di Eugenio Roscini Vitali

Bombardamenti aerei e colpi di mortaio, sono questi i suoni che “a intermittenza” tormentano la vita dei contadini e dei pastori yemeniti che fuggono dalle province settentrionali di Saada, Hajjah, Al Jawf e da quella più interna di Amran. Riyadh, che negli ultimi decenni non aveva mai intrapreso azioni militari unilaterali, è preoccupata per la situazione di instabilità che attanaglia lo Yemen e cerca di arginare la crisi colpendo duramente i guerriglieri Zaydi, che intanto esportano il conflitto nelle province arabe di Jazan, Asir e Najran. Oltre confine gli F-15 e i Tornado della Royal Saudi Air Force bombardano le aree di Jabal Rumaih, Jabal Dukhan e Wadi al Mouked, mentre gli M198 howitzer da 155mm del Saudi Arabian Army martellano i rifugi dei ribelli che, giorno dopo giorno, riprendo il controllo del territorio.

Questo lo scenario di un conflitto che si è riacceso lo scorso 11 agosto e che ora, con le denunce dei rappresentanti dell’ Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhrc) e dell’Islamic Relief Worldwide, assume un aspetti ancora più brutali: mentre i raid dell’aviazione yemenita colpiscono i campo profughi allestiti dalle organizzazioni umanitarie, un gran numero di adolescenti, tra cui molti bambini, sarebbe stato arruolato tra le fila delle guerriglia.

A Sanaa sono certi che l’Operazione terra bruciata (Operation Scorched Earth), la campagna militare con la quale l’esercito yemenita e le forze saudite hanno deciso di soffocare la rivolta zaydita, stia mettendo i ribelli in forte difficoltà, ma le notizie diffuse negli ultimi giorni delle agenzie internazionali lasciano pensare che la crisi sia tutt’altro che vicina dal finire. Secondo quanto riportato dall’emittente iraniana Press Tv, il 4 dicembre scorso i  guerriglieri del movimento Houthi, il gruppo armato nel quale confluiscono i militanti Zaydi che combattono contro le discriminazioni che colpiscono le popolazioni sciite del nord, avrebbero respinto le incursioni delle truppe saudite e, nonostante gli attacchi missilistici e i raid dell’aviazione, sarebbero stati in grado di mantenere il controllo della zona di confine che si trova nei pressi del villaggio di Ghawiyah.

Negli stessi giorni, il Saudi Arabian Army avrebbe reagito alla perdita di alcuni tanks, distrutti dai ribelli nei pressi del monte Mamdouh, lanciando decine di razzi nell’area di Jabal Dukhan; nella stessa azione sarebbero stati anche colpiti alcuni villaggi ed uccisi numerosi civili. Stessa cosa nei giorni successivi, quando ad operare è stata l’aviazione saudita: 13 attacchi contro i distretti di Malahit e Saqain con il rilascio di oltre 100 missili.

Sono quasi un milione le persone coinvolte in un conflitto che dall’agosto scorso ha già causato circa 175 mila profughi. Nel campo di Al-Mazraq, nella provincia occidentale di Hajjah, arrivano più di 900 civili al giorno, donne e bambini malnutriti, spaventati e disorientati da una guerra che li sta condannando alla povertà più assoluta. I rifugiati interni si vanno ad aggiungere al drammatico problema dei somali fuggiti dalla guerra che dilania il Corno d’Africa: 100 mila secondo alcune stime; 15 mila nella periferia di Aden, in una sorta di quartiere-baraccopoli nella zona urbana di Basatene, e circa 10 mila nel campo profughi di al-Kharaz.

Per gli altri, lo status di rifugiato ha poco valore. Lontani dalla principale comunità della diaspora somala che ha sede a Nairobi, i più sfortunati sono spesso costretti a vivere sui marciapiedi o all’interno delle bidonville sorte nei pressi del complesso dell’Unhcr di Sana’a, disoccupati, affamati ed ormai sgraditi anche al più povero dei paesi arabi. A questi si aggiungono poi gli eritrei e gli etiopi che scappano dalla repressione, dai disastri climatici e dalla povertà e che nello Yemen non godono neanche dello status di rifugiati.

Alla guida dello Yemen da oltre trent’anni, Ali Abdallah Saleh sta sicuramente attraversando un momento difficile, uno dei peggiori del suo “regno”. Stretto tra le fiammate di violenza che sempre più frequentemente incendiano il sud e una ribellione che a nord sta assumendo i connotati di una vera e propria guerra civile, Saleh deve fare i conti con enormi squilibri sociali e regionali: lo Yemen è uno dei paesi più poveri del mondo, strangolato dalle pressioni esterne e da scontri interni alimentati dalla corruzione che imperversa nelle stanze del notabilato politico. Dopo aver pagato a durissimo prezzo gli effetti della prima Guerra del golfo (Ali Abdallah Saleh appoggio Saddam Hussein ai tempi dell’invasione del Kuwait) il regime si è però lentamente riavvicinato a Riyadh e nella lotta al terrorismo internazionale è diventato, in Medio Oriente, uno dei più fedeli alleati della Casa Bianca.

La sensazione è che, comunque, le poche ricchezze del paese non affluiscano nel sud sunnita, da dove proviene l’80% dei proventi derivanti dall’estrazione del petrolio, e non arrivino neppure nel nord sciita, dove la popolazione è praticamente alla fame, ma finiscano nelle tasche dei clan dominanti che sostengono il governo e il presidente Saleh. Il timore è che nello scenario yemenita stiano confluendo diverse crisi: la guerra civile al nord, il movimento separatista al sud, la presenza di cellule terroristiche sempre pronte a colpire gli Usa nella penisola Araba. Sta di fatto che mentre il governo accusa l’Iran di voler spaccare il paese aiutando i ribelli a restaurare l’imamato Zaydita, la minoranza sciita, discriminata sia sotto il punto di vista religioso che politico, denuncia come il regime lasci l’estrema regione settentrionale nella povertà più assoluta.

Secondo molti esperti la ribellione in atto nelle province settentrionali di Saada, Hajjah, Al Jawf e in quella più interna di Amran, trova le sue radici nella fallita unificazione del 1990; rispetto alla guerra civile del 1994, quando a guidare la guerriglia c’erano i vecchi leader del partito socialista, la rivolta zaydita ha però connotati strategici più ampi. Il fattore più rilevante è infatti il peso che riveste Teheran all’interno del conflitto: alla fine di ottobre, il quotidiano saudita Al-Watan, ha pubblicato un articolo nel quale parla di crisi diplomatica tra Arabia Saudita ed Iran e delle accuse yemenite nei confronti del regime degli Ayatollah, reo secondo Sanaa di sostenere i ribelli Houthi. L’apprensione deriverebbe dal notevole aumento delle attività iraniane nel Mar Rosso e dal tentativo della Repubblica Islamica di trasformare lo Yemen in una nuova area scontro.

Una tesi avvalorata dalla catturata a fine ottobre di un cargo carico di armi anticarro destinato alla guerriglia zaydita; dal sospetto dell’esistenza in Eritrea di campi di addestramento Pasdaran per i combattenti Houthi; dalle dichiarazioni rilasciate da Sheikh Abdallah Al-Mahdoun, uno dei comandanti della guerriglia che in un’intervista rilasciata ad un giornale arabo rivelerebbe il ruolo svolto dall’Iran nel conflitto yemenita, la massiccia fornitura di armi e di addestramento che oltre ai Guardiani della Rivoluzione starebbe ora coinvolgendo anche gli esperti Hezbollah arrivati dal Libano.


 

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