare.

L’opposizione dell’ANR, Partido Colorado, ha provato a intralciarlo con metodi da operetta, muovendogli contro un paio di figli illegittimi avuti da perpetue ventenni, ma la vera e propria frangia oltranzista Lugo ce l’ha in seno alla sua maggioranza e corrisponde al PLRA (Partido Liberal Radical Autentico) fazione politica del vicepresidente Federico Franco. Già prima delle elezioni del 20 aprile 2008 si parlava di come Franco, pur essendo l’alleato moderato indispensabile ai fini della vittoria, non fosse persona poi così fidata e si temeva di conseguenza che la stessa base elettorale del PLRA - storicamente legata alla tradizione liberale e borghese - fosse il bacino ideale per concentrare il malcontento che sicuramente avrebbero destato le manovre istituzionali di Lugo. Già mentre si ventilavano gli scandali sulla morale dell’ex vescovo, Franco accusava pubblicamente il Presidente di essere un traditore e, personalmente, di essere pronto ad assumere la guida del Paese in caso d’impeachment.

La manovra che si vorrebbe usare per defenestrare il Presidente teologo della liberazione è infatti quella di un golpe formalmente impeccabile. Secondo le norme giuridiche paraguayane, la ricusazione del Presidente in carica è possibile con l’azione congiunta di soli 30 voti alla Camera e al Senato e, date le motivazioni avanzate dai detrattori ed esposte polemicamente dal vicepresidente del Parlatino - il parlamento collegiale latinoamericano - il venezuelano e chavista Carolus Wimmer, Lugo potrebbe essere destituito, in quanto la lotta alla povertà che sta portando avanti, cela in realtà un odio di classe proibito categoricamente nella Costituzione nazionale.

Quello che più pare preoccupare il “vescovo rosso” è la poderosa coda di sostenitori e accoliti che Franco è riuscito guadagnare al suo disegno: nelle manovre di destabilizzazione sono infatti coinvolti settori della destra collegabili all’ex golpista ed ex avversario presidenziale generale Lino Oviedo, vecchi sostenitori del regime Stroessner, grossi industriali e latifondisti e quegli stessi mezzi d’informazione che, solo 18 mesi prima, acclamavano Lugo e la sua Alianza Patriotica para el Cambio “I liberatori del Paraguay”.

Questi ultimi, pur essendo pienamente consci del fatto che al Senato il Presidente fosse praticamente privo di rappresentanza e, perciò, con le mani legate, hanno subito cominciato a sottolineare come le promesse fatte in campagna elettorale fossero ancora disattese ed hanno bellamente ignorato gli sforzi compiuti da ministri come Margarita Mbywangi - l’ex schiava guaranì promossa al Ministero per gli affari indigeni -  per migliorare le condizioni della sconfinata popolazione indigente, per avviare una seria riforma agraria e per rendere gratuiti sanità ed educazione.

Molti vedono in questi fermenti golpisti una ripresa nostalgica di quell’Operazione Condor che negli anni 70 mise a soqquadro gli equilibri politici che lentamente si stavano facendo strada in America Latina, Paraguay compreso. Altri, come il sovracitato Wimmer, compiono un ulteriore salto e pensano invece che dietro al vicepresidente Franco si muovano in realtà Lino Oviedo e un cileno di nome Eduardo Avilès: i due starebbero organizzando un comando anticomunista nazionale i cui obiettivi manifesti sarebbero la raccolta fondi per l’acquisto di armi e la conseguente “ricerca, individuazione e liquidazione fisica di tutti i comunisti”.

Secondo Franco e i suoi sostenitori, però, il vero terrorista è proprio Lugo, intempestivo nell’organizzare un piano di salvataggio per il rapimento di un tenutario paraguayano, Fidel Zavala, e perciò connivente con quell’EPP (Esercito Popular Paraguayo) che lo hanno sequestrato lo scorso 15 ottobre. E poco importa se questo fantomatico EPP sembra essere più che altro un’organizzazione fantasma montata ad hoc per destabilizzare la già fragile democrazia paraguayana.

Nel frattempo il presidente del Cambio, che al momento del suo insediamento, nell’agosto del 2008, godeva del 93% dei consensi, ora si trova il Paese contro con solo il 25% degli abitanti che approva il suo governo. Certo, lui non è un politico e come tale non può o non riesce a difendersi ed è probabile che, nel caso in cui si attuasse effettivamente un colpo di mano istituzionale, Lugo chinerebbe mesto il capo alla maniera del Galileo di Brecht. Il che, purtroppo, sarebbe un peccato, perché il cambio che l’ex vescovo sta cercando di attuare non è certo quello dei grattacieli e delle finanziarie che auspicano i suoi ormai ex alleati, ma ha dalla sua il reale intento di rendere più sopportabile il tremendo giogo cui il secondo paese più povero dell’America Latina è costretto a soggiacere.


 

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