di Michele Paris

In un’escalation di dolorose concessioni, la sinistra del Partito Democratico americano ha visto quasi definitivamente svanire le residue possibilità di creare un efficace piano pubblico di assistenza sanitaria nell’ambito della riforma in discussione al Congresso. Dal gruppo dei dieci senatori di maggioranza - cinque appartenenti all’ala liberal ed altrettanti a quella moderata - incaricati di limare le differenze interne al partito, per permettere il passaggio in aula dell’intero progetto di legge, è uscita infatti una proposta che ancora una volta si è risolta in un compromesso al ribasso.

Dopo nove giorni di discussioni al Senato, in seguito all’approvazione di un provvedimento simile alla Camera dei Rappresentanti lo scorso mese di novembre, l’ostacolo principale appare sempre l’eventuale inclusione nella riforma sanitaria di quell’opzione pubblica tanto avversata dai repubblicani e dai democratici di centro. Vista l’impossibilità di raccogliere i 60 voti necessari a superare l’esame dell’aula, il leader di maggioranza Harry Reid aveva così delegato un comitato ristretto di senatori del suo partito a trovare una soluzione condivisa.

Secondo le parole di alcuni parlamentari coinvolti nelle trattative, la proposta partorita non cancellerebbe il piano pubblico di assistenza sanitaria ma lo metterebbe piuttosto “ai margini” della riforma. Un nuovo programma gestito dal governo federale, sostenuto dalla maggioranza dei democratici nei due rami del Congresso, dalla Casa Bianca e dalla maggioranza degli americani, verrebbe così rimpiazzato da una serie di polizze fornite da compagnie private. Per mantenere una parvenza d’intervento pubblico in un sistema che sarà invariabilmente dominato dal settore privato, tali piani di assistenza saranno negoziati dall’Office of Personnel Management, un’agenzia governativa che gestisce la copertura sanitaria dei dipendenti federali.

Solo nel caso le compagnie assicurative private non fossero in grado di assicurare polizze ritenute sufficientemente economiche per le tasche degli americani non coperti, il governo federale sarebbe chiamato a istituire un vero e proprio piano pubblico come quello che verosimilmente verrà stralciato dal testo all’analisi del Senato. Nella nuova proposta democratica è presente inoltre un allargamento del popolare programma pubblico Medicare, destinato attualmente agli over 65. Su insistenza della sinistra del partito, verrebbe consentita l’adesione a questo piano a partire dal compimento del 55esimo anno di età.

Il nuovo percorso indicato dai dieci senatori democratici, nonostante l’appoggio incassato dal presidente Obama, sembra in ogni caso ancora molto lontano dal poter costituire l’esito finale del delicatissimo dibattito in corso. Tanto per cominciare, la leadership democratica dovrà presentare la proposta a tutta la propria delegazione al Senato. Molti esponenti liberal potrebbero allora esprimere riserve, se non addirittura la loro contrarietà all’affossamento del piano pubblico. Se anche si riuscisse a trovare un consenso in questi termini all’interno della maggioranza al Senato, il provvedimento finale dovrebbe essere comunque combinato con quello già approvato dalla Camera e che contiene un piano pubblico ben più robusto.

Per un piccolo passo avanti verso l’approvazione della riforma nella Camera alta del Congresso americano, una nuova complicazione è però sopraggiunta contemporaneamente a disturbare il sonno del numero uno democratico, Harry Reid. L’aula ha infatti bocciato un emendamento che avrebbe proibito l’utilizzo di fondi pubblici per accedere all’aborto. Il provvedimento respinto con il voto di 50 democratici, due indipendenti e le due senatrici repubblicane del Maine, Susan Collins e Olympia J. Snowe, avrebbe colpito le donne appartenenti alle fasce più basse di reddito. L’interruzione di gravidanza sarebbe stata cioè esclusa dalla copertura sanitaria di coloro che, pur avendo acquistato un’assicurazione privata, riceveranno in qualsiasi misura i sussidi pubblici previsti dalla riforma.

La bocciatura di tale norma sull’aborto, approvata invece dalla Camera nel quadro della trattativa tra le varie anime democratiche, rischia di privare il partito di maggioranza al Senato del voto del senatore del Nebraska, Ben Nelson. Fautore del discutibile emendamento assieme al collega repubblicano dello Utah, Orrin G. Hatch, Nelson è uno dei democratici più conservatori al Congresso e ha minacciato più volte di votare con l’opposizione sulla riforma sanitaria in caso il testo finale non contenga restrizioni all’accesso all’interruzione di gravidanza.

Dal momento che il Partito Democratico non potrà permettersi nemmeno una sola defezione tra le proprie file al momento del voto decisivo, il voto di ogni singolo senatore diventa fondamentale. Anche per questo motivo, l’iter legislativo della riforma sanitaria al Senato si sta trasformando in un crescendo di concessioni a quella manciata di democratici appartenenti alla destra del partito e alle due già citate senatrici repubblicane, le quali, uniche nel loro partito, potrebbero considerare un voto a favore.

Il complicato cammino della riforma del sistema sanitario americano procederà nei prossimi giorni con il voto su molti altri emendamenti presentati da entrambi gli schieramenti. Tra i più contrastati vi è quello introdotto da 16 senatori democratici e 4 repubblicani per permettere l’importazione di medicinali dal Canada e da altri paesi dove i prezzi risultano di molto inferiori a quelli applicati negli USA.

Su quest’ultimo tema, tuttavia, si è già espressa negativamente la numero uno della Food and Drug Administration (FDA), Margaret Hamburg (nominata da Obama la scorsa primavera), ufficialmente per scongiurare possibili incognite legate alla sicurezza dei farmaci importati. Più realisticamente, invece, per evitare nuovi scontri con le industrie farmaceutiche che, da tempo, hanno stipulato un patto con la Casa Bianca per fissare paletti ben precisi alle concessioni che da esse verranno estratte un volta approvata la riforma sanitaria.

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