di Bianca Cerri

La leggenda degli iracheni che gettavano i loro bambini nel mare per costringere le navi di passaggio a raccoglierli e trasportarli fino ai porti australiani, fu inventata dal governo Howard per giustificare l'uso della forza contro le imbarcazioni dei profughi che tentavano di raggiungere le coste australiane. Smentito dagli stessi ufficiali di Marina chiamati in causa per avvalorarla, il primo Ministro diede loro dei bugiardi, iniziando così un odioso tira-molla che la dice lunga sulle politiche per l'immigrazione di Canberra. Dopo dieci anni di governo di destra l'Australia è divenuta una brutta copia degli Stati Uniti e, dietro un'ingannevole facciata democratica, si nascondono mercati impazziti e negazione assoluta dei diritti umani. I giornali fanno a gara per esaltare la "missione di pace" in Iraq e Afghanistan dei militari australiani, ma prestano pochissima attenzione agli iracheni e agli afghani che annegano al largo delle coste di casa nell'inutile tentativo di ottenere asilo politico. Un problema grave come l'immigrazione viene affrontato con metodi apertamente criminali, che comprendono anche l'intervento delle forze armate per respingere i vetusti barconi che trasportano esseri umani in fuga da miseria e oppressione. Il 20 aprile scorso altre trenta persone hanno perso la vita al largo delle coste australiane e i 45 superstiti della spaventosa tragedia della SIEV, avvenuta il 19 ottobre 2001, vivono ancora in condizioni molto precarie e senza sapere quale sarà il loro futuro.

L'imbarcazione fatiscente conosciuta con il nome di SIEV-X in realtà non aveva neppure un nome. SIEV-X è infatti l'anonima espressione che segnala una sospetta imbarcazione illegale in avvicinamento. Dopo un'inchiesta durata quattro mesi, una commissione attribuì al governo australiano la responsabilità della morte di 150 bambini e 210 adulti quale risultato di una campagna anti-profughi condotta al solo scopo di vincere le elezioni del novembre 2001.

A bordo dell'imbarcazione inabissatasi al largo delle coste australiane non c'erano terroristi, come inizialmente ipotizzato dalla stampa locale, ma normali famiglie che avevano intrapreso un lungo e difficile viaggio nella speranza di assicurare ai propri figli un futuro migliore in un paese dove credevano che i diritti umani fossero rispettati. Molti, dopo aver visto le orribili condizioni del barcone, avrebbero voluto rinunciare ma i marinai li avevano rassicurati dicendo che al largo sarebbero stati trasferiti su una vera nave passeggeri, ma questo non era mai avvenuto.

Per capire l'orrore di quella tragedia è però necessario staccarsi dall'impersonalità della cronaca e affidarsi al racconto dei sopravvissuti che videro morire sotto ai loro occhi figli e parenti. Amal Basry, irachena, deve la propria salvezza al cadavere di un'altra donna alla quale si aggrappò con la forza della disperazione. Ghazi Arghizzy vide i suoi quattro figli e la moglie portati via dal mare. Riusciva a scorgere le coste australiane, ma intorno a sé non aveva che cadaveri. Sondos Ismail vide sua moglie e le sue tre bambine cadere dal relitto del barcone che rullava impazzito per non riemergere mai più dall'acqua. Yasser Al-Elou si lasciò morire dopo aver visto annegare i suoi quattro figli di 2,3,7 e 16 anni. Sadik Kazim vide scomparire tra le onde sua moglie assieme alla piccola Zara, di sette anni, scivolatagli dalle mani mentre cercava di salvarla. I 45 superstiti rimasero in balia delle onde per oltre 24 ore prima di essere soccorsi. Molti erano ormai allo stremo, terrorizzati dagli squali che stavano scempiando i corpi dei loro compagni morti.

Il governo Howard si oppose drasticamente all'ingresso dei sopravvissuti della SIEV-X nel paese. Cinque anni dopo, pur essendo stati riconosciuti ufficialmente come profughi dalle Nazioni Unite, si trovano ancora imprigionati in quelli che sono a tutti gli effetti campi di concentramento. Il capo delle United Nations Working Group on Arbitrary Detention [Gruppo delle Nazioni Unite per la detenzione arbitraria], ha affermato di non aver mai visto abusi dei diritti umani più evidenti.

Nel marzo del 2003 sulla tragedia della SIEV-X venne aperta una controinchiesta che ipotizzava un possibile sabotaggio alla partenza messo in atto dalla polizia australiana addestrata da quella australiana allo scopo di dissuadere altri sbarchi di profughi. Uno scenario umiliante che si aggiunge al genocidio degli aborigeni e alle tante discriminazioni nei confronti di profughi e rifugiati politici. Il governo si limita ad imitare il modello Bush diventandone spesso la caricatura. Pezzo dopo pezzo, John Howard è riuscito a trasformare il dramma dei quattrocento morti della SIEV-X in un deterrente all'arrivo di altri rifugiati e a farne un punto forte della propria intransigenza verso l'immigrazione clandestina. Smantellando definitivamente il mito dell'Australia libera e multi-culturale che avevamo imparato a conoscere.

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