di mazzetta

Il passaggio dall'amministrazione Bush a quella Obama non ha cambiato molto per Israele, almeno in apparenza. La richiesta dell'amministrazione americana per il congelamento degli insediamenti ha dato fastidio, ma non è stata un'offesa irreparabile e neppure un presa di posizione capace di far cambiare direzione al governo più di destra che abbia mai avuto Israele. Con Bush, Israele ha avuto carta bianca: ha potuto bombardare il Libano, devastare Gaza e proseguire nell'opera di colonizzazione della West Bank, (un'operazione che ha avuto impulso proprio in coincidenza con l'avvento di George W. alla Casa Bianca) che ha fatto sì che i coloni - che prima di allora in Palestina erano poche migliaia, oggi siano diventati mezzo milione.

Anche il muro dell'apartheid e la divisione della West Bank sono novità del terzo millennio, intraprese con la tacita complicità dei neo-conservatori americani; non per caso il muro è stato cominciato nel giugno del 2002. Con i bombardamenti di Libano e Gaza Israele ha provocato una strage fatta di oltre duemila vittime e migliaia di feriti, oltre alle distruzioni materiali.

L'operazione di Gaza è stata particolarmente crudele, nei modi come nelle motivazioni che hanno spinto il governo di Tel Aviv all'azione. Si è trattato di una strage “elettorale”, così è stata letta anche in Israele, decisa da un premier, Olmert, ormai rovinato da accuse penali e da Livni, ministro degli esteri, che cercava nella guerra quel consenso che doveva sostenerla alle elezioni ormai imminenti. L'operazione ha goduto comunque di larghi consensi nel paese: tutti sapevano che dopo il termine del mandato di Bush azioni del genere avrebbero avuto un costo politico molto più alto e tutta la popolazione condivideva l'idea di essere “minacciata” dai detenuti a Gaza.

Bombardare l'umanità reclusa di Gaza è stato un crimine di guerra, tanto evidente che non c'era bisogno della conferma della commissione ONU guidata da Goldstone; ed è per questo che Israele rifiuta sia le conclusioni della commissione che le richieste di ulteriori indagini ed inchieste sull'operazione “Piombo Fuso”. La politica di segregazione è continuata anche dopo l'operazione militare, Israele non ha permesso l'ingresso ai materiali da costruzione e Gaza rimane un cumulo di rovine abitata per la metà da minorenni, senza accesso i servizi essenziali.

Da Gaza si doveva stanare Hamas, che aveva resistito al tentativo di golpe ordito da Fatah con il consenso e l'aiuto di Israele, Usa, Egitto e Giordania che avevano armato il “terrorista” Dahlan e infiltrato armi e uomini a Gaza. I golpisti furono ridotti alla fuga dagli uomini di Hamas (che aveva vinto le elezioni) e l'operazione Piombo Fusa è fallita miseramente, spianando la via da una parte al rafforzamento di Hamas e dall'altra alla sconfitta di Livni e all'affermazione di un governo israeliano che dipende per la sua sopravvivenza dall'estrema destra e dai fanatici religiosi.

Governo che irride le richieste di Obama, ben sapendo che l'americano ha problemi più incombenti e, con l'aiuto dell'Egitto, procede nel murare il confine occidentale di Gaza, costruendo un altro muro che corre trenta metri in profondità, a impedire la costruzione dei tunnel con i quali si rifornisce Gaza sotto assedio. Il nuovo governo israeliano è pieno di gente che pensa che buona parte dei Territori Occupati debba essere conquistata con la forza e sostiene con veemenza la colonizzazione; non vuole sentire parlare di accordi i pace, ma solo di concessioni israeliane e molto limitate.

Figlio di questo clima è l'ultimo “piano” proposto da Olmert ad Abbas, presidente illegittimo della West Bank. Israele manterrebbe buona parte delle colonie, offrendo in cambio un po' di terra vicina a Gaza e altra nel deserto del Negev, oltre a un “collegamento” tra Gaza e West Bank sotto sovranità israeliana, su Gerusalemme Est nemmeno una parola. Poi, se i palestinesi rifiutano la generosa offerta di terra desertica, si potrà sempre dire che “non vogliono la pace”.

Con la fine dell'amministrazione Bush, ma soprattutto dopo il clamoroso fallimento delle sue politiche e delle sue guerre, ha però ripreso fiato la voce dell'Unione Europea e, in questi giorni, si è fatta sentire per la prima volta la voce del suo primo ministro degli Esteri, quella Ashton fresca di nomina che avrebbe vinto in volata sul nostro D'alema. La prima uscita della signora ha fatto ribollire metà Israele e dato fuoco alle polveri della propaganda contro il ministro europeo.

Lady Ashton ha parlato senza troppe mediazioni diplomatiche, affermando che l'Europa chiede con forza il rispetto dei diritti umani e delle leggi che regolano la responsabilità delle potenze occupanti in Palestina. Ha chiesto la liberazione immediata di Gaza e stigmatizzato il blocco della striscia, così come la politica di colonizzazione. Dopo anni di silenzio il primo ministro degli Esteri europeo ha detto in pratica che la posizione della UE è ancora quella di dieci anni fa: due stati, con una Gerusalemme capitale divisa e confini non diversi da quelli riconosciuti dall'ONU.

Tanto è bastato perché la propaganda israeliana vomitasse di tutto su Lady Ashton, accusandola di essere, riassumendo, un'aristocratica razzista e antisemita. Peccato che Lady Ashton non sia affatto nobile e che la nomina a Lady l'abbia conquistata dopo anni di attivismo e militanza nel partito laburista e in diverse organizzazioni ecologiste e in difesa dei diritti umani. Peccato soprattutto che la Ashton non abbia parlato a titolo personale, ma esprimendo la posizione ufficiale della UE. Ma i commentatori filo-israeliani - in Israele e all'estero - hanno preferito buttarla sul personale come al solito; anche le gentili richieste di Obama per il congelamento della colonizzazione sono state trattate come espressioni personali di una brutta persona spinta da motivazioni malvagie.

A margine, il ministro degli esteri della UE non ha mancato di censurare l'operato di Blair (Inviato Speciale per il Medioriente) e del Quartetto (USA, Russia, UE e ONU), che rispettivamente da mesi e da anni assecondano senza mordere qualsiasi iniziativa iniziativa israeliana. Un censura esplicita, con la Ashton che informa Blair (ex leader del suo stesso partito) che deve dimostrare di valere i soldi che la UE ha investito nella sua missione, con qualche successo più rilevante della semplice apparizione di pattuglie della polizia palestinese per le strade di Jenin. Una rumorosa mozione di sfiducia che segue la bocciatura della candidatura di Blair alla presidenza della UE ed è abbastanza evidente che per il principale “complice” europeo di Bush si siano chiuse molte porte: non gode più di alcuna fiducia all'estero e nemmeno in patria, nemmeno all'interno del suo stesso partito.

L'esordio del ministro degli Esteri europeo ha avuto però un effetto paradossale nel nostro paese, nel quale la politica interna è interessata a quella estera solo se utile in chiave nazionale o possibile essere fonte di tangenti. Adesso che c'è il ministro degli Esteri europeo nessuno è sembrato interessato ad esprimersi nel merito a favore o contro. Il rischio evidente è che sotto l'ombrello del super-ministro europeo, che volerà alto su temi planetari, ci sia la proliferazione d’iniziative nazionali - se non regionali - improntate al dilettantismo e figlie di occasioni estemporanee.

Stiamo parlando di iniziative come il triste caso della collaborazione tra l'assessore milanese Prosperini con il regime eritreo, ma anche più preoccupanti, come le aperture di Berlusconi ad autocrati come Gheddafi, Putin e Lukashenko o, ancora, la gestione “riservata” dei rapporti con le dittature delle ex-colonie da parte della Francia. Di sicuro, come già verificato in questo caso, le iniziative del ministro degli Esteri della UE scivoleranno nell'indifferenza al di fuori del dibattito politico. Qui, Lady Ashton non fa audience.

 

 

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