di Bianca Cerri

Dal 26 aprile scorso mancheranno esattamente mille giorni alla conclusione del secondo mandato di George Bush e, mentre molti si domandano se lasciarli passare o accelerare i tempi, alla Casa Bianca sono iniziate le grandi pulizie di primavera, cui seguiranno esperimenti per la formazione di un corpo politico esperto in mistificazioni quanto quello attuale. Si è dimesso il portavoce, Scott McClennan, che prima di andarsene ha dichiarato che continuerà a svolgere il proprio incarico con l'impegno di sempre fino alla nomina ufficiale di un sostituto. Il che non esclude che McClennan intenda fare l'ingresso in politica entrando dalla porta principale, grazie all'aiuto della mamma Karen, candidata alla carica di governatore del Texas, alla quale è molto attaccato. Il 38enne ex-portavoce di George Bush ha già lasciato intendere che tornerà quanto prima in Texas proprio per starle accanto, a meno che l'assegnazione di un nuovo incarico non preveda la sua presenza a Washington. Prima ancora di McClennan era caduta la testa di Andrew Card, che ha lasciato l'ufficio di Capo Gabinetto a Joshua Bolten, autore di un preoccupante disastro del bilancio pubblico che ammonta a circa 80.000 miliardi di euro, ma intenzionato a bruciare le tappe nel nuovo ruolo. Lo attende però un compito sovrumano: rendere meno visibili incompetenza, servilismo, corruzione, conflitti d'interessi di ogni natura, cinismo, calcolo politico e chi più ne ha più ne metta, che hanno caratterizzato l'Amministrazione Bush per restituirle credibilità.

Dallo scorso 19 aprile, anche Karl Rove ha perso la competenza sugli sviluppi politici, ufficialmente per concentrarsi sulla campagna delle elezioni del 7 novembre 2008, dove i repubblicani potrebbero pagare molto care le politiche insensate e strampalate, oltre che criminali, di Washington. Nell'anno e mezzo trascorso dalla seconda nomina di Bush alla Casa Bianca, governo e Congresso repubblicano non ne hanno imbroccata una. Delusi oltre che sconcertati da una politica priva di ogni senso logico, gli elettori repubblicani hanno smesso da tempo di fidarsi di Bush e lo accusano di aver lasciato il paese in balia del vento, compromettendo anche le libertà costituzionali. Al presidente resta solo un misero 35 per cento degli antichi sostenitori, il che porterebbe ad escludere una vittoria dei repubblicani al Congresso alle elezioni di mid-term. In questo momento sono proprio loro a premere per un rapido cambiamento, terrorizzati da una sconfitta annunciata.

Dopo la clamorosa uscita del "martellatore" Tom Delay, capo-gruppo repubblicano alla Camera dei Rappresentanti, travolto da uno scandalo per corruzione, tanti altri provvedimenti avevano lasciato scontenti gli uomini del partito di Bush,
ad iniziare dalla feroce legge sull'immigrazione.

Non si prevedono invece cambiamenti in materia di strategie belliche: mentre il partito repubblicano si riassesta, si continua ad ammazzare, così come accadeva ai tempi in cui a rischiare l'impeachment era Bill Clinton. Come il terribile Boobus che terrorizza i bambini nelle notte di tempesta, il governo americano continua a privilegiare il proprio insaziabile appetito imperiale, aggiudicandosi questo o quel paese. A distrarre il pubblico basta una Monika Lewinsky o, se il presidente è poco propenso al peccato, vanno bene anche le malandrinate di Tom Delay.

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