di Rosa Ana De Santis

Un nulla di fatto circondato da parole inutili. Si é conclusa così a Cartagena, in Colombia, la II Conferenza di revisione del Trattato di Ottawa sulla messa al bando delle mine anti uomo. La geografia delle responsabilità disegna un quadro non molto diverso da quello che abbiamo visto nel recente vertice della FAO o nella conferenza sul clima di Copenaghen. L’impegno del Nord del mondo vacilla e si sgretola. Un pezzetto per volta, in silenzio. Rwanda, Zambia, Albania e Grecia sono stati dichiarati liberi da mine, questo il risultato ufficiale di Cartagena, mentre solo l’Australia ha onorato gli impegni assunti per sostenere i programmi di bonifica e di sostegno alle vittime delle mine.

Il Trattato di Ottawa rappresenta un esperimento ben riuscito di proattività politica da parte della società civile; eppure, proprio quella parte significativa della Carta che riguarda il sostegno alle comunità colpite e l’assistenza alle vittime conta lacune ingiustificabili e dannose carenze istituzionali. Manca, ad oggi, la firma di adesione degli Stati Uniti, della Cina, della Russia e del Pakistan.

Quasi una fotocopia del Tribunale Penale Internazionale, quella bellissima architettura accademica di giustizia internazionale che manca delle adesioni decisive, che lo investirebbero di tutto il potere operativo che ancora non ha. Almeno non su tutti i Paesi. A poco più di dieci anni dalla sua entrata in vigore, al Trattato di Ottawa mancano le firme per potssano assegnarle pieno valore istituzionale e per non rimanere inghiottito nella bontà delle lodevoli iniziative degli aiuti internazionali e di volontariato.

L’Italia, ha sottolineato Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine, si è allineata perfettamente alle scelte dei Grandi e ha ridotto di molto i fondi destinati alla bonifica dei terreni minati e alla cura delle vittime. Il nostro Paese ha smesso di produrle - per legge - nel 1997, ma l’Afghanistan è ancora invaso dalle nostre vecchie produzioni e rimuovere ogni impegno nella direzione della bonifica equivale a voler rimuovere il passato senza ammende, per comoda amnesia di colpevolezza.

A questo va aggiunto che la capillare rete dei finanziamenti delle banche ai grandi gruppi industriali non impedisce affatto che continuino ad affluire i soldi nei lauti affari di chi produce questo orrore. E’ questo il caso di Eurizon Capital, la società d’investimenti del Gruppo Intesa-Sanpaolo, che alla fine del 2007 investiva 1,10 milioni di Euro nella società Lockheed Martin che produce proprio le mine anti-uomo.

Il report pubblicato annualmente sullo stato della bonifica dei terreni minati registra in ogni caso progressi anche in quei paesi che non hanno ufficialmente ratificato il Trattato, come Iran, Pakistan e Cina. Molti altri Paesi, mancando degli aiuti promessi, hanno richiesto proroghe per mettersi in regola. Tra questi Cambogia, Tagikistan e Uganda.

E’ chiaro che fintanto che gli Stati Uniti proteggeranno la macchina bellica che li sostiene, così come la Russia o l’India, nonostante la semina di morte fatta in Kashmir o in Cecenia, il Trattato di Ottawa rimarrà privo della forza politica di cui avrebbe bisogno. A Cartagena, Obama ha inviato per la prima volta una delegazione di rappresentanza. L’ennesimo piccolo passo avanti che forse, come tutte le altre mediazioni del Presidente americano, potrebbe rimanere a fare buona propaganda e nulla di più. E’ ancora il tempo della speranza e non degli impegni. Per ora, su quei quasi 700 tipi di mine, seppellite a mano o poggiate sui terreni, con carica esplosiva per uccidere un bersaglio da 50 a 200 metri, quelle cosiddette a “farfalla” scambiate spesso dai bambini per giocattoli o quelle a frammentazione“saltante” si continua a morire, si perdono braccia e gambe. Le vittime sono civili per il 90%.

Le chiamano “perfect soldiers” perché non mancano mai il bersaglio. La loro eredità è fatta di tante storie. Si fa fatica a leggerle navigando su internet nei siti delle associazioni di volontariato che le raccolgono. Storie che raccontano della bestialità degli uomini, incurabile condizione antropologica, e di un sistema politico-economico degenerato che trova naturale e conveniente il matrimonio indissolubile tra gli affari e le sue vittime.

 

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